La differenza oggi non è più solo di gen -ere, ma anche di gen -erazione. Un concetto che risuona sempre più spesso nelle aule di incontro tra i professionisti HR.
Ed è una frase che riflette perfettamente la realtà: oggi sul mercato del lavoro coesistono almeno 3 generazioni diverse, che riflettono diverse seniority professionali, e gli approcci con ciascuna di loro devono essere, appunto, differenti.
Le strategie di recruiting, per essere efficaci, devono tenere conto di queste differenze e modularsi di conseguenza.
Andiamo a esplorare quindi in modo dettagliato: le differenze principali tra Gen Z, Millennial e Gen X; le leve motivazionali che ne guidano le scelte; i maggiori timori che li frenano quando devono cambiare lavoro; e infine il diverso approccio che le aziende hanno nel processo di recruiting delle diverse generazioni.
Cominciamo!
Domanda banale? A prima apparenza sì, ma non ci spaventiamo. Se il nostro obiettivo è andare a indagare, tra un attimo, come fare recruiting in modo efficace sulle diverse generazioni, facciamo velocemente il punto su quali siano le differenze più sostanziali tra figure junior e senior.
Una figura junior è, per definizione un professionista agli inizi della sua carriera, che ha quindi poca esperienza ma un enorme potenziale di crescita.
In questo articolo li abbiamo identificati maggiormente con la Generazione Z, quella più giovane, ma sappiamo che non è detto che le figure junior siano sempre solo profili giovani anche anagraficamente. Possono essere anche persone che hanno cambiato lavoro e profilo professionale nel corso della loro vita e che quindi, per il nuovo ruolo che ricoprono sono ancora figure junior, cioè agli inizi del loro percorso.
Qualunque sia il caso e qualunque sia la loro età, la principale caratteristica di questi profili è che sono desiderosi di imparare, di crescere, di formarsi nel mondo del lavoro, poggiando le basi per la loro carriera futura. Credono in aziende che investano su di loro.
Una delle maggiori leve su cui puntare per ingaggiarli sarà quindi, come vedremo, investire in modo significativo sulla loro formazione e offrire loro possibilità di crescita professionale.
Passiamo ora a quelle che vengono definite figure senior: i professionisti con anni di esperienza consolidata nel proprio campo e che grazie alla loro vasta competenza sono in grado di guidare, ispirare e crescere i colleghi più giovani.
I profili più senior vengono identificati soprattutto con la Generazione X, cioè le persone nate tra la metà degli anni '60 e la metà degli anni '80. Tuttavia possono essere anche figure più giovani, che hanno maturato nella loro vita moltissima esperienza in un determinato campo. Pensiamo ai Millennial, alcuni dei quali sono già manager e nel pieno della loro esperienza professionale, pronti a ricoprire ruoli apicali.
Ciò di cui hanno bisogno queste figure è che venga riconosciuto e valorizzato al massimo il loro know-how e che si sentano parte della crescita strategica dell'azienda. Investire sulle figure senior significa offrire loro progetti strategici, di responsabilità, che possano mantenere alto il loro livello di motivazione e soddisfazione professionale.
Doverose premesse fatte, scendiamo ora nel fulcro del discorso: analizziamo nel dettaglio le principali differenze tra Generazione X, Millennial e Generazione Z e le differenti leve motivazionali che le guidano.
Quando parliamo di differenze nell’impostare le strategie di recruiting, certamente l’appartenenza dei candidati a generazioni diverse incide moltissimo, ma sono da considerare anche il contesto sociale, culturale e geografico.
Le differenze tra Gen Z, Millennials e Gen X quando si trovano a cercare o cambiare lavoro esistono, ma è bene ricordare che ogni situazione andrà poi considerata nello specifico e con tutte le sfaccettature del caso.
Detto questo, partiamo con la nostra esplorazione.
Iniziamo da loro, i giovani, indecifrabili, Gen Z.
La Gen Z comprende i nati tra la metà degli anni '90 e i primi anni 2000. Si tratta quindi di candidati che lavorano da massimo 5 anni: stiamo parlando di figure entry level.
I Gen Z si trovano nel momento iniziale della loro carriera e questo comporta avere tante opportunità e offerte tra le mani, ma non solo.
La loro caratteristica principale è la curiosità: sono in una fase esplorativa della vita, hanno voglia di conoscere tutte le occasioni che offre loro il mondo e, inevitabilmente, cambiano lavoro con facilità.
E dal punto di vista comunicativo? La Gen Z è la generazione di Instagram e di Tik Tok, sono svegli, sono smart. E, come abbiamo appena detto, sono curiosi.
Davanti a un contatto o a una proposta sono in genere molto reattivi: rispondono con grande rapidità e spesso danno la loro disponibilità per una chiacchierata conoscitiva.
