“Il coaching è un investimento nel futuro, un modo per liberare il potenziale umano”: è da questa frase di John Whitmore che vogliamo partire, perché dice tutto.
Il coaching è investimento. È investimento sul potenziale umano. E quindi è investimento sul futuro.
Introdurre un percorso di coaching nella propria organizzazione è una mossa che sprigiona le potenzialità individuali dei collaboratori e si riflette a cascata sul mindset dell’intera azienda.
L’HR è colui che ha il potere di far capire l’importanza di tutto questo all’organizzazione di cui fa parte.
Quindi, non perdiamoci in lunghe premesse e andiamo a scoprire cosa sia il coaching e quale valore possa portare in azienda.
Coach: quando sentiamo questa parola la prima cosa che ci viene in mente, generalmente, è un allenatore sportivo.
Se poi ci fermiamo a riflettere possiamo fare un passo avanti e pensare a questa figura più in generale come una persona che “accompagna”, che ci affianca in un percorso, accompagnandoci nella creazione della strada per andare da un punto “a” a un punto "b".
E se vogliamo compiere un ulteriore step, possiamo vedere il coach come una persona che fa crescere, che crea consapevolezza.
Bene, considerato questo siamo pronti a definire cosa sia il “coaching”: ossia un percorso guidato da un esperto qualificato che si focalizza sull'ampliamento delle competenze e delle risorse di un individuo. Attraverso l'analisi delle aree dove esiste un margine di miglioramento, il coach elabora un piano strategico mirato a facilitare il conseguimento di obiettivi, sia nella vita personale che in ambito professionale.
L’obiettivo è rendere il coachee, cioè colui che viene accompagnato nel suo percorso di coaching, più consapevole.
Consapevole delle sue potenzialità, delle sue difficoltà, delle distrazioni che lo allontanano dal suo obiettivo e di quale sia, appunto, questo obiettivo.
Ci sono dei momenti in cui tutti noi agiamo per “automatismi”: come se avessimo dei programmi pre-installati nella mente, che ormai vanno avanti per inerzia e ci conducono nella quotidianità.
Ma cosa succederebbe se li mettessimo in discussione e se li analizzassimo per capire come migliorarli, ottenendo il massimo da noi stessi?
Ecco, il coach è colui che arriva per porre domande, per stimolare la persona a guardare dentro di sé, analizzare i suoi meccanismi e capire dove poterli aggiornare o potenziare.
Ecco come definisce il coaching Marco Rangoni, Senior Consultant e Business Coach:
“Il coaching non è puramente “formazione”: è un percorso strutturato di potenziamento, che prevede un’attivazione da parte del coachee, un suo desiderio di impegnarsi in prima persona per esplorare nuove prospettive, sviluppare nuove competenze e crescere come individuo e come professionista.
Si tratta quindi di un’evoluzione rispetto ad una semplice condivisione del proprio sapere: è piuttosto, invece, un modo di porre domande per suscitare intuizioni nell’altra persona, per liberare il suo potenziale e massimizzare le sue prestazioni.
Quello che un buon percorso di coaching deve fare è: aiutarci a superare i nostri limiti.
Per comprendere concretamente questo meccanismo vi sottopongo una semplice esperienza proprio ora mentre state leggendo:
Allungate un braccio davanti a voi con un dito puntato, poi ruotate di 180 gradi e osservate il punto che state indicando con un dito. Tornate a guardare di fronte a voi sempre con il braccio teso in avanti e ripetete la rotazione di 180 gradi con gli occhi chiusi.
Il punto che indica il vostro dito è lo stesso?
Forse, molto probabilmente, lo avete superato e state indicando un punto più lontano.
Quando ci affidiamo e non guardiamo i limiti, siamo in grado di superarli.”
Benissimo, fatta questa doverosa premessa, sarà facile capire come tutto questo si possa declinare all’interno delle aziende, con un percorso strutturato di coaching aziendale, o business coaching.
