La Mid-Career Crisis, o crisi di metà carriera, spesso condivide con la crisi di mezza età temporalità e motivazioni. Ma mentre la prima è ormai completamente stigmatizzata (anche grazie allo zampino di cinema e letteratura), la seconda è oggetto di riflessioni, più o meno approfondite, che hanno l’obiettivo di evitarla.
Ma cosa succederebbe invece se la crisi di metà carriera venisse accolta, dalle persone che la vivono e dalle aziende che spesso si trovano a subirla, come lo step di una routine da girare a proprio vantaggio?
I paragrafi che seguono ti offrono alcuni spunti per affrontare la crisi di metà carriera in azienda e ti accompagnano in un breve viaggio alla scoperta di un nervo scoperto (sorry for the pun!) da vivere – mi raccomando - senza alcun pregiudizio anagrafico.
La prevedibilità della crisi nelle 5 fasi della carriera professionale
Quella della crisi è una fase che si tende a considerare quasi sempre come improvvisa e sicuramente non prevedibile.
E sì, in molte situazioni è esattamente così: la crisi è la rottura di un equilibrio che porta a scenari nuovi, spesso negativi, che hanno necessità di essere affrontati con gli strumenti adeguati e che, proprio a causa dell’imprevedibilità che li ha generati, possono non essere a nostra immediata disposizione.
A differenza di “altre crisi”, quella di metà carriera presenta un aspetto rassicurante: nella mappatura delle fasi di una vita professionale “media”, infatti, viene praticamente sempre considerata, prima ancora che si verifichi.
Non è merito di una sfera di cristallo: la sua identificazione è invece frutto di una serie di indagini predittive basate, per la maggior parte, sulla valutazione empirica delle esperienze – di vita e professionali – di molti lavoratori.
Sapere che una crisi (quasi) sicuramente ci sarà, dà la possibilità di attrezzarsi per affrontarla nel migliore dei modi, facendosi trovare preparati, nei limiti del possibile.
Per capire perché la crisi è praticamente una tappa sicura, occorre prima di tutto posizionarla lungo le 5 fasi della vita professionale:
Garantire un' Employee Experience ottimale in tutte le tappe professionali delle proprie risorse è una strategia di Employer Branding vincente.
Scopri come riprogettarla grazie alla User Experience:
Parlare di Mid-Career Crisis nel momento storico che stiamo vivendo fa quasi sorridere: è come guardare il dito, invece della Luna. Ma nello stesso modo distogliere l’attenzione da un fenomeno che comunque esiste, qualsiasi cosa accada là fuori (pandemie, guerre, minacce di austerity contemporanee), mette ancora più in pericolo il benessere delle persone, da una parte, e quello delle aziende, dall’altra.
In un articolo di qualche mese fa, avevamo parlato di Great Resignation, il fenomeno delle dimissioni di massa che sta interessando trasversalmente Paesi e settori merceologici, e che, perlopiù, sta riguardando proprio le persone che si trovano “a metà” della loro carriera.
L’impressione, quindi, è che oltre alla crisi di metà carriera “tradizionale”, si sia aggiunto un tassello di complessità: la crisi globale influenza non solo la quotidianità delle persone, ma anche le loro aspettative, i loro desideri, la loro idea di futuro. E questo, ovviamente, è un bel modo di scombinare le carte nel mazzo.
Se fino a un paio di anni fa si sapeva che a un certo punto della partita sarebbero state distribuite le “matte”, ora si fa infatti fatica a prevedere cosa si pescherà, anche quando le carte le si sanno contare bene.
È proprio in questo contesto, complesso e variegato, che le aziende e in particolare gli HR devono impegnarsi prima di tutto per accogliere il momento della crisi, se possibile prevenendolo, e poi per supportare i lavoratori ad affrontarlo.
In questa situazione considerare un itinerario a tappe può essere di aiuto:
Innanzitutto, chi sono principalmente i professionisti in crisi? Si tratta soprattutto di profili che ricoprono posizioni di seniority o mid -level seniority e che ormai guardano al proprio passato con rimpianto. Invece di concentrarsi sui dettagli del proprio presente, astraggono la propria vita professionale, riducendola a opportunità mancate e concentrandosi sulle “sliding doors” incontrate lungo il percorso (come ci insegna il cinema). Si inizia a valutare ciò che (non) si è fatto, dove si è arrivati, quel che sarebbe stato possibile.
Il primo passo per affrontare questi lavoratori in crisi è quindi offrire loro un supporto in termini di assessment che sia strutturato, ma non invadente, guidato, ma comunque oggettivo.