Esattamente come non esistono muri sui social, non ce ne sono nemmeno con loro, tutto è molto trasparente: la Gen Z abbatte le barriere perché è la generazione che può (e sa) arrivare ovunque grazie a Internet.
Si presentano a colloquio già preparati su tutto: conoscono le informazioni riguardo all’azienda, hanno controllato su Google Maps quanto dista da casa loro la sede, hanno controllato i social aziendali, sanno se sono state messe in atto iniziative sostenibili, volontariato, ecc…
Lo abbiamo detto, sono reattivi e vogliono trovare risposta in fretta.
Consideriamo che i social su cui si muovono li hanno abituati a correre alla velocità della luce. I reel su Instagram e i video su Tik Tok durano in media 30 secondi, e questo si riflette sulla loro soglia di attenzione.
Il parallelismo con i colloqui di lavoro è presto fatto: bisogna catturarli nei primi 10 minuti, altrimenti li perdi.
Bastano poche informazioni, precise e mirate.
Il candidato della Gen Z ti ripagherà con un approccio iper trasparente: metterà subito in chiaro i suoi desiderata (compresa la RAL) e il più delle volte ti saprà dire senza sotterfugi se la tua azienda offre quello che sta cercando oppure no.
Per comunicare con loro bisognerà quindi instaurare un dialogo molto diretto, rapido e trasparente: “Tu che cosa desideri? La mia azienda offre questo. Funziona per te?”
La risposta il più delle volte sarà parimenti diretta e sincera.
Sono la generazione sul trampolino di lancio.
Sono i nati circa tra la metà degli anni '80 e la metà degli anni '90 e stanno diventando oggi manager: devono quindi capire come investire il loro tempo al meglio, professionalmente parlando.
Nati a cavallo tra l’analogico e il digitale, sono anche loro molto abituati alla tecnologia, sono svegli e frequentano il mondo del lavoro già da un po’ di tempo.
Sanno quello che vogliono e fanno in modo di ottenerlo con una grande attenzione alla realizzazione dei propri obiettivi personali.
Sono anche i candidati più “astuti”: il millennial ormai padroneggia molto bene i processi di recruiting, e conosce bene il network.
Focalizzato sui suoi obiettivi “fa di necessità virtù” e cerca di sfruttare i processi di selezione a suo vantaggio. Può capitare quindi che arrivi fino in fondo a più processi e li abbandoni all’ultimo momento in favore di qualcosa di più vantaggioso.
I Millennial cercano l’occasione giusta per fare carriera, ma allo stesso tempo hanno bisogno di flessibilità e work-life balance.
Per loro tra due offerte con la stessa RAL, l’equilibrio-vita lavoro pesa moltissimo oggi, è una delle loro leva motivazionali più forte, come vedremo nel prossimo paragrafo.
Nati tra la metà degli anni '60 e la metà degli anni '80, si dividono generalmente in due categorie: c’è chi è arrivato a fine carriera e ha voglia di tranquillità, non di correre, e ci sono coloro che invece sono ancora ambiziosi, ancora in cerca di stimoli.
Il fattore che li accomuna tutti? Quando si tratta di cambiare lavoro amano affidarsi al proprio network, al passaparola con persone in cui ripongono piena fiducia.
Ciò che davvero conta per loro sono le relazioni interpersonali e questo si riflette anche nel rapporto con recruiter, Head Hunter ed HR: desiderano conoscere a fondo chi li segue nel processo di selezione, ci si affidano, instaurano una relazione stretta quando le considerano persone di fiducia, persone nelle cui mani possono mettersi con sicurezza.
Per loro sarà quindi necessario che il recruiter sia una figura molto presente, che li accompagni da vicino per tutta la durata del processo.
C’è poi un altro aspetto che li caratterizza: nel lavoro non accettano compromessi.
Cercano stabilità, ruoli e aziende solide che possano consolidare la loro carriera (come vedremo a breve).
Fatto un doveroso quadro generale su ciò che distingue i protagonisti del nostro articolo e sul diverso approccio da tenere con ciascuno di loro, passiamo alla domanda clou: ma qual è la killer application, il fattore motivazionale che vince e convince i candidati delle diverse generazioni?
Lo abbiamo chiesto alla nostra Industry Leader, Senior Head Hunter, Marilisa Cappellano:
Per loro ciò che conta di più oggi sono i valori dell’azienda.
E non parlo dei valori scritti sui muri o nelle brochure. Parlo di quelli che davvero si respirano per i corridoi.
Per esempio se un’azienda si definisce sostenibile, quando un candidato della Gen Z valuta l’offerta si chiede: “Cosa fa l’organizzazione di concreto rispetto alle dinamiche green?” “Ha ottenuto certificazioni che attestino il suo impegno?” “I bicchieri che si usano per il caffè sono sostenibili?” “E la carta è riciclabile?”