Il business coaching altro non è che un percorso collaborativo offerto dall’azienda ai propri dipendenti che ne abbiano bisogno, finalizzato a migliorare le loro prestazioni personali e aziendali: attraverso sessioni individuali strutturate, i coach aiutano i dipendenti a identificare determinati obiettivi, sviluppare e potenziare le skills e superare eventuali ostacoli.
I punti su cui si andrà ad agire sono essenzialmente tre:
Le attività di business coaching agiscono come supporto al raggiungimento di obiettivi in molti ambiti. Eccone alcuni esempi:
Il coach accompagna il coachee nel capire come lavorare in modo costruttivo per creare autonomia: si darà vita a uno schema che non si esaurirà alla fine del percorso, ma che si potrà replicare e applicare in futuro per risolvere altre sfide personali e professionali.
C’è poi un altro elemento fondamentale: il nuovo schema mentale non gioverà solo alla persona che ha intrapreso il percorso di coaching, ma si rifletterà anche sul team che quella persona gestisce o con cui lavora. In pratica, si diramerà a cascata su tutta la sua squadra.
Detto questo sorge spontanea una domanda: il coach che si dedicherà ai collaboratori è meglio che sia interno o esterno all’azienda?
Considerata la natura stessa del coaching, la risposta è: meglio esterno.
E la motivazione è molto semplice: è necessario che sia una persona super partes, non legata all’azienda e ai suoi obiettivi di business.
In questo modo il percorso potrà avvenire in totale trasparenza e il collaboratore potrà essere sereno nell’affidare al coach il suo percorso di riscoperta e consapevolezza.
Con una persona esterna, infatti, i dipendenti si apriranno maggiormente, saranno onesti e sinceri nel prendere consapevolezza dei propri punti di forza e di debolezza, e si sentiranno completamente liberi di definire quali obiettivi sia professionali che individuali vorrebbero raggiungere.
Del resto ciò che accade in ogni seduta individuale non verrà riferito al manager o all’HR, che saranno informati sull’andamento generale del coaching e vedranno con i propri occhi i risultati benefici sul lavoro della singola persona, senza però invadere il suo spazio personale.
Lo abbiamo testato anche in Reverse, grazie alla collaborazione con Marco Rangoni, Business Coach esterno all’azienda. Abbiamo lavorato sia con membri del team IT, sia con Head Hunter e Sales Consultant e in tutti i casi il percorso si è dimostrato di successo.
Ecco le parole di Silvia Orlandini, Chief People Officer in Reverse:
“Il coaching è un percorso altamente personalizzabile che si deve modellare sulla persona e sulle sue necessità.
Per le figure Head Hunter abbiamo lavorato sulla consapevolezza del loro ruolo e sulla leadership necessaria a diventare team leader e a gestire più persone.
Per le figure Sales Consultant abbiamo invece puntato sull’autoefficacia, sulla capacità individuale di raggiungere l’obiettivo da “agonisti”.
Ma il caso più particolare nel suo genere è stato il percorso di coaching con un membro del team IT, il cui obiettivo era lavorare sulla comunicazione.
Spesso le figure IT vengono viste come “poco coachabili” perché le si considera profili un po’ chiusi nel loro mondo, solitari, “poco comunicativi”. E invece, proprio sulla comunicazione ha voluto lavorare il nostro IT.
Il primo periodo è stato una fase di scoperta: sembrava che fosse molto difficile raggiungere nella pratica gli obiettivi che erano stati prefissati. Il lavoro non era semplice. Eppure, dopo un primo periodo di assestamento, il nostro IT ha cominciato a procedere in modo fluido, si è saputo mettere in gioco accompagnato dal coach.
Alla fine del suo percorso tutti noi abbiamo assistito agli ottimi risultati che aveva ottenuto e ha ricevuto ottimi feedback dal suo manager. Oggi, a distanza di un anno e mezzo, anche secondo l'opinione del suo manager ,i benefici del percorso sono ancora tangibili . E, come lui stesso ci ha riferito, si riflettono positivamente anche sulla sua vita privata.”
Insomma, il coachee si prende la responsabilità del suo cambiamento e il coach lo guida in questa riscoperta personale, aiutandolo a trovare la sua strada.
