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Head Hunter: mediatore culturale per favorire la diversity in azienda

Scritto da Team Reverse | 11 maggio 2022 13.00.01 Z

 

  1. Head Hunter: il mediatore culturale che agevola la diversity
  2. Un’attenzione alla diversificazione fin dalla fase di recruiting 
  3. Tre casi pratici raccontati da Alessandro Raguseo, CEO di Reverse 
  4. Favorire la diversity alla macchinetta del caffè  

 

1. Head Hunter: il mediatore culturale che agevola la diversity

Se è vero che oggi si parla sempre più spesso di diversity, è anche vero che altrettanto spesso le idee al riguardo sono piuttosto fumose e generiche. Molto astratte quando si arriva a dover mettere in pratica delle azioni reali e specifiche. 

L’aiuto che un Head Hunter può fornire in questo senso durante la fase di recruiting è invece molto concreto: la possibilità di relazionarsi ogni giorno con realtà aziendali diverse, multinazionali e internazionali, gli permette di inquadrare la tematica in modo molto pragmatico, lasciando a casa confusi giri di parole. 

Il suo si può definire un osservatorio privilegiato, in grado di fornire al reparto HR un valido supporto per gestire alcune situazioni delicate, rendere l’azienda più attrattiva sul mercato e trovare i giusti talenti che rimangano in azienda a lungo termine. 

In definitiva lHead Hunter si pone oggi come un vero e proprio mediatore culturale: un consulente che aiuta a comprendere non solo le ambizioni dei lavoratori, ma anche le tematiche verso cui sono particolarmente sensibili, soprattutto quelli appartenenti alle giovani generazioni. 

In questo senso lo possiamo considerare un agevolatore della diversity, dove per diversity intenderemo la diversificazione all’interno di un’organizzazione in senso lato: un’inclusività non solo di genere, etnia, cultura e nazionalità, ma anche di profili professionali e di generazioni differenti tra loro. 

 

1.1 Perchè agevolare la diversity in azienda?

Qui è doverosa una piccola premessa: perché è importante porre un occhio di riguardo alla diversificazione delle proprie risorse? 

È sempre più evidente: inserire nel tessuto aziendale persone provenienti da contesti diversi, di età e culture differenti, apporta una notevole spinta evolutiva allo sviluppo dell’impresa. La “contaminazione” di idee è fondamentale per le organizzazioni e non può avvenire in ambienti statici. 

A queste necessità si affianca poi una sensibilità sempre maggiore delle nuove generazioni per tematiche che riguardano la parità di genere, il rispetto, l’inclusione e il multiculturalismo. 

Un’azienda che si dimostrerà ricettiva nei confronti della diversity, non solo guadagnerà una maggiore ricchezza di idee all’interno della sua organizzazione, ma risulterà anche più attrattiva sul mercato. 

I vantaggi quindi che ne derivano sia per le aziende che per le sue risorse sono indubbi; riepiloghiamoli: 

  • Tutela: candidati e collaboratori si sentiranno rispettati nella loro individualità dall’azienda per la quale lavorano o si stanno candidando
  • Employer branding: le aziende che dimostreranno sensibilità e impegno concreto verso tematiche molto sentite tra i lavoratori di oggi, ne guadagneranno in termini sia di Talent Attraction che di Talent Retention. 
  • Redditività: Uno studio condotto da McKinsey & Company ha rivelato che le aziende più diversificate al loro interno, hanno sempre più probabilità di superare in quanto a redditività le imprese meno diversificate.
Come abbiamo detto, un “contagio” di idee provenienti da culture, età e profili professionali differenti non può che far progredire la propria azienda. Senza contare che un mindset aperto amplia notevolmente il bacino di candidati a cui si può attingere e tra cui individuare i migliori talenti. 

Oggi occuparsi attivamente di diversity non è più un “nice to have” ma una vera priorità per essere proiettati nel futuro e competitivi sul mercato. 

 

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2.  Un’attenzione alla diversificazione fin dalla fase di recruiting

Tuttavia, se da un lato rendere la propria impresa diversificata e porre la giusta attenzione all’inclusività è diventato imprescindibile, dall’altro non per tutte le imprese è un percorso immediato: spesso necessita di un esperto supporto esterno, tanto più in una società che attraversa costantemente cambi repentini di trend e di direzione. 