Gli appartenenti alla Gen Z non si fanno abbindolare dalle belle parole. Vanno a verificare che vengano applicate nel concreto.
Per un valore mancato, potrebbero rifiutare l’offerta.
E poi c’è un altro punto da considerare.
La GenZ, a differenza di quanto si tende a pensare, non è quella più affezionata allo smart working: e questo perché non possiede un confronto tra il prima e il dopo la pandemia, ma lo considera un benefit assodato, dandolo per scontato.
Ciò di cui hanno davvero bisogno i candidati appartenenti a questa generazione è invece la costruzione di un senso di appartenenza, e quindi un ritorno a vivere l’ufficio in presenza, pur mantenendo una certa flessibilità lavorativa.
Hanno bisogno di un punto di riferimento, di un mentore: sentono la necessità di imparare osservando qualcuno con più esperienza di loro, di avere un metro di paragone per capire verso quali obiettivi tendere.
Il loro desiderio è instaurare un rapporto trasparente con i propri responsabili, basato sulla fiducia reciproca e sulla consapevolezza che l’azienda stia realmente investendo su di loro.
Prevedere percorsi di crescita e di accompagnamento saranno quindi forti plus per attrarre questa generazione.
Per i Millennial, invece, le killer application sono due: smart working e valore del progetto.
I Millennial hanno vissuto il pre e il post pandemia, il pre e post flessibilità e ora non vogliono più tornare indietro.
Per loro lo smart working è un “must have” e, a differenza della Generazione Z, non si sono appena affacciati al mondo del lavoro, quindi sentono meno la necessità di imparare in presenza.
Anzi, si trovano in quella fascia di età in cui molti iniziano a creare una famiglia, a essere genitori. E sempre di più anche i padri, oltre alle madri, rivendicano l’importanza della loro genitorialità.
“Desidero tempo per fare il padre” è una frase che si sente sempre più spesso e che si affianca a un forte desiderio di flessibilità.
Anche i Millennial sentono il bisogno di vivere il team in presenza, ma la discriminante quando devono scegliere un lavoro è se possono gestirsi o meno tempi e spazi in autonomia.
L’altra discriminante è il valore del progetto: i Millennial sono in una fase della vita in cui vogliono davvero fare carriera, investire su se stessi seriamente.
Quindi scelgono con cura una realtà che possa offrire loro qualcosa di vero valore su cui puntare, un progetto che possa davvero farli crescere professionalmente. Puntano su aziende che possano far fare loro un vero scatto di qualità, sia come ruolo che come progetti da gestire che come notorietà del brand.
Per la Generazione X l’elemento davvero importante è uno: la stabilità dell’azienda.
Non importa che sia grande, non importa nemmeno tanto la fama del brand: quello che cercano le figure più senior è un’azienda solida in termini di conto economico, un’azienda che possa ospitarli per lungo tempo.
Generalmente è difficile quindi che scelgano start up o imprese alle prime armi, ma la loro decisione sarà più orientata verso imprese strutturate: chiedono spesso per esempio di poter visionare il business plan, di avere informazioni riguardo agli investimenti dell’azienda, ecc…
Mostrando dati di valore si può conquistare un buon candidato senior finalista.
Concludo con un esempio che credo sia molto esplicativo della differenza generazionale: chi pensate che andrebbe a lavorare in un’azienda come Coca Cola?
La risposta più probabile è: il Millennial, che punta a brand di grande fama per dare un boost alla sua carriera.
Per la Gen X è probabilmente invece un’azienda troppo grande, mentre la Gen Z potrebbe contestarne i valori etici.”
Passiamo ora ai dubbi e ai timori che manifestano i candidati, lo specchio inverso delle differenti leve motivazionali.
Assenza di trasparenza e vincoli troppo stretti: sono i grandi timori della Gen Z.
Si chiedono: “L’azienda è davvero trasparente nelle sue promesse? Si farà realmente ambasciatrice dei suoi valori?”
E ancora: investirà davvero, come promette, su di me e sulla mia crescita?
Senza contare che, come abbiamo detto, i Gen Z sono la generazione del cambiamento, sono in fase di esplorazione, non vogliono vincoli e ormeggi.
E’ difficile che accettino quindi l’offerta di un’azienda che richiede di rimanere per anni. Un Gen Z a una proposta del genere si sente costretto e potrebbe scappare.
E poi ci sono i Millennial, che sono sul trampolino di lancio della loro carriera. Il loro più grande timore è rimanere incastrati in un limbo: “E’ il momento giusto ora per cambiare lavoro?” “Ne varrà davvero la pena o comprometterà inevitabilmente il mio futuro?”
E’ il momento clou della loro partita, sentono di doversi giocare il tutto per tutto e di dover investire bene su se stessi. Non cambiano lavoro quindi se non vedono progetti di valore, su cui poter scommettere.
Inoltre, come già detto sopra, danno grande importanza ai benefit, come lo smart working.
C’è poi un elemento che accomuna Gen Z e Millennial: è il timore che non venga dato abbastanza valore al loro tempo.
Sono coscienti di quanto sia prezioso il tempo che dedicano alle aziende: si impegnano fino in fondo a patto che la ricompensa sia adeguata non solo in termini di RAL, ma anche in termini di benefit e di crescita personale.
La Gen Z, lo abbiamo detto, è la generazione padrona di internet e dei social, ma in buona parte lo è anche quella dei Millennial: entrambe hanno un rapido confronto con ciò che succede in Italia e all’estero, in tutte le realtà internazionali.
Hanno amici che lavorano in multinazionali, contatti con persone che vivono in altri Paesi e sanno benissimo come funziona il mercato. Sanno cosa possono richiedere e lo richiedono: lavorano con anima e cuore ma sanno anche dare valore al loro tempo.
E “temono” le realtà in cui questa visione non è condivisa.
Infine, per la Gen X il grande timore sarà facilmente intuibile: hanno paura di tutto ciò che risulta poco solido, instabile o ancora in divenire.
Far capire loro, numeri alla mano, che l’azienda è ben salda sulle sue fondamenta è la carta vincente con questa generazione.
E’ arrivato il momento di osservare anche l’altra faccia della medaglia.
Diverse generazioni di candidati richiedono differenti approcci, e questo lo abbiamo capito, ma le aziende, dal canto loro, come gestiscono queste differenze?
Per rispondere alla domanda, lasciamo nuovamente la parola a Marilisa Cappellano:
“In ambito HR, la selezione di un candidato senior e junior solleva diverse considerazioni.
Capita spesso che gli HR decidano di affidare in outsourcing prevalentemente le ricerche di figure più senior e manageriali, tenendo per sé invece quelle di figure più junior. Un ragionamento molto giusto, ma i fattori da tenere in considerazione sono molteplici.
Mi spiego meglio.
Non si possono cercare le figure junior con le stesse strategie usate per altre posizioni. Bisogna interrogarsi su metodi più efficaci, riconoscendo che gli strumenti e i portali di ricerca tradizionali potrebbero non essere adeguati per tali ricerche.
Ad esempio sarà utile stabilire contatti con il mondo accademico e universitario, rafforzare il proprio Employer Branding, o ancora migliorare lo storytelling della propria azienda sui social più usati dalle nuove generazioni.
Inoltre, mentre per quanto riguarda le figure più senior si valutano principalmente le competenze tecniche, per le figure più junior è importante considerare le soft skill e il potenziale di crescita.
Le promesse mantenute diventano una fortissima leva di Talent Attraction: le figure junior devono sapere che l’azienda è pronta a investire concretamente su di loro.
Per quanto riguarda invece la selezione di figure candidate a posizioni dirigenziali ed executive, si tende spesso a pensare che preferiscano essere valutati da persone vicine a loro d’età.
Ma in realtà quello che conta per queste figure è la professionalità: non importa tanto l’età dell’HR, dell’Head Hunter o del recruiter, quanto piuttosto la loro professionalità nel gestire la relazione con il candidato e i processi di selezione.
Detto questo, è chiaro comunque che nella selezione di profili così elevati sia fondamentale una certa tecnicità nella valutazione delle competenze.
Quindi se da un lato noi Head Hunter curiamo in particolar modo l’aspetto relazionale, dall’altro essere affiancati nella selezione da professionisti e manager dello stesso settore del candidato sarà fondamentale per valutarne con sicurezza le competenza. È quello che in Reverse chiamiamo Scout: un profilo altamente specializzato nelle competenze che stiamo cercando nei candidati, che aiuta a dare oggettività al processo di recruiting, oltre a far sentire il candidato realmente capito e valutato nel modo più corretto possibile.”
Il titoletto “Dalla generazione di Facebook alla generazione di Tik Tok” voleva essere simpatico, ma racchiude una grande verità.
I nostri tempi sono dominati dai social, da Internet e dal digitale e questo si riflette inevitabilmente sulle nostre persone e sulle diverse generazioni che convivono oggi all’interno delle aziende e nel mercato del lavoro.
Con questo articolo abbiamo voluto fotografare la situazione odierna, condividendo ciò che ogni giorno possiamo guardare dal nostro osservatorio: in un mondo in cui il digitale ci ha abituati a continue innovazioni repentine, le generazioni cambiano alla velocità della luce, così come si evolvono costantemente la loro mentalità, la loro vena comunicativa e le loro necessità.
Non esistono approcci giusti o sbagliati quando si tratta di recruiting, ma piuttosto approcci che funzionano su un target e non su un altro. E viceversa.