L’ astrazione – in queste situazioni – può alla lunga diventare critica. Occorre affrontare la situazione in modo concreto e pragmatico, focalizzarsi sul dettaglio ed essere specifici. La crisi di metà carriera va, in pratica, spacchettata in micro-problemi: quali sono le cose (attività, relazioni, responsabilità, ecc.) non più “sopportabili”? Definire le singole criticità aiuta a comprendere se esistono soluzioni – sul breve e lungo periodo – per superarle.
Posto che non si dovrebbe aspettare una crisi per favorire la comunicazione tra le persone in azienda, invitare la condivisione di aspettative, problemi e visioni è un ottimo modo per ridurre le complessità, trovare nuovi sbocchi ed essere supportati nella risoluzione delle criticità.
Capita spesso che le persone in crisi si sentano ingabbiate in un ruolo (o in un’azienda) per il quale danno tanto, ma che dà loro poco indietro. Occorre quindi permettere di avere visione delle cose da prospettive diverse, così come di integrare e differenziare know-how e competenze, soprattutto quando sembra che non sia più necessario, per la seniority maturata, magari, o per la mansione ricoperta.
In questo contesto offrire la possibilità di percorsi di formazione è un ottimo modo per permette di prendere, metaforicamente parlando, una boccata d’aria a chi sembra stia soffocando. La formazione non consente solo di “aggiungere competenze”, ma apre le porte a nuovi modi di pensare e di approcciare la propria realtà.
Ce lo ha insegnato la crisi (globale), ce lo conferma la Great Resignation: lo scenario in cui ci muoviamo non è (più) lineare, ma è episodico. Lavorando nelle HR, è necessario prendere atto di questa nuova normalità: sarà sempre più frequente cercare e sfruttare dei perni – interni a sè stessi o forniti dal contesto sociale – sui quali far ruotare la propria carriera.
Ora che abbiamo parlato di come affrontare nel concreto la Mid-Career Crisis, analizziamo più da vicino di che cosa si tratta. Come avviene per tutte le cose infatti, anche per fronteggiare al meglio la crisi di metà carriera delle tue risorse, è necessario innanzitutto capire in cosa consiste e dove affonda le sue origini.
Te la presentiamo, quindi, proprio come faremmo se fosse una persona. Ti diciamo da dove viene, quanti anni ha (ebbene sì), come fare a riconoscerla se non l’hai mai incontrata prima e qualche suggerimento su come averci a fare.
Da dove viene
È il 1965 quando lo psicoanalista Elliot Jaques conia il termine “crisi di mezza età”. E non lo fa pensando ai suoi pazienti 40-50enni che intrattengono relazioni extra-coniugali per combattere la presunta noia matrimoniale (ecco il famoso stigma), ma si riferisce a quella fase di calo creativo che da sempre colpisce uomini e donne “nel mezzo del cammin” della loro vita (anche se rispetto ai tempi di Dante le pagine del calendario sono più avanti di una decina di anni). Fa l’esempio di Michelangelo e di Gauguin, a dimostrazione che anche “il genio” subisce momenti di confusione, di crisi appunto.
Negli anni Sessanta quello di Jacques è uno dei primi tentativi di parlare dei sassolini nelle scarpe di uomini (soprattutto) e donne che, a un certo punto, sembrano perdere la presa della loro felicità. Qualche decennio più tardi, le ricerche sulla soddisfazione della vita diventeranno centrali per valutare le scelte personali e professionali delle persone.
Nel 2008 due economisti, David Blanchflower e Andrew Oswald, formalizzano la curva a U (U-Shape) dell’esistenza di (praticamente) tutti noi. Si tratta di un modo di misurare felicità e soddisfazione: la curva è “alta” tra i 20 e i 40 anni, momento in cui si stabilizza (ti ricordi le fasi della carriera nel paragrafo precedente?) per poi andare incontro a un’inesorabile discesa che si inverte in tarda età.
In soldoni, si è più felici da anziani di quanto non lo si sia a 45 anni.
Quanti anni ha
Il punto di rottura che determina la crisi di mezza età e quindi quella di metà carriera è proprio la fase di discesa della curva: l’infelicità che si manifesta non è frutto di quel che ci sta intorno, ma della percezione che ne abbiamo.
Studi e ricerche alla mano, è chiaro che in quel momento della vita qualcosa dentro di noi cambia e se a cambiare e se lavoro, relazioni e quotidianità in generale non cambiano con noi, ecco che subentra l’insoddisfazione, mandandoci in crisi.
Determinare l’esatta età della crisi di metà carriera è complicato: innanzitutto perché ognuno di noi vive evoluzioni e involuzioni differenti sia nella forma, sia nell’aspetto temporale. Inoltre, anche il contesto – sociale, culturale ed economico – nel quale siamo immersi determina il momento della comparsa del malessere.
