Come attrarre i nuovi talenti digital native? Ecco alcuni suggerimenti dati da VGen, la startup che dell’Employer Branding per i giovanissimi ha fatto il suo core business.
Le persone continuano a costituire un asset strategico per ogni business, ma la presenza nel mondo del lavoro delle nuove generazioni, i Millennials e gli Zoomers, ci spinge ad aggiornarci. Grazie a loro, stiamo assistendo a un cambiamento dei paradigmi tradizionali: secondo una ricerca effettuata da EVA, HR Marketing Agency, i nati dal 1980 al 2000 hanno un diverso modo di approcciarsi al mondo del lavoro, sia in termini di ricerca di lavoro, sia di aspettative da parte dell’azienda per cui lavorano.
Le imprese, dunque, non possono far altro che adeguarsi e adattarsi a questa evoluzione e cercare il più possibile di ingaggiare i migliori talenti presenti sul mercato. In questo scenario spicca chi va oltre la sopravvivenza e intraprende abbraccia la strada dell'innovazione: tra questi troviamo VGen.
Per la rubrica La parola all’HR, abbiamo parlato con il suo founder, Gabriele Belfiore, su cosa significa fare employer branding oggi e quali difficoltà possono incontrare sia le aziende che i giovani nel fare il match perfetto.
In Italia l’Università è ancora distante dal mondo del lavoro. L'elemento cruciale è che l'ingresso nel mondo del lavoro è molto lontano da quando si inizia a studiare: chi fa un percorso di tipo 3+2 spesso lavora solamente durante o dopo il conseguimento della laurea magistrale. In molti altri paesi europei, si entra nel mondo del lavoro già durante la triennale, e a volte basta solo questo titolo per inserirsi e avviare la propria carriera.
Basti pensare che gli italiani sono i lavoratori più vecchi d’Europa: in Italia, solo il 12% degli occupati ha tra i 15 e i 29 anni, mentre in Inghilterra, per esempio, si arriva al 23,7%.
VGen nasce tra i banchi universitari, con la voglia di avvicinare il mondo del lavoro a quello accademico. La volontà dei founder era quella di portare un approccio innovativo, di fare chiarezza su quelli che saranno i lavori del domani e sulle tecnologie del futuro, per preparare i giovani e invogliarli a essere la figura del cambiamento in azienda.
La cosa interessante è il ruolo di ”mediatore” in cui VGen si è calata: da una parte avvicinando gli studenti al mondo del lavoro attraverso attività digitali, dall'altra aiutando le aziende a raccogliere gli interessi dei giovanissimi, per migliorare nell'ambito della talent acquisition.
Da una community nazionale di talenti STEM e Business, VGen è diventata nel 2019 una start-up che digitalizza i processi di talent acquisition tramite Challenge, Virtual Internship, Hackathon e Business Game digitali.
Fare community ha un valore altissimo per le aziende oggi: non significa soltanto “partecipare” alla discussione, ma accorciare le distanze tra l’azienda, come ente astratto, e le persone che ci lavorano e per cui si lavora.
I vantaggi per le aziende che decidono di entrare a far parte delle community sono enormi: a livello di personal branding, di employer branding, di awareness ma anche di valore commerciale. Il contatto diretto con le persone ti fa capire se stai andando nella direzione giusta, se i tuoi prodotti piacciono o se i tuoi valori sono chiari. Costruire una community però richiede impegno e pazienza, è essenziale essere attivi, pubblicare contenuti giornalmente e soprattutto interagire con la propria audience. Anche il tone-of-voice assume un ruolo fondamentale all’interno delle community, che dovrebbe essere “dal basso verso il basso”, alla pari con quella del proprio pubblico.
Gli ultimi fattori non trascurabili sono quelli della fiducia e del tempo: se si costruisce una community oggi, si avrà un ritorno di valore tra due anni. Tutto quello che si crea non ha valore economico finché non si raggiungono numeri importanti, a differenza dell’immediatezza di una campagna advertising, per fare un esempio. Ma quando la community cresce, l’azienda si è assicurata la visibilità e la fiducia della propria audience con cui ha creato un legame. Che siano le aziende stesse a creare la proprie community o che chiedano di collaborare con community di appassionati già esistenti, di sicuro è un terreno fertile per sviluppare l’Employer Branding.
Cerchi suggerimenti per la tua strategia di Employer Branding? Leggi la guida:
Perché è così strategico ingaggiare i Millennials (o generazione Y, che comprende i nati dal 1980 al 1994 circa) e gli Zoomers (o generazione Z, cioè tutti i nati dal 1995 in poi)? Le nuove generazioni sono digital native e rappresentano una risorsa essenziale in questo momento caratterizzato da una forte spinta verso la digital transformation: avere un punto di vista nuovo, fresco e innovativo è fondamentale per la crescita di un’azienda.
Attrarre nuovi talenti non è per nulla banale poiché:
Il settore HR è solitamente quello che resiste di più all’innovazione perché si teme che il fattore umano, cardine su cui si basa tutto il lavoro dell’HR, venga “soffocato” dai processi tecnologici; in realtà, è uno dei settori in cui si possono trarre più benefici.
Il reparto HR è l’anello di congiunzione tra candidati e azienda, è la presenza concreta di tutto ciò che l’azienda rappresenta e si fa portavoce dei suoi valori. L’innovazione nel reparto HR parte dai processi di recruiting e abbraccia anche tutti gli altri processi; a oggi, ci sono diversi trend tecnologici che possono essere applicati in diversi ambiti:
L’Employer Branding si sta evolvendo in contemporanea con il mondo del lavoro e con i nuovi lavoratori che lo popolano o che stanno per farlo. Avere un approccio innovativo al passo con le esigenze e il linguaggio delle nuove generazioni si traduce in una migliore campagna di acquisizione dei talenti e, di conseguenza, in una crescita strategica per l’azienda.
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