Recruiter e Head Hunter sono spesso il primo punto di contatto tra i candidati e le aziende e possono essere utili alleati per favorire la diversificazione aziendale partendo da un’attenzione alla diversity già in fase di recruiting: 

  • essendo figure esterne al reparto HR, hanno per definizione un occhio “esterno”. Questo è preziosissimo per individuare in maniera obiettiva eventuali bias connaturati nel processo di selezione aziendale e che quindi ormai sfuggono agli occhi “abituati” di chi lavora all’interno dell’organizzazione; 
  • avendo un osservatorio su decine e decine di aziende a livello internazionale, sono costantemente aggiornati sulle tematiche calde che sensibilizzano candidati e collaboratori di tutto il mondo. Non solo, sono anche a conoscenza di come le altre imprese gestiscono queste tematiche al loro interno. Possono fornire utili esempi sia di casi virtuosi da prendere a modello, sia di casi da non emulare;
  • grazie al network e agli strumenti digitali di cui dispongono gli Head Hunter, si può ampliare notevolmente il pool dei candidati da intervistare. Accedendo a un bacino più ampio è quindi possibile aumentare la diversificazione delle risorse in azienda;
  • dal loro osservatorio gli Head Hunter possono garantire una panoramica sul mercato del lavoro ad ampio spettro: la visione allargata su diverse realtà aziendali permette loro di capire quali siano le figure più utili per lo sviluppo delle singole imprese in base alle loro necessità. 
Soprattutto in un mondo del lavoro che sta andando incontro a una sempre maggiore digitalizzazione, le figure da inserire sono sempre più diversificate e l’Head Hunter è una valida spalla in questo senso, come vedremo tra poco.

 

3. Tre casi pratici raccontati da Alessandro Raguseo, CEO di Reverse

“Chi si occupa di Risorse Umane ha a che fare ogni giorno con il tema della diversità e in qualità di società di Headhunting abbiamo la possibilità di osservare la tematica sotto molti punti di vista: ogni giorno abbiamo sotto gli occhi una moltitudine di aziende, sia italiane che estere, alle prese con una difficile gestione di diversity e inclusion.  Vi propongo di seguito tre esempi di casi pratici a cui abbiamo assistito negli ultimi tempi:

  1. Andrea (nome fittizio) è un ingegnere del settore automotive. Ci troviamo nella parte finale del processo di selezione: i giochi sono fatti, l’azienda cliente è convinta di Andrea e delle sue skills ed entrambe le parti sono pronte a firmare il contratto. C’è però un punto importante da tenere in considerazione: Andrea è un “ingegnere a rotelle”, come dice lui con serenità, ovvero si trova su una sedia a rotelle. Situazione che può conciliarsi perfettamente con il suo ruolo da ingegnere, impegnato a lavorare davanti al pc. Se non fosse che l’HR Manager, forse non di proposito, pronuncia una frase alquanto infelice durante il colloquio per la firma del deal: “Tu Andrea sei anche una categoria protetta, oltre che bravo: con te abbiamo fatto bingo.” Il deal ovviamente è saltato. Non staremo a dare facili chiavi di lettura dell’accaduto, ma è chiaro che il sottolineare maldestramente la diversità ha portato il candidato a declinare l’offerta. Consultarsi con l'Head Hunter è necessario anche per evitare spiacevoli inconvenienti come questo. 

  2. Marcus è un candidato tedesco. Un’azienda vuole sostituire la sua rete di agenti in Germania con una rete diretta e ha necessità di trovare il primo Sales Manager che in futuro possa gestire un team: il candidato che supera il processo di selezione è Marcus. A questo punto l'azienda per policy ci chiede la verifica della busta paga di Marcus e questo manda in crisi la relazione professionale: il candidato tedesco vede la richiesta come una mancanza di fiducia nella sua parola, e non come una procedura consueta. In Germania infatti non è solito effettuare una verifica della busta paga, ma ci si fida delle informazioni dichiarate dai candidati. In questo caso è stato necessario un lavoro di mediazione culturale per spiegare all’azienda italiana il punto di vista del candidato e a lui le consuetudini del nostro Paese. 

  3. Il terzo caso è quello di Violette. Un'azienda francese ci chiede di cercare una figura manageriale e Violette è perfetta sia come profilo professionale sia perché fortemente interessata al brand. Tutto procede nel migliore dei modi fino a quando l’HR Director dell’azienda ci comunica di voler chiedere a Violette se abbia intenzione di avere figli a breve. In questo caso l’opera consulenziale dell’Head Hunter di riferimento si è rivelata preziosa perché ha saputo mostrare all’HR un’altra prospettiva possibile: e se per una volta l’azienda non chiedesse a un candidato se ha intenzione di mettere su famiglia ma mostrasse invece  quali sono le iniziative e le policy del brand legate alla genitorialità? Rovesciare la prospettiva in ottica di accoglienza e non di difensiva. L’azienda si è lasciata tentare da un approccio nuovo e ha fatto una telefonata di caldo benvenuto a Violette. Se Violette deciderà in futuro di essere genitore saprà di essere tutelata dalla sua azienda, e questa serenità le consente di dare il meglio di sé fin da subito. 

