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Chief Happiness Officer: una figura strategica al business

Scritto da Team Reverse | 18 gennaio 2021 8.19.57 Z

In un mondo in cui si dà sempre più valore all'equilibrio tra vita personale e lavoro, quanto conta la felicità negli ambienti di lavoro? In occasione del Blue Monday, il giorno più triste dell’anno, parliamo di cambiamento positivo e di chi può portarlo in azienda: il Chief Happiness Officer.

Per questa nuovissima figura (se ne contano solo 1.500 all’incirca in tutto il mondo), la felicità è l'ingrediente mancante da aggiungere a ogni attività di planning.

L’equazione felicità = produttività è scientificamente provata: secondo una recente ricerca condotta della Saïd Business School dell’Università di Oxford sui lavoratori della British Telecom, la felicità e la soddisfazione sul lavoro aumentano la produttività del 12% e, come si può vedere nel grafico sotto, ha un impatto anche sulle vendite. Secondo uno studio più datato, ma ancora molto valido, dell’Harvard Business Review una workforce felice e ingaggiata in media aumenta le vendite del 37%, la produttività del 31% e la precisione nell’esecuzione dei task del 19%.



  1. Chi è il CHO?
  2. Di cosa si occupa concretamente il CHO?
  3. Le otto competenze del CHO
  4. Conclusioni: la felicità oggi è una strategia vincente?
  5. Curiosità sul Blue Monday

 

1. Chi è il CHO?

Il Chief Happiness Manager è un HR Manager, ma spesso anche un CEO o un imprenditore, che crede fortemente che i collaboratori felici siano anche i migliori collaboratori. 

Jenn Limm, CEO e Co-Founder di Delivery Happiness, prima società al mondo di “coach|sulting” (coaching + consulting) in ambito people and culture, dice:

 


“A CHO is doing what any CEO does in an organization - putting the people/resources/financing in place to create a sustainable company. The difference between a CEO and a CHO is that a CHO is doing it through the lens of happiness as a business model.”

 

 

Il CHO, dunque, non ha un ruolo simbolico, ma altamente strategico all’interno dell’azienda. Per quanto di primo impatto possa sembrare un approccio “hippie”, l’obiettivo di aumentare la felicità tra i collaboratori ha dei ritorni economici importanti poiché avere lavoratori più soddisfatti si traduce in:

  • maggiore produttività, come hanno dimostrato gli studi citati sopra;
  • diminuzione del turnover, perché un collaboratore soddisfatto difficilmente lascerà la propria azienda;
  • supporto all’employer branding, con collaboratori che si fanno promotori del proprio posto di lavoro;
  • contributo alle strategie di talent acquisition, poiché la soddisfazione dei collaboratori che traspare all’esterno spinge i migliori talenti sul mercato a voler lavorare per l'azienda.



2. Di cosa si occupa concretamente il CHO?

Operativamente, ogni processo che riguarda il rapporto tra lavoratore e azienda può essere intrapreso con un approccio happiness-oriented: tutto ruota intorno alla soddisfazione del candidato e/o collaboratore. Dunque, il CHO si occupa di ottimizzare il processo di selezione e onboarding, di definire nel migliore dei modi i piani di carriera, di gestire le performance, l’engagement, le transizioni, i pensionamenti e così via. 

Dal punto di vista strategico, il CHO ha un forte impatto anche sull’identità aziendale e si occupa di quattro aspetti fondamentali, considerati i pilastri del suo ruolo e, di conseguenza, della sua missione.

  • Cultural transformation: la company culture ha un forte impatto sull’azienda e sui suoi dipendenti, ed è per questo che il CHO si deve fare promotore della cultural transformation, indirizzando l’organizzazione verso un obiettivo importante e che coinvolga tutte le parti all’interno dell’azienda. Questo obiettivo non deve essere solo di natura “economica”, ma deve avere anche un impatto sociale, ecologico e di promozione del bene comune. 
  • Corporate Happiness: secondo il sito ufficiale dei CHO, “la corporate happiness fa della felicità una strategia organizzativa coerente”, cioè il CHO si fa carico di mettere la soddisfazione dei collaboratori al primo posto e di far sì che ogni attività aziendale sia happiness-driven.
  • Positive leadership: un’organizzazione può avviarsi verso un cambiamento positivo se a guidarla ci sono leader positivi. Il CHO coltiva la positive leadership e ha il compito di coinvolgere la leadership in un approccio happiness-related.
  • Positive organization: l’ultimo step è di allargare l’approccio positivo a tutta l’organizzazione, ed è qui che il CHO entra nella parte più operativa della sua mansione, scegliendo, programmando e gestendo alcune pratiche in linea con la strategia elaborata. Il risultato dovrebbe essere quello di generare benessere, migliorare la produttività, la retention, l’employer branding e dare un’immagine aziendale coerente e coesa.

