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Da Filippo Turati a Giorgia Meloni: storia della maternità retribuita

Scritto da Team Reverse | 24 ottobre 2023 13.52.37 Z

Una storia complessa quella della maternità retribuita. 

Una vicenda che affonda le sue radici all’inizio del secolo scorso e a cui ancora non è stata messa la parola fine. 

Ma come si è giunti – nel corso degli anni, perlomeno in Italia - alla possibilità di un congedo di maternità retribuito

Questo articolo nasce proprio per raccontarlo, per ripercorrere le tappe di un percorso giuridico e culturale fatto di piccole ma significative conquiste. 

Perché, ormai lo sappiamo, in un gioco alla complicazione, la relazione tra il mondo del lavoro e le donne che stanno facendo esperienza della maternità è simile a un cubo di Rubik, senza tutorial che possano però spiegare come risolverlo, né in Italia, né nel mondo.   

Non è un caso che qualche anno fa, in Canada, sia stata prodotta Workin’ Moms una serie tv che in modo tutt’altro che romanzato ha raccontato cosa significa essere una mamma che lavora, dal punto di vista di quattro (e più) donne con background e situazioni familiari differenti. 

Il risultato è stato quello di una narrazione grottesca, dolceamara, ma quanto mai fedele alla realtà che riesce a concretizzare il termine motherhood penalty con il quale si definisce il sistematico declino salariale tra le donne dopo la nascita dei figli (e al quale fa invece da contraltare il cosiddetto fatherhood premium ovvero il giovamento del quale la busta paga di un padre gode dopo la nascita di un figlio).

Al netto delle riflessioni e dei commenti sulle difficoltà che incontra oggigiorno una mamma che lavora, nei paragrafi successivi riprenderemo, uno ad uno, i principali eventi della storia cominciata con Filippo Turati e arrivata oggi alla proposta del governo Meloni. 

Inseriamo qui, come guida del nostro percorso, una linea temporale che metta in luce le tappe principali del viaggio:

E per chi vorrà approfondire, prego, accomodatevi e iniziamo il racconto.

 

  1. La legislazione italiana a protezione delle mamme (che allattano)
  2. Gli anni Trenta e la strutturazione della tutela della maternità
  3. Il congedo e l’indennizzo di maternità: stato dell’arte 
  4. Un altro tassello della nostra storia: il congedo di paternità
  5. La maternità retribuita nel mondo
  6. Una storia dal finale ancora aperto

 

1. La legislazione italiana a protezione delle mamme (che allattano)

È il giugno del 1902 quando in Italia la legge Carcanocostruita su un progetto di legge di Anna Kuliscioff e Filippo Turati - getta le prime basi per la tutela del lavoro femminile sostanziando gli ambiti e i contesti in cui questo era vietato. 

Nei contenuti la legge era effettivamente scarna, ma aveva il pregio di considerare anche la situazione delle lavoratrici madri, introducendo il divieto di adibire le puerpere al lavoro “se non dopo che fosse trascorso un mese da quello del parto”.

Nessun tipo di riposo o riduzione dell’orario di lavoro veniva invece previsto nei giorni e nei mesi precedenti al parto.

Il breve congedo di maternità (1 mese) non era oggetto di retribuzione, un diritto che viene invece introdotto nel 1910 con la legge n.520 che prevede una sorta di “gettone remunerativo”, una prestazione economica di carattere assistenziale, di importo fisso e non ragguagliata al salario.

L’aspetto più innovativo della legge Carcano è però sicuramente rappresentato dall’obbligo per i datori di lavoro che impiegavano almeno 50 donne (pensiamo per esempio alle fabbriche), di istituire una camera di allattamento così che le lavoratrici madri potessero provvedere alla nutrizione dei loro bambini. 

Diritto concesso ovviamente anche a chi era impiegata in realtà con meno di 50 donne assunte: in questi casi, il datore era tenuto a prevedere delle finestre di uscita dalla fabbrica per permettere alle mamme di provvedere all’allattamento della propria prole.