  4. Il quarto e ultimo caso che proponiamo è quello di Marco. Un’azienda tedesca ha la necessità di assumere una risorsa per la sua filiale in Italia e noi presentiamo, tra gli altri, Marco, candidato italiano. L’HR tedesco chiede che Marco presenti delle referenze da parte delle aziende nelle quali ha lavorato precedentemente: una prassi comune in Germania, non tanto in Italia. Il candidato si procura quindi prontamente una lettera di referenze, che però inizialmente non soddisfa le aspettative dell’HR tedesco. La lettera, infatti, presenta il candidato con termini positivi ma moderati e questo in Germania è percepito come un feedback tendenzialmente non rilevante o addirittura negativo. Infatti nonostante il rigore che siamo soliti associare al popolo tedesco, è consuetudine degli HR Manager dimostrarsi entusiasti di un collaboratore per trasmettere al collega di un'altra azienda un feedback positivo, mentre una lettera più moderata è vista come un modo cortese per sconsigliare il candidato.
In questo caso ci troviamo di fronte a un esempio di clash culturale: un’incomprensione dovuta alla differenza culturale, risolto grazie alla mediazione di un Head Hunter che conosce a fondo entrambi i Paesi. 

 

4. Favorire la diversity alla macchinetta del caffè

Gli Head Hunter in definitiva mediano ogni giorno tra diversità che si devono unire in un matrimonio: si tratta di spiegare quali siano i vantaggi di inserire determinate figure professionali o determinati candidati all'interno del tessuto aziendale.

Quando parliamo di inclusione, come dicevamo prima, la intendiamo in senso lato: un’inclusività non solo di genere ed etnia, ma anche di figure professionali e di generazioni diverse tra loro. 

Negli ultimi anni stiamo assistendo allo sviluppo esponenziale di nuovi profili tecnici necessari per le imprese. Sono figure emergenti richiestissime ma di cui spesso non si conoscono bene le caratteristiche e le aspettative: quali sono le soft skills da prediligere in questi candidati? Quali le capacità tecniche utili per la propria impresa?  Che tipo di personalità hanno? Come attirarle e come integrarle con il resto dell’organizzazione? 

Compito degli Head Hunter è quello di guidare le imprese nella comprensione di queste figure, per inserire le giuste risorse e perché appunto possa avvenire il miglior “sposalizio” possibile tra candidati e azienda. 

Come abbiamo accennato è utile l’occhio esterno di un Head Hunter anche per rendersi conto che un candidato, scartato inizialmente a causa di bias più o meno consci connaturati al reparto HR interno, può essere in realtà la persona più giusta per le esigenze aziendali. Che siano bias legati al genere, all’etnia, all’età o alla professione, una consulenza esterna è in molti casi la giusta chiave per superarli. 

Ma non ci si ferma qui. Anzi, assumere in modo diversificato è solo il primo step. 

Per avere davvero un’azienda inclusiva, il vero lavoro inizia dopo l'assunzione, tra i corridoi e alla macchinetta del caffè. 

La scarsa attenzione alla diversity tra le pareti dell’ufficio è uno degli aspetti peggiori per un’azienda e una delle motivazioni che può spingere le risorse ad andarsene. 

Una parola fuori posto, una battuta fuori luogo davanti a un caffè, anche involontaria, può ferire la sensibilità di qualcuno e rovinare anche il miglior clima aziendale. 

Può sembrare una banalità, eppure non lo è affatto: gli esseri umani preferiscono stare in luoghi in cui si sentono accolti all’interno di una comunità. Se non si sentono integrati tenderanno ad allontanarsene.

Porre la giusta attenzione al rispetto della diversity è quindi un tema da considerare concretamente per trattenere i propri talenti. 

Da affiancare a una buona Talent Attraction c’è sempre una buona Talent Retention, non dimentichiamolo. E talvolta la seconda può richiedere una sensibilità e un’attenzione addirittura maggiori rispetto alla prima. 

La consulenza di un buon Head Hunter non si ferma solo al primo step del percorso: il suo compito è quello di aiutare le aziende ad acquisire talenti, sì, ma soprattutto ad acquisire i talenti giusti. Saper scegliere persone che non abbiano solo le competenze tecniche necessarie, ma anche le soft skills e i valori adatti a una determinata cultura aziendale, è decisivo per trattenere le persone sul lungo termine. 

“Aiutare” rimane comunque la parola chiave. Il reparto HR sarà sempre il centro di comando della gestione delle risorse aziendali, ma affiancarsi a qualcuno che di quei centri di comando ne ha visti tanti non può che apportare dei benefici per la totalità dell’azienda e trasformare in punti di forza quelle che inizialmente possono sembrare questioni delicate e di difficile gestione.