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Le Business Community: evoluzione delle imprese

Scritto da Team Reverse | 28 ottobre 2021 14.40.33 Z

Diventare imprenditori può essere una sfida molto eccitante e portare a diversi vantaggi, ma allo stesso tempo presenta alcune problematiche di varia natura, in primis economico-finanziarie, difficili da affrontare da soli. Per questo può essere importante inserirsi in una rete di colleghi o imprese in grado di far fronte comune a queste sfide, proprio come avviene quando si costituisce una business community.

Le Business community acquistano quindi sempre maggiore importanza all'interno delle aziende ed è utile per l'HR Manager prestare attenzione alla nascita e allo sviluppo di questi network. 


  1. Business community: cosa sono ed evoluzione storica
  2. Business community model: di che si tratta?
  3. Scaricare a terra: eventi-matching e networking

 

1. Business community: cosa sono ed evoluzione storica

La business community (o comunità d'affari) è costituita dall'insieme delle aziende e degli imprenditori disposti a partecipare e a investire con un’azione comune in una determinata area territoriale, con finalità tanto sociali quanto, soprattutto, economiche. La business community vuole dunque essere un sistema di attori economici che scelgono di muoversi insieme per costituire una struttura imprenditoriale più forte, in cui ogni soggetto è in grado di influenzare e stimolare positivamente gli altri verso una crescita dell’intero gruppo. Una visione olistica, quella della business community, che ha una storia piuttosto giovane nella letteratura socio-economica, anche se di fatto era già stata messa in pratica da diversi decenni, se non secoli. 

Alcuni economisti noti come neo-istituzionalisti, da Ronald Coase negli anni Trenta fino a Oliver E. Williamson negli anni Settanta del Novecento, hanno sottolineato come gli scambi che avvengono sul mercato tra attori individuali comportino spesso costi eccessivi che spingono i soggetti economici a coordinarsi in quelle strutture che chiamiamo comunemente “imprese”. L'economia sarebbe dunque caratterizzata da:

  • il mercato, in cui i soggetti sono collegati da negoziazioni individuali e l'azione è decentrata e non gerarchica;
  • le gerarchie, caratteristiche delle relazioni interne alle imprese, concepite appunto come “strutture gerarchiche”.

Per alcuni sociologi, Mark Granovetter su tutti, esiste però anche un terzo elemento tra mercato e gerarchie, vale a dire il gruppo economico: un insieme di imprese collegate in modo formale o informale da “legami di grado intermedio", cioè da nessi non fragili come le alleanze a breve termine ma neppure così strutturati come nel caso di imprese legalmente consolidate in un'unica entità.

I gruppi economici sono in sostanza reti di relazione, “network” diremmo noi oggi. Relazioni sorte tra imprese che non hanno solo radici economico-finanziarie comuni, ma i cui componenti sono legati da diversi fattori che possono attenere agli ambiti più diversi: i vincoli informali di amicizia, una comune appartenenza religiosa, politica o nazionale, la parentela, l’area geografica o la condizione condivisa di membri di associazioni dalle finalità economiche, come nel caso delle associazioni imprenditoriali.

Ed è qui che arriviamo a parlare di business community, che può essere strutturata in numerosi gruppi economici organizzati secondo criteri diversi, dove ogni network costituisce un chiaro esempio di capitale sociale, ovvero "una rete stabile più o meno istituzionalizzata di relazioni reciproche e conoscenze tra individui che costituisce una risorsa, attuale o potenziale, che gli individui possono mobilitare per raggiungere i loro obiettivi", come ha scritto il sociologo Philippe Steiner. La differenza fondamentale tra il capitale sociale e il capitale umano, direttamente collegato alla persona, è proprio la sua intangibilità e immaterialità in quanto mera relazione, ed è una risorsa che non può essere fortemente influenzata dall'intervento diretto dei singoli attori, quanto semmai dal sistema nel suo complesso. E proprio nella sua intaccabilità risiede la sua forza, perché permette di ottenere risultati difficilmente raggiungibili senza il suo contributo e garantisce una maggiore efficienza economica.

Ovviamente è possibile che avvenga anche l’opposto, laddove le relazioni instaurate nel tempo non si sviluppino in maniera virtuosa attraverso scelte imprenditoriali che producano effettivamente sviluppo e benessere per la società, soprattutto quando si è in presenza di relazioni radicate nel tempo, spesso anacronistiche e non produttive. Due esempi illuminanti emersi dalla ricerca su due business community presenti a Torino tra il 1883 e il 1907:

  • verso la fine del XIX secolo i banchieri privati subalpini riuscirono, attraverso un sistema di fitte relazioni reciproche, a difendere il proprio controllo sul mercato creditizio locale, rimandando nel tempo l'intervento di quelle banche miste che erano già attive a Milano e Genova, dove producevano notevoli effetti propulsivi per l’economia, ma che sarebbero arrivate nel capoluogo piemontese appunto in notevole ritardo;
  • sempre a Torino, la FIAT fu costretta, per i primi anni di vita, a dipendere dalle forniture del potente gruppo economico dei carrozzieri torinesi, che all’epoca intrattenevano più strette e radicate relazioni sia fra di loro, sia con i potenziali clienti delle nuove automobili. Costringendo la FIAT a rivolgersi a loro, per alcuni anni fecero lievitare i costi di produzione della nota casa automobilistica torinese, minandone così l’efficienza.

Tanto nei casi di successo quanto in quelli meno virtuosi, notiamo quindi l’importanza e l’efficacia che può avere una rete di relazioni. Nello studio della business community uno strumento essenziale è costituito proprio dalla network analysis, cioè l'insieme degli studi sociologici che si occupano di questo elemento e che a tal proposito definiscono tre concetti:

  • la centralità dell'attore economico, che ovviamente cresce all’aumentare del numero dei soggetti a cui è connesso il soggetto stesso, con alcuni che possono arrivare a godere di maggiore centralità rispetto agli altri;
  • la densità della rete di relazioni, ovvero il rapporto tra il numero di legami esistenti e il numero di legami possibili, che crescendo tende a vincolare i membri attraverso una trama sempre più fitta di reciprocità e obbligazioni e aumenta la fiducia all'interno dei diversi network;
  • la molteplicità delle relazioni, vale a dire la quantità di contenuti diversi riconducibile a una relazione, che sia essa basata su legami familiari, religiosi, di affari o di un altro genere.

È importante per chi lavora nel mondo HR, valutare il forte sviluppo aziendale derivato dalla tendenza della business community a farsi sistema, a muoversi cioè verso una progressiva integrazione tra tutti gli attori coinvolti e a plasmarsi su interdipendenze articolate. Una business community fittamente interconnessa può favorire infatti la concessione di finanziamenti all'industria da parte del capitale creditizio e più in generale il trasferimento di capitali da un settore all'altro, costituendo una struttura imprenditoriale dinamica e autopropulsiva in cui lo sviluppo di una sezione si trasmette alle altre stimolando una crescita complessiva dell’intero sistema.

Ma un'attenzione particolare, come abbiamo visto, deve essere prestata anche agli specifici effetti prodotti di volta in volta dalle diverse reti di relazione all'interno della business community, allo scopo di valutare l'eventuale presenza di retaggi sociali che possono condizionare negativamente l'efficienza del sistema stesso.

 

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2.Business community model: di che si tratta?

Il business community model è un modello che punta a curare non solo l’aspetto economico delle business community, ma anche le implicazioni sociali e culturali, rivedendo e riconsiderando tutte le proprie procedure di lavoro.

Questo può comportare significativi cambiamenti nel mondo del lavoro, delle imprese e della relazione tra aziende e clienti. 

Bisogna innanzitutto considerare che ci sono molti tipi diversi di community

  • quelle locali, che si riferiscono a una specifica area geografica;
  • quelle costruite a partire dalle singole necessità di un gruppo di persone, ad esempio creando una sinergia tra tipografie e copisterie, o tra studi medici e farmacie, e così dicendo;
  • quelle professionali, che raggruppano soggetti appartenenti a uno stesso ordine o comunque identificati da interessi simili fra loro;
  • le community online, che hanno caratteristiche del tutto particolari come la facilità di raggiungimento per tutti, in confini non sempre definiti tra i membri del business, seguaci e attori di varia natura;
  • le community costituite nel tempo dai membri stessi, in cui i prodotti offerti o venduti dai singoli soggetti si basano su un’unica piattaforma comune di scambio, come nel caso di Amazon.

Naturalmente a ogni community corrisponde non solo una tipologia di cliente cui rivolgersi in modi differenti, ma anche diverse possibilità d’impresa, sviluppando cioè beni o servizi ad hoc per ogni situazione e per ogni comunità.

Vediamo comunque come il business community model si caratterizza spesso per la sua innovazione nel rapporto tra azienda e cliente, sovvertendo la struttura tradizionale: il processo produttivo può essere distribuito e partecipato e il contenuto generato dagli utenti, come nel caso delle community online; o ancora, spesso l’impresa stessa non nasce per iniziativa unilaterale di uno o più imprenditori, ma a seguito di una cooperazione spontanea dei consumatori. Basti pensare ai diversi casi presenti nell’ambito del digitale: Wikipedia, Ubuntu, Wordpress e tanti altri ancora. Con questi esempi notiamo un’evidente correlazione tra business community model e open source, ovvero quei progetti che sono sviluppati secondo modalità orizzontali, non gerarchiche e community-based, perché se l'attività da regolare è decentralizzata anche il modello che la regola deve strutturarsi di conseguenza.

C’è un problema, però, che è ben noto agli economisti e che può presentarsi per coloro che scelgono di adottare simili modelli di business: si tratta del cosiddetto free riding, fenomeno che si verifica quando un bene viene diffuso gratuitamente a tutti i consumatori senza che vi sia un sistema di prezzi che costringa questi ultimi a contribuire al costo di produzione. Ogni consumatore che usufruisce di un bene messo a disposizione dalla comunità può scegliere se contribuire o meno, sapendo però che in ogni caso potrà sempre usare quel bene, e quindi nella maggior parte dei casi continuerà a farlo in maniera gratuita. Ovviamente se tutti si comportassero in questo modo il business non sarebbe sostenibile e il bene o servizio non verrebbe più prodotto: per questo motivo, spesso, modelli di questo tipo operano a un livello davvero infinitesimo rispetto alle proprie reali potenzialità.

Prendiamo ancora l’esempio di Wikipedia che oggi è tra i siti web più visitati al mondo con decine di milioni di utenti registrati e centinaia di milioni di visitatori. L’azienda ha però poche centinaia di dipendenti ed è spesso in difficoltà finanziarie, come testimoniano le numerose campagne di crowdfunding pubblicate per aumentare gli introiti. Se oggi Wikipedia è comunque uno dei siti più frequentati, viene da chiedere cosa potrebbe essere se ogni suo utente contribuisse al progetto anche solo in minima parte.

 

3. Scaricare a terra: eventi-matching e networking

Una cosa, insomma, è certa: ogni imprenditore deve saper coltivare una rete di relazioni utili a portare avanti il proprio business e ad aprirsi nuove possibilità, anche se non necessariamente nell’immediato periodo. 

Come fare? Un’ottima opportunità è quella offerta dagli eventi di networking indirizzati a imprenditori o a persone operanti in un settore analogo o complementare al proprio, quindi non per forza strettamente in linea con la propria nicchia o modello di business. Le differenze possono talvolta rivelarsi un vantaggio, per apprendere nuove strategie di marketing e nuovi spunti ma anche per stabilire delle partnership strategiche.

Le conferenze dedicate a un settore merceologico possono essere un ottimo modo per stringere con facilità dei rapporti duraturi con altri imprenditori. Al giorno d’oggi sono presenti tante iniziative che si svolgono da remoto ma che permettono comunque di interagire con gli altri partecipanti all’iniziativa, come abbiamo iniziato a scoprire soprattutto in quest’ultimo periodo con la diffusione dello smart working. In ogni caso, l’importante è sempre valutare se si tratta dell’evento adatto ai nostri scopi, ad esempio controllando in anticipo l’elenco dei workshop, delle tavole rotonde e degli speaker, per verificare che rispecchino ciò che si vuole apprendere e che possano ospitare altri imprenditori con cui potremmo voler entrare in contatto, anche se non provenienti dalla stessa area geografica.

Un’altra possibilità è offerta dagli eventi-matching, vale a dire iniziative finalizzate a facilitare le relazioni di business tra i propri clienti, associati e sponsor, normalmente introdotte da una presentazione poi seguita da un momento più informale, che può svolgersi presso la sede aziendale, ma anche in location informali. In questo modo è possibile fidelizzare i propri stakeholder e incontrarne anche di nuovi attraverso un evento piacevole ma diverso dal solito, distinguendosi dalla concorrenza e fornendo un metodo di aggregazione e facilitazione delle relazioni, anche personali.

Gli strumenti sono davvero innumerevoli e non si limitano agli eventi. Basti pensare alle possibilità che ogni giorno abbiamo di fare networking in rete attraverso e-mail e canali social, soprattutto quelli destinati a un uso più professionale come LinkedIn. Il networking, del resto, non è un’attività riservata a pochi, per esempio a coloro che sono particolarmente estroversi o spregiudicati, anzi: la realtà è che è sufficiente mostrarsi per come si è attraverso una buona attività di personal branding. Oggi fare networking è del tutto comune per chiunque, e soprattutto utile, perché significa creare una rete di relazioni significative che possano aiutarci a raggiungere diversi scopi

  • trovare nuove opportunità di lavoro;
  • se siamo head hunter o comunque stiamo cercando una nuova persona da assumere nell’azienda, potremmo trovarla anche in questo modo;
  • stabilire contatti per potenziali opportunità di co-marketing;
  • acquisire nuove nozioni e competenze;
  • sviluppare la buona abitudine di costruire rapporti professionali nel corso della nostra carriera;
  • intraprendere un’attività imprenditoriale in collaborazione con altre persone.

L’importante è sempre preferire la qualità delle relazioni alla quantità. Avere tanti contatti non significa necessariamente aver svolto un’attività di networking con successo, perché ciò che conta sono i benefici che questi contatti possono portare alla nostra attività. Quello che può sempre essere utile chiedersi prima di creare una connessione con un altro imprenditore è: “Che vantaggio posso trarne?”. Una domanda da porsi anche immedesimandosi nel proprio interlocutore, perché la reciprocità è sempre l’elemento fondante di ogni relazione di valore.



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