La violazione di queste disposizioni costava un’ammenda dalle 50 alle 500 lire (equivalenti ora a 220-2.200 Euro).

 

2. Gli anni Trenta e la strutturazione della tutela della maternità 

Si deve attendere il 1934 quando il Testo Unico delle leggi sulla protezione e assistenza della maternità e dell’infanzia, istituisce l’ONMI (Opera nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia), un ente avente la funzione di provvedere all’assistenza delle gestanti, delle madri e dei loro figli.

Particolare attenzione, veniva concessa alle madri lavoratrici, sollevandole dall’obbligo di lavorare nell’ultimo mese antecedente il parto e nelle 6 settimane successive, eventualmente riducibili a 3 in casi particolari e comunque sempre certificati da personale medico specializzato.

Al periodo di astensione obbligatoria ne veniva prospettato anche uno facoltativo pari a ulteriori 2 settimane antecedenti al parto da sommare quindi alle 4 già previste. 

In tutto questo il legislatore si preoccupava (più che giustamente diremmo adesso) che il datore di lavoro conservasse il posto in riferimento tanto al periodo di assenza obbligato, quanto a quello facoltativo.

Anche nel 1934 non si manca di dare agio alle madri che allattano prevedendo – fino all’anno di età della prole – due finestre di riposo giornaliero per permettere il nutrimento dei propri figli. 

Nei successivi – quasi – 40 anni, a livello legislativo poco di diverso è stato fatto rispetto al Testo Unico sulla maternità. 

Oggi all’art.37 comma 1 della Costituzione si legge “la lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore” e ancora “le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare ed assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione“, ma c’è voluto tempo per raggiungere la situazione attuale.  

È infatti solo a partire dagli anni ‘50 con la legge 26 agosto 1950, n. 860 per arrivare poi alla legge 1204/1971 (attualmente vigente) che il titolo del nostro articolo acquisisce concretezza. 

La cosiddetta “maternità retribuita” diventa, finalmente, realtà.

 

3. Il congedo e l’indennizzo di maternità: stato dell’arte

Proseguiamo quindi in questo nostro viaggio alla scoperta di come il riconoscimento legislativo e sociale delle madri lavoratrici stia evolvendo, ripercorrendo tutte le tappe più  salienti della nostra storia. 

La legge del 1950, dicevamo, fu fortemente voluta da Teresa Noce e spalanca le porte al vero e proprio congedo di maternità, formalizzato, come anticipato sopra, nella legge 1204 del 1971.

Entra così in vigore il congedo obbligatorioretribuito al pari dell’80% del salario standarddeterminandone la durata in 2 mesi prima e in altri 3 dopo il parto.

La legge del 1971 è quella attualmente ancora in vigore. 

Nel tempo è stata poi integrata dal decreto legislativo 151 del 26 marzo 2001 – detto anche Testo Unico di Maternità e Paternità – e dalla Legge di Bilancio del 2019 che, insieme a una serie di circolari dell’INPS, hanno avuto il merito di perimetrare meglio il quadro normativo relativo alla maternità, appunto.

Non vogliamo qui scendere nei tecnicismi e nei dettagli più del dovuto.

Basti ricordare che è grazie all’integrazione della Legge di Bilancio del 2019 se, attualmente, i 5 mesi di congedo obbligatorio possono essere fruiti in modo flessibile: le gestanti in buona salute e operanti in contesti che lo permettono, possono per esempio decidere di astenersi dal lavoro solo dopo aver partorito, usufruendo quindi del congedo obbligatorio nei primi 5 mesi di vita della prole.

L’indennizzo di maternità, tanto obbligatoria quanto anticipata (nei casi, per esempio, di condizioni di salute o di lavoro che non permettano lo svolgimento della propria professione alla donna incinta) è pari – come dicevamo prima – all’80% del salario tipicamente ricevuto in busta paga. A farsi carico di questo costo è l’INPS, ma è il datore di lavoro, nella stragrande maggioranza dei casi, a dover anticipare il pagamento dell’indennizzo, poi rimborsato dall’ente previdenziale.