Si apre però una questione: ma se la persona che ha ricevuto il coaching cambiasse così tanto da voler cambiare anche lavoro e licenziarsi?
Eh già, è una possibilità concreta.
Se ci pensiamo bene però anche questo può avere un risvolto positivo: a volte infatti si prende consapevolezza di non riuscire a pieno in un ruolo perché non si è la persona giusta nel posto giusto.
In ottica di sviluppo, acquistare questa consapevolezza è vantaggioso sia per il collaboratore che per l’azienda: il collaboratore troverà la sua strada e un lavoro più tagliato per le sue capacità, l’azienda invece potrà trovare una risorsa più motivata e più adatta a quel ruolo, guadagnandone sul lungo periodo.
Quello che bisogna sempre tenere a mente è che il coaching è un investimento sulle persone che sarà un guadagno per l’azienda sul lungo termine.
Ora, facciamo un ulteriore step.
Se è molto importante affidarsi a un consulente esterno, questo non significa che anche i manager interni all’azienda non possano avere un’attitudine da coach, anzi.
Se un leader diventa, lui stesso, un coach, compie un grande passo avanti avanti nella gestione del suo team: in questo modo non sarà più solo una guida tecnica, ma un vero e proprio accompagnatore nella crescita professionale delle sue persone. Un manager di valore, che sappia ascoltare, capire le potenzialità di ognuno e aiutare a raggiungere le mete individuali e di team.
Ne parla anche l’Harvard Business Review : una volta il manager era colui che sapeva fare, insegnava come farlo e valutava le prestazioni.
Oggi non è più così. Il cambiamento rapido, costante e dirompente è ormai la norma, e ciò che ha avuto successo in passato non è più una guida per ciò che avrà successo in futuro.
I manager del ventunesimo secolo non hanno (e non possono avere!) tutte le risposte giuste.
Per far fronte a questa nuova realtà, le aziende stanno passando a nuovi paradigmi: un modello in cui i manager forniscono supporto e guida piuttosto che istruzioni, e i dipendenti imparano ad adattarsi ad ambienti in costante cambiamento in modo da liberare nuove energie, innovazione e impegno.
Il ruolo del manager, in breve, deve essere quindi sempre più vicino a quello di un coach.
Il termine “coaching” si allarga: i consulenti esterni sono vitali e fondamentali, ma la cultura del coaching va poi estesa all’intera cultura dell’organizzazione.
È il fenomeno di cui parlavamo prima: la persona che riceve un percorso di coaching personalizzato da un esterno, sarà poi in grado di riflettere la nuova forma mentis su tutto il suo team.
Noi stessi crediamo molto in tutto questo e in Reverse ai percorsi di coaching individuali abbiamo affiancato dal 2022 il Team Leader as a Coach. Si tratta di un corso manageriale specificamente progettato per i team leader aziendali, con l'obiettivo di formarli nella gestione efficace delle persone all'interno dei loro team e di stimolare in loro la voglia e le competenze di essere non solo guide operative, ma anche veri e propri accompagnatori verso il raggiungimento degli obiettivi per i membri del proprio team.
Il coaching diventa quindi un’arma potentissima e molto positiva nelle loro mani.
Non possiamo che concludere con una riflessione fondamentale.
Offrire un percorso di coaching a chi ne ha bisogno è uno dei regali più belli che si possano fare ai propri dipendenti.
Il coaching è un investimento che porta valore tangibile, è la dimostrazione che l'organizzazione “vuole bene” alle sue persone e, di conseguenza, nobilita il ruolo dell’HR che saprà farne capire l’importanza all’interno della propria impresa.
L'HR Manager diventa infatti cruciale nel promuovere percorsi di coaching aziendale.
In quest’ottica l’HR diventa il supporto chiave per lo sviluppo individuale delle sue risorse interne e, di conseguenza, per lo sviluppo del business dell’intera azienda.
Spinge, cioè, a fare l’azione con cui abbiamo aperto questo articolo.
Investire.
Sul futuro.