Marco Bernardini, Corporate Quality Director di Gruppo Caprari, si occupa del monitoraggio della qualità di prodotto, della supervisione dei processi e delle certificazioni per il Gruppo a livello global.
Con Reverse collabora come scout per i ruoli collegati alla qualità, dagli operativi ai gestionali, quindi, per esempio quality manager, super quality engineer e continuous improvement manager.
Lo abbiamo intervistato per avere una visione privilegiata di chi il settore Manufacturing&Industrial lo vive quotidianamente dall’interno e, nello stesso tempo, ha il polso su domanda e offerta in termini di professionalità e competenze in questo mercato.
Il settore sta vivendo un periodo critico, molto sfidante. Cambia il paradigma: mentre prima si lavorava con i fornitori in tempi rapidi e con magazzini ridotti, ora c’è la necessità di aumentare la giacenza per non pesare ulteriormente sulla forte latenza che c’è tra domanda e offerta.
Inoltre la carenza di materie prime e i problemi doganali stanno spingendo a un avvicinamento dei siti produttivi.
Tutto questo ha ovviamente un forte impatto sull’operation: da una parte un magazzino ampio crea problemi di spazio e quindi economici; dall’altra l’assenza di margine sui tempi di produzione non permette di recuperare qualora, per esempio, un lotto non sia conforme. In questi casi la produzione potrebbe subire dei rallentamenti che inevitabilmente si ripercuotono sul Cliente finale.
Per questo le organizzazioni del settore stanno cercando di procedere in sinergia con altri partner nazionali e internazionali: si condividono in pratica rischi e successi, come mai prima era accaduto.
Assolutamente sì: c’è una generale difficoltà di reperimento di personale qualificato. Non perché non esista, ma perché l’attuale instabilità del mercato – e del sistema azienda – rende il passaggio da una realtà a un’altra una vera e propria scommessa che molti professionisti non si sentono di azzardare.
Le aziende devono quindi lavorare moltissimo sulla comunicazione e in particolare sulla talent attraction: i profili interessanti si convincono solo se sul piatto c’è un progetto sfidante, tanto per loro quanto per il futuro dell’azienda in generale.
Specularmente esiste anche un problema di retention: mentre in altri settori in questo senso si sta lavorando da tempo sulla culture identity, questo mercato ha ancora come priorità la “concretezza”, soprattutto in un momento storico delicato come questo in cui le energie sono focalizzate sulla risoluzione di problemi legati alle materie prime e alla produzione.
Detto ciò, alcuni passi avanti si stanno facendo e noi stessi in Caprari siamo promotori da anni di un progetto ESG.
Nel settore industriale gran parte delle difficoltà che si incontrano sono legate alle competenze: quelle operative si stanno perdendo nel tempo, perlomeno da quando l’automation ha iniziato a far illudere che le skill umane potessero essere sostituibili (ma, sorpresa, non è così).
Nell’ambito della qualità lavoriamo molto quindi sulla skill matrix, con l’obiettivo di monitorare, trasferire e accrescere le competenze senza che si rischi di perderle per la mancata capacità delle figure senior di guidare i lavoratori più giovani, affiancandoli per fornire loro competenze specifiche e operative.
Sicuramente lo sono, ma non riescono nell’obiettivo di trasferire le competenze ad personam che è invece quello che fa la differenza.
La formazione va quindi direzionata nel modo giusto, ipotizzando percorsi davvero personalizzati, che scendano nel dettaglio e che siano tarati al millimetro sull’area specifica di impiego dei lavoratori che se ne avvantaggiano.
Molto spesso, inoltre, alcuni profili (più o meno specializzati) non hanno a disposizione academy o percorsi di formazione a loro dedicati e questo è un peccato visto che quel che manca è proprio la continuità e l’incremento della competenza operativa.
Capacità di ascolto, di riflessione di trasferimento verso il basso di obiettivi e innovazioni su cui lavorare sono i pilastri su cui deve poggiare la leadership di un manager in questo settore.
Facile? Sicuramente no, perché avere la capacità di impostare il cambiamento all’interno di un’organizzazione significa avere la consapevolezza che questa trasformazione riguarderà prima di tutto se stessi. La volatilità e l’instabilità del mercato obbliga inoltre a ri-orientare continuamente gli obiettivi anche in un range di tempo molto breve.
Di conseguenza il manager “perfetto” non deve provenire per forza da questo mercato se non ha le capacità di leadership descritte sopra.
La conoscenza del settore, ora, è infatti secondaria rispetto a queste capacità: essere troppo immersi nel proprio contesto, anche in termini di know-how, rischia di sfociare in un tecnicismo assoluto, riduce la delega nei collaboratori e quindi diminuisce la motivazione soprattutto nei veri talenti, quelli che possono fare la differenza.
Questi ultimi sono infatti scoraggiati quando manca una visione di carriera personalizzata. La leva economica non basta più: è necessario comunicare la progressione del progetto anche in base alle caratteristiche della persona. C’è chi ama avere chiaro il proprio futuro sul lungo periodo e chi invece, nella stessa situazione, si sente alle strette.
In questo contesto tanto ascolto e feedback continui da ambo le parti aiutano a impostare una relazione professionale di successo.
In generale i manager e gli HR di questo settore devono essere bravi a creare un ambiente non tensivo, nel quale accompagnare le persone lungo tutto il loro percorso in azienda per non farle sentire abbandonate, per aiutarle a raggiungere i loro obiettivi e per proporre dei piani di carriera che fittino con i loro interessi.
In un settore che cambia velocemente anche i parametri per il recruiting e l'Headhunting stanno vivendo la rivoluzione.
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