In sostanza, però, ci si è sempre trovati d’accordo nel posizionare questa “confusione” nel decennio che sta tra i 40 e i 50 anni (mese più, mese meno). Quel che si è notato, infatti, è che al netto del proprio percorso professionale, delle opportunità vissute e di quel che si è concretizzato, è a questa età che le persone iniziano a guardarsi indietro e, col temibile senno di poi, a mettere sul tavolo rimpianti e rimorsi.
Gli studiosi lo hanno definito un momento “filosofico”: le domande “cosa sarebbe successo se avessi accettato quel lavoro e non quell’altro?” o addirittura “dove sarei ora se avessi studiato quello che davvero mi appassionava?” sono più che comuni.
Si vorrebbe sapere come sarebbe stata la propria vita se si fossero prese decisioni diverse e la frustrazione di non poterne conoscere i dettagli non può che determinare un cortocircuito.
Che aspetto ha
Dall’attenzione ai dettagli – un approccio che inconsapevolmente adottiamo nella nostra quotidianità – si passa all’astrazione. La propria vita professionale viene ricondotta a un generico “non è più quello che voglio” o a un addirittura peggior dubitativo “è davvero ancora quel che desidero?”.
“Mollo tutto e apro un chiringuito” è la banalizzazione (e anche qui il cinema ci si è recentemente buttato a capofitto) di una fase che, se presa di petto, porta a rinunciare a ciò che professionalmente si è costruito fino a quel momento in favore di un solo e unico obiettivo, il proprio benessere.
Chi ha sofferto della crisi di metà carriera, e qui c’è un racconto molto significativo a proposito, dichiara che il vero problema, spesso, non è il passato (perché, in fondo, fare i conti con qualcosa che non si può cambiare è, alla lunga, relativamente semplice), ma il presente che sembra essere ineluttabile.
Keyran Setiyia, professore al Dipartimento di Linguistica e Filosofia del MIT e autore del libro “Midlife: a philosophical guide”, ha raccontato la propria personale crisi definendola così: “… per me, la fonte più grande del malessere di metà carriera non era il rimpianto del passato, ma il senso di futilità che mi generava il presente”.
Come averci a che fare
La maggior parte dei consigli che vengono dati per affrontare la crisi di metà carriera mette al centro – ovviamente – la persona. Benché sia un’eccellente prospettiva dalla quale osservare il problema, ciò porta a non considerare l’infrastruttura di sostegno che c’è (o almeno dovrebbe esserci) intorno al lavoratore.
Per questo motivo nell’ultimo paragrafo abbiamo inserito qualche suggerimento per chi lavora nelle HR a imperitura memoria che i propri lavoratori vanno sostenuti sempre, sia nel momento di picco massimo della loro U-Shape, sia, soprattutto, quando la curva inizia il suo implacabile “decennio in discesa”.
Senza cadere nella banalità, è interessante però notare come il “prendersi una pausa” dalle proprie incombenze professionali (la famosissima “aspettativa”) sia non solo tra i consigli più gettonati (il web ne è pieno), ma anche un’eventualità che attualmente viene formalmente presa in considerazione (e spesso proposta).
Lo ha recentemente fatto LinkedIn che nei primi mesi del 2022 ha lanciato LinkedIn Career Break, ossia la possibilità di formalizzare e contestualizzare all’interno del proprio profilo LinkedIn le pause lavorative che si è voluto (o dovuto) prendere.
Se da un lato questo permette ai recruiter di avere informazioni di prima mano più realistiche circa il percorso professionale di eventuali candidati, dall’altra toglie lo stigma al “non fare” portando a riflettere che una criticità, come quella del malessere di metà carriera, per esempio, può essere risolta anche grazie a una fase di stallo.
A conclusione di questo percorso immersivo nella crisi di metà carriera, vogliamo porti una domanda (che forse è più una provocazione): ma se fosse l’azienda stessa a fornire – prevenendone la necessità – dei punti di svolta nella carriera dei suoi lavoratori? È lo scenario professionale episodico di cui parlavamo precedentemente.
Al momento sono i Millennials i capifila di una rivoluzione copernicana del modo di affrontare la propria carriera professionale, preferendo il rimbalzo da un’azienda e da una posizione all’altra piuttosto che la progressione nella stesso luogo di lavoro. Tuttavia non è difficile pensare che presto lo stesso modo di agire coinvolgerà tutte le generazioni, dalle più navigate, alle più giovani.
Per invertire questa tendenza, non è forse utile prevenire il bisogno di cambiare lavoro o azienda, prevedendo degli importanti step di crescita e stimolo professionali nelle fasi nevralgiche della vita dei propri collaboratori?
Garantire un' Employee Experience ottimale in tutte le tappe professionali delle proprie risorse è una strategia di Employer Branding vincente.
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