 

3. Le otto competenze del CHO

Come si fa a diventare CHO nella propria azienda? Come accennavamo prima, HR Manager, CEO, imprenditori ma anche consulenti possono intraprendere un percorso per diventare Chief Happiness Officer. Per farlo, è necessario ottenere la certificazione in Scienza della Felicità e Management rilasciata dall' Italian Institute of Positive Organizations. L’organizzazione si affida al sistema “open badge”, uno strumento digitale utile a mappare, acquisire e valorizzare le competenze: la certificazione, composta dall’acquisizione di otto moduli, non ha scadenza. Il percorso è legato all’ottenimento di otto competenze specifiche, utili per accreditarsi come Chief Happiness Officer certificati.

  • Strategic thinking & positive future planning: il focus è sul “guardare fuori”. Bisogna sviluppare la capacità di comprendere e analizzare la realtà esterna in cui si opera, quindi, per esempio, i principali trend economici, politici, tecnologici, ambientali e socio-culturali. In base a ciò, si cerca di sviluppare il nesso tra l’ambiente esterno e le politiche di gestione e sviluppo delle persone e dell’organizzazione positiva.
  • Organization epigenetics: a differenza del modulo precedente, in questo l’obiettivo è di  “guardare dentro”, identificando i principali modelli culturali dell’organizzazione e scegliendo quali incentivare e quali “abbandonare”, in linea con il cambiamento positivo che si vuole portare in azienda. 
  • Evolutionary cultural change: in questo modulo, la key-action è di definire la nuova visione, costruire una cultura eco-sistemica e di implementare modelli di comportamento coerenti con la scienza della felicità.
  • Self Science: il focus di questo modulo è sulla formazione personale, attraverso il motto: “allinea te stesso”. Se si hanno ben chiari i propri valori e obiettivi, si può diventare un portavoce autorevole del cambiamento positivo in azienda.
  • Positive leadership development: dopo aver lavorato su se stessi, l’obiettivo è di definire e promuovere un piano di sviluppo della Leadership Positiva diffusa a tutti i livelli dell’organizzazione.
  • Positive practices strategies: questo modulo analizza la parte più operativa del CHO,  in modo da selezionare e implementare le pratiche per generare benessere e positività verso collaboratori, clienti, fornitori, investitori e stakeholders.
  • Positive organizational management: lo step successivo è di monitorare i cambiamenti e aggiornare i processi. 
  • Happines @work strategy è il modulo finale, che viene così spiegato nel sito ufficiale di CHO: “ È la capacità di definire un piano strategico per portare nelle pieghe dell’organizzazione la scienza della felicità, influenzando così cultura e processi organizzativi, in grado di produrre risultati misurabili e positivi sul bottom line.”

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4. Conclusioni: la felicità oggi è una strategia vincente?

Per un’azienda, dal punto di vista pratico, è un vantaggio avere collaboratori felici: monitorando e analizzando i livelli di felicità dell’organizzazione, si è in grado di prevedere e gestire con precisione il coinvolgimento dei dipendenti e la retention, e avviare processi di employer branding.

Oggi, con l’entrata nel mondo del lavoro di nuove generazioni, particolarmente attente ai valori aziendali e al work-life balance, la questione della soddisfazione sul posto di lavoro ha assunto un’importanza ulteriormente strategica; il CHO potrebbe essere la figura mancante che serve per rendere più accattivante e approachable ogni tipologia di azienda, di qualsiasi settore di business.

La scienza della felicità potrà sembrare ai più scettici una pseudoscienza dal sapore new age, ma è semplicemente un approccio differente, e forse migliore, per raggiungere obiettivi condivisibili da qualsiasi organizzazione: essere di successo e attrarre e  trattenere i propri talenti.

 

 

5. Curiosità sul Blue Monday

È ormai risaputo che il Blue Monday, il giorno più triste dell’anno che cade il terzo lunedì di gennaio, sia una bufala. Questa ricorrenza, che si vanta di essere frutto di un calcolo preciso, in realtà è priva di qualsiasi fondamento scientifico: i valori presi in considerazione per questa formula, come le condizioni climatiche, l’ammontare dei debiti o il tempo trascorso dal Natale, in alcuni casi non sono quantificabili e, in generale, non ne vengono specificate le unità di misura.

Lo “studio” che ha identificato il Blue Monday è stato commissionato da un’agenzia di viaggi inglese che voleva spingere più persone a prenotare vacanze nel mese di gennaio. La trovata marketing era semplice: è scientifico essere più tristi in questo particolare momento, perciò la cosa migliore da fare è prenotare un viaggio per tirarsi su.

Blue Monday o meno, certamente gennaio non è tra i mesi più facili: le vacanze di Natale sono alle spalle e il clima cupo e freddo non aiuta l’umore. Per questo motivo, questo è il momento adatto per intraprendere piccole attività o iniziative che diano un boost di positività: con l’anno nuovo appena iniziato, prestare particolare attenzione al benessere dei collaboratori è strategico per tutta l’organizzazione, in modo che l'ambiente di lavoro sia più positivo e i lavoratori più felici e produttivi.

 

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