Ed è sempre con la legge 1204 del 1971 che viene introdotta la cosiddetta astensione facoltativa, riservata allora alle sole donne: la madre che avesse voluto protrarre il periodo di congedo, oltre i 5 mesi di maternità obbligatoria, avrebbe potuto usufruire di un congedo di ulteriori 6 mesi, remunerati al 30%.

Fino a qui, abbiamo considerato il caso di madri lavoratrici dipendenti, aventi quindi un contratto di lavoro subordinato. 

E per le lavoratrici autonome e libere professioniste?

Il Testo Unico del 2001 non si dimentica di loro: anch’esse hanno diritto a un’indennità giornaliera per il periodo antecedente il parto (2 mesi) e per quello successivo (3 mesi). 

Per le libere professioniste, in particolare, non è però obbligatoria l’astensione dal lavoro ai fini dell’erogazione dell’indennizzo il cui calcolo – particolarmente bizzarro – viene spiegato all’art.70.

 

4. Un altro tassello della nostra storia: il congedo di paternità

In questo nostro racconto fino ad ora non abbiamo citato – volutamente – la storia del cosiddetto congedo di paternità.

In Italia è infatti affare recente: la prima a introdurlo fu Elsa Fornero, non più di 10 anni fa, nel 2012, quando riconobbe ai padri un giorno di congedo di paternità obbligatorio, remunerato al 100%, e due giorni facoltativi. 

I giorni obbligatori sono poi aumentati nel tempo: sono diventati 2 nel 2013, 7 nel 2020 per arrivare infine agli attuali 10 giorni di congedo di paternità obbligatori stabiliti dalla legge di bilancio del 2023.

Quest’ultima normativa prevede inoltre un cambiamento nella ripartizione del congedo parentale: a una coppia di genitori dipendenti spettano un totale di 10 mesi di astensione dal lavoro entro il dodicesimo anno del figlio, frazionati o continuativi, di cui 3 alla madre, 3 al padre e 3 da suddividersi di comune accordo. 

Un mese retribuito all’80% e gli altri 9 mesi al 30%. 

Oltre a un aggiornamento su durata del congedo e valorizzazione dell’indennizzo, il grande cambiamento avvenuto negli ultimi 50 anni è stato un nuovo punto di vista sulla genitorialità e il lavoro: non si parla più di maternità facoltativa, per esempio, ma di congedo parentale, allargando opportunità, diritti (e perché no, anche doveri) a entrambi i genitori. 

Le leggi stanno quindi, piano piano, cambiando cercando di rispondere – per quel che possono – ad un mondo che si evolve, a rinnovate esigenze tanto pratiche quanto di approccio alla maternità, alla paternità e al lavoro.

Per questo motivo è sicuro che le cose siano destinate a evolvere ancora complicando forse la comprensione di quel che è possibile fare e quel che spetta di diritto, ma semplificando – ci si augura – quella che all’inizio di questo articolo abbiamo definito come “una relazione complicata”.  

“Uno degli asset portanti della nostra società, la famiglia, sta mutando profondamente. Fino a pochi decenni fa, nelle case era normale che un genitore fosse dedicato alla cura della casa e dei figli. Oggi entrambi i genitori lavorano fuori casa. Non è un cambiamento da poco. I Governi stanno rispondendo, non troppo prontamente in effetti, ma l’importante credo sia vedere il trend positivo e dare a tutti il tempo per accettare il cambiamento, sfida mai banale.”

Beatrice Bhöm, Marketing and Communication Manager in Reverse

 

 

5. La maternità retribuita nel mondo

Una volta chiarito (più o meno, dai) come funziona la maternità retribuita in Italia, può essere interessante dare un’occhiata a quel che succede in altre parti del mondo.

Dati alla mano, salta all’occhio la situazione sui generis degli Stati Uniti che, di fatto, non hanno alcuna normativa univoca che regoli il cosiddetto “maternity leave”. 

Ogni Stato può infatti decidere come gestire la maternità (obbligatoria) e al momento solo 13 su 50 a prevederla. 

Una menzione in questo discorso va però fatta allo Stato del Maine. A far notizia, negli ultimi mesi è stata infatti la decisione del Maine di introdurre una nuova legge sul congedo parentale obbligatorio dal 2026: lavoratori (madri o padri che siano) e datori di lavoro si divideranno un'imposta dell’1% sul salario così da aver diritto a 12 settimane di astensione retribuite all’anno per ogni evento legato alla cura, quindi maternità e paternità inclusi.

Un tentativo rivoluzionario, che vuole forse mettersi in competizione con le illuminatissime situazioni scandinave: in Svezia, per esempio, sin dal 1974 il congedo di maternità obbligatorio è stato sostituito in toto dal congedo parentale (quindi usufruibile da entrambi i genitori) e questo prevede un totale di 480 giorni (ossia un anno e mezzo pagato all’80% dello stipendio), di cui 90 giorni concessi alla madre, 90 giorni al padre e gli altri 300 da suddividere secondo le scelte dei genitori.

Non va peggio in Norvegia dove i genitori possono usufruire di 46 settimane di congedo indennizzato al 100% oppure di 56 pagate all’80%. L’unica clausola è che le prime 6 siano obbligatoriamente sfruttate dalla madre.

In Spagna, dall’inizio del 2021, è in vigore la nuova legge sul congedo parentale: 16 settimane non trasferibili, retribuite al 100%. Unica clausola: prevedere le prime 6 settimane di congedo come obbligatorie e non trasferibili dalla madre al padre.

Dopo la proposta di rendere obbligatorio lo smart working alle donne incinte, la Francia nel 2021 ha registrato un netto aumento delle nascite, anche dovuto – si pensa – agli incentivi in termini di welfare. Uno su tutti il premio alla nascita che la riforma Raffarin paga a tutte le donne incinte residenti nel Paese al loro ingresso nel settimo mese di gravidanza. 

In generale possiamo dire che attualmente in tutti i Paesi OCSE – a eccezione appunto degli USA – è previsto il congedo di maternità obbligatorio (e quindi retribuito) nonostante la sua durata e il valore dell’indennizzo cambi da stato a stato.

 

6. Una storia dal finale ancora aperto

Ed eccoci qui, giunti alla fine del nostro racconto. O forse no. 

Perché, come abbiamo detto all’inizio, la parola “fine” non è ancora stata scritta: al termine di storie come queste non compare mai l’espressione “The end”, ma solo quella “E ora?”. 

Sono storie che evolvono continuamente, non si concludono. E quindi quello che possiamo chiederci in conclusione è: “E ora, cosa accadrà in Italia?”

La risposta arriva proprio dagli avvenimenti dell’ultimo periodo. 

Di recente sono stati presentati dal governo Meloni il DDL Bilancio 2024 e il Documento Programmatico di Bilancio in cui diversi sono i capitoli dedicati al supporto alla genitorialità: a partire dalla decontribuzione per le madri e all'esonero contributivo per chi le assume, dall’aumento degli aiuti come l’incremento dei bonus asili nido e delle percentuali salariali durante il congedo di genitorialità.

Siamo ancora in attesa che l’iter di approvazione parlamentare inizi, ma possiamo già fare dei pronostici per il 2024, secondo le anticipazioni fornite dal governo. Si prevedono maggiori investimenti negli aiuti a supporto delle famiglie, e in particolare: un innalzamento a 150 milioni della cifra dedicata al bonus asilo; una nuova forma di decontribuzione lavorativa per le madri con più figli; uno sgravio fino al 130% per le imprese che assumono madri; la possibile aggiunta di un mese di congedo parentale con retribuzione pari al 60% dello stipendio. 

Cosa accadrà realmente? Lo scopriremo.

E, allora, potremo inserire una nuova tappa nella linea temporale della nostra storia.