“L’estate sta finendo e un anno se ne va”, cantavano i Righeira qualche tempo fa. Che ci piaccia o meno, la fine di un periodo sospeso segna il kick-off di una nuova era, anche per chi, come noi, si occupa di HR. E se il vero anno nuovo inizia a settembre, è decisamente questo il momento ideale per parlare dei trend del recruiting che ci aspettiamo per il 2023.
Sarà un anno propizio per le risorse umane? O dovremo faticare ad attrarre e trattenere i talenti che – speriamo – troveremo là fuori?
Come al solito senza alcuna presunzione di verità assoluta, vediamo insieme cosa, plausibilmente, possiamo aspettarci.
Nel luglio di quest’anno, il TikToker @zaidleppelin ha postato un video che gli è valso qualcosa come 3 milioni e mezzo di visualizzazioni. Niente di scenograficamente rilevante, anzi. Solo un pretesto per portare alla luce il quiet quitting, ossia quel fenomeno per cui sì, si lavora, ma senza farsi prendere dall’”hustle” (in italiano la chiamiamo “attività febbrile”) che molte attività professionali e un certo atteggiamento nei confronti del lavoro spesso comportano.
Generazione Z e millennial sono sicuramente estremamente coinvolti in quello che più che un trend è un dato di fatto: se per decenni il successo sul lavoro ha aiutato le persone ad autodefinirsi, autodeterminarsi e soprattutto identificarsi agli occhi degli altri ora tutto questo ha sempre meno importanza.
Il quiet quitting è un atteggiamento che caratterizza i giovani (e meno giovani) lavoratori sin dal momento della ricerca di un’occupazione e quindi, a specchio, anche gli HR nella fase del recruiting.
In un articolo del Washington Post dedicato proprio a questo tema, si scoprono le carte: il quiet quitting sembra un fenomeno recente solo perché a un comportamento “vecchio” (il cosiddetto employee disengagement) è stato dato un nome nuovo e perché quel che un tempo era l’eccezione ora sembra essere diventata la regola.
Pensare a cosa fare per assumere meglio, più velocemente e più efficacemente senza tenere conto di questo (nuovo) elefante nella stanza rischierebbe di far disperdere tempo, energie e risorse.
Proprio per questo motivo, per settare le nuove strategie di recruiting per l’anno che verrà, è innanzitutto necessario capire quali sono (stati) i motivi che hanno recentemente spinto le persone di un’azienda a lasciare il proprio ruolo o, in termini non così estremi, a chiedere dei cambiamenti in merito alle proprie responsabilità o alle modalità di ingaggio. Si tratta, in poche parole, di individuare un benchmark, ossia la media delle condizioni che traghetta una persona dall’”esserci” al “non voler esserci (così tanto) più”.
Gli strumenti a nostra disposizione, ovvero le interviste di fine rapporto e i continui confronti durante la permanenza dei lavoratori in azienda, non hanno effettivamente nulla di fantascientifico, ma sono semplici da utilizzare ed efficaci nel restituirci una panoramica di quel che accade.
È quindi a partire dai dati che avremo raccolto – e che probabilmente avranno come comune denominatore il bisogno di concentrarsi anche (e soprattutto) su qualcosa che esuli dal proprio contesto lavorativo – che potremo impostare nuove e non anacronistiche modalità di ricerca del personale e, subito dopo, progettare un’esperienza di onboarding che tenga conto non solo delle esigenze aziendali, quanto di quelle delle persone che - qui e ora - popolano le nostre organizzazioni.
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Poco sopra abbiamo parlato di settare dei benchmark che, in poche parole, significa saper analizzare feedback e dati per farne conoscenza e quindi strumenti utili che ci aiutino a migliorare, in questo caso, le strategie e i processi di assunzione.
A costo di essere ripetitivi: la tecnologia non è più solo un mezzo, ma diventa parte integrante del processo. L’HR del presente (e del prossimo futuro) la sfrutta a suo vantaggio per due obiettivi principali:
L’automatizzazione, quindi, non toglie potere alle persone, ma, anzi, gliene conