Cosa cerca un giovane che si avvicina al ruolo di recruiter? Cosa si aspetta di fare?
Abbiamo trovato risposta grazie a un piccolo “esperimento”: i nostri recruiter si sono messi dall’altra parte della scrivania, pronti a farsi intervistare e tempestare di domande sul loro lavoro da parte dei partecipanti al R-Everse Recruiting Day. E le sorprese non sono state poche.
Per quanto la figura del cacciatore di teste continui ad affascinare la nuova generazione di lavoratori interessati al mondo HR, il suo ruolo rimane ancora nebuloso, sia per chi desidera avvicinarsi a questa carriera sia per chi avrà a che fare con lui in veste di candidato.
Che vogliano intraprendere una carriera in questo settore o meno, è importante che i nuovi lavoratori abbiano ben chiaro cosa fa un recruiter: se dal punto di vista personale potranno affrontare al meglio i colloqui e sapere cosa aspettarsi, dal punto di vista professionale saranno in grado di capire meglio le dinamiche aziendali attraverso le strategie di acquisizione dei talenti.
Al Recruiting Day in Reverse abbiamo incontrato giovani laureandi e neolaureati interessati a intraprendere una carriera nella ricerca e selezione e abbiamo voluto dar loro modo di togliersi ogni dubbio su questo mondo. Sono tanti i temi che più incuriosiscono gli Zoomers (i nati dal 1995 in poi) ma sono quattro gli argomenti che interessano di più: eccoli.
Come diventare in grado di valutare gli altri? Come fare quando si deludono le aspettative del cliente? Quanto conta l’opinione di un recruiter con l’HR Manager? La complessità dei rapporti umani incuriosisce molto, specie nel contesto di Reverse, dove a fianco di recruiter, cliente e candidato, si aggiunge un’altra figura, unica nel mercato della ricerca e selezione: lo scout. Gli Scout sono professionisti affermati nel loro settore che collaborano con i nostri recruiter per testare le capacità tecniche dei candidati da presentare in azienda. Il loro ruolo ha suscitato molto interesse per i partecipanti al nostro recruiting day: chi sono, come vengono ingaggiati, dove e come lavorano, quando viene chiesto il loro parere e quanto peso ha nella valutazione finale.
Valeria Torrisi è una dei recruiter di Reverse che si è prestata a farsi intervistare dai partecipanti al Recruiting Day e racconta:
"Uno dei dubbi che è emerso più degli altri è stato: come divento una persona valida per valutare gli altri? La preoccupazione per la mancanza di esperienza e il desiderio di essere formati sono stati una costante nella nostra chiacchierata e quello che ho cercato di sostenere è che si impara sul campo, parlando con i clienti, con i candidati, ma anche con i colleghi e, nel caso di R-Everse, con gli Scout. Si matura coltivando il proprio rapporto con gli altri perché l’empatia è alla base del nostro lavoro: ti aiuta a capire chi hai di fronte e a percepire il sottinteso, il non detto. Spesso allo Scout non chiediamo solo un parere tecnico, ma anche personale, per capire se abbiamo avuto la stessa impressione di un candidato. Le dinamiche con gli altri contano moltissimo, sia che si tratti di clienti o candidati che di colleghi e team. Non ci sono molte occasioni in cui parlo del mio lavoro con chi non è nel settore, quindi è stato bello rispondere alle domande di ragazzi interessati al nostro mondo."
Ovviamente, non manca la domanda più basilare: cosa fa esattamente un recruiter?
Per quanto la nuova generazione possa avere un’idea sulle funzioni generali dell’head hunter, rimane ancora molta curiosità sul mondo della ricerca e selezione e sui rapporti con clienti e candidati. Dall’organizzazione dei team alla gestione del tempo tra “caccia” e colloqui, i partecipanti sono stati desiderosi di avere uno spaccato reale di quello che succede in un ufficio di ricerca e selezione, indagando anche sulle modalità di ricerca del candidato perfetto e sulla gestione delle candidature.
Il ruolo dello Scout ti ha incuriosito? Scopri di più sul Recruiting Collaborativo:
I motivi per cui i giovani italiani si sentono così incerti all’ingresso nel mondo del lavoro sono diversi, ma quelli che pesano di più sono strettamente correlati all’esperienza universitaria.
Racconta Elettra Paladini, una recruiter che ha partecipato allo scambio di ruoli durante il Recruiting Day:
“La perplessità più comune riguarda la formazione accademica. I partecipanti si chiedono: “Io non ho studiato per fare il recruiter, non so niente di questo mondo, non so come funziona il mercato del lavoro, non conosco le posizioni che andrò a cercare, come posso costruire una carriera in questo settore?” I neolaureati si trovano davanti a questo doppio dilemma: credono di non sapere nulla sul mondo del lavoro in generale e della carriera che essi stessi vogliono intraprendere, quindi come possono indirizzare altri nella giusta direzione? Si chiedono come sia possibile conciliare quello che si è studiato con quello che praticamente si andrà a fare. Bisogna portarli a ragionare sul fatto che le competenze e la sensibilità acquisite, studiando ad esempio Lettere, non vanno perse, ma possono essere “allenate” in una direzione meno tecnica ma più umana e sociale per sviluppare delle soft skill essenziali per ricoprire con successo questo ruolo."
Dunque, riepilogando:
Claudia Neuhoff è un’altra dei recruiter che avuto modo di rispondere alle domande dei partecipanti sul mondo della ricerca e selezione. Dell’esperienza racconta:
"l ragazzi del Recruiting Day che mi sono trovata di fronte, dall’altra parte della scrivania, avevano un background linguistico e, prevedibilmente, la curiosità maggiore ha riguardato il mercato tedesco, in cui noi operiamo. La domanda più frequente è stata: “com’è lavorare con una cultura differente dalla tua?” Ho cercato di far passare il messaggio che le differenze multiculturali esistono e devono essere tenute in considerazione e rispettate, ma bisogna considerarle come degli input, non come degli ostacoli; l’obiettivo è di apprendere come si lavora, capire i meccanismi aziendali ed essere capaci di applicarli in qualsiasi contesto, che sia italiano o straniero. L’ultimo focus è stato la questione della lingua. Essere madrelingua tedesca, per esempio, è un plus ma non è tutto, non ti garantisce di essere un buon recruiter: padroneggiare la lingua non è il fine, ma un tool per facilitare la comunicazione e fare bene il proprio lavoro."
Non è un mistero che Millennials e Zoomer apprezzino la possibilità di fare un’esperienza all’estero; la mobilità, vista come qualcosa di complesso e non sempre necessario dalle generazioni precedenti, è ora considerato un forte valore aggiunto. Secondo uno studio condotto da Ipsos, l’80% dei giovani tra i 14 e i 35 anni è disposto a fare un’esperienza lavorativa al di fuori dell’Italia. E se lavorare in un ambiente multiculturale, e multilinguistico, è considerato stimolante, lavorare in un paese straniero è vista come un’opportunità di crescita personale ma anche professionale: i giovani la considerano come una carta ben spendibile per fare carriera e valutano positivamente le aziende che non solo garantiscano loro un percorso di crescita, ma che permettano anche di fare esperienze all’estero.
Nel nostro caso, uno dei temi più discussi al nostro Recruiting Day è stato quello dell’internazionalità: il team in R-Everse è multiculturale, con una squadra specializzata nel mercato D-A-CH e una sede a Berlino. Nei corridoi degli uffici è all’ordine del giorno sentir parlare tedesco o inglese e le nuove generazioni sono molto incuriosite dalle competenze, anche linguistiche, che servono per lavorare in un team internazionale, dalle differenze culturali e professionali tra i vari paesi, ma sono anche interessate alla possibilità dell’azienda di aprirsi verso nuovi mercati europei.
Anche se è ormai un’ovvietà, le nuove generazioni sono digital native e vogliono lavorare in un ambiente che sia innovativo non solo per avere a disposizione gli strumenti adatti per facilitare il lavoro quotidiano, ma anche perché sanno che il digitale è ormai presente in tutti i processi delle aziende sane. Da quando mandano la candidatura fino a quando sono integrati nel tessuto aziendale, i nuovi talenti hanno molto interesse per il tema della digital transformation e della sua applicazione in diversi ambiti: di seguito ne elenchiamo qualcuno.
Gli Zoomers sono una risorsa preziosa per tutte le aziende che vogliono continuare a essere competitive sul mercato: con la loro natura fortemente digitale, la voglia di crescere, la spinta a innovarsi e formarsi continuamente, i nuovi talenti sono strategici in qualsiasi business che vuole affermare la sua presenza nel mercato di oggi e che vuole continuare a essere rilevante anche in futuro. Specialmente in ambito recruiting, nessuno meglio degli Zoomers sa parlare la stessa lingua dei loro coetanei che stanno per entrare nel mondo del lavoro: conoscono il tipo di comunicazione che fa breccia e le esigenze lavorative che richiedono da qualsiasi posto di lavoro. Con la giusta formazione, insomma, possono diventare alleati indispensabili dei colleghi senior per la crescita e l’evoluzione delle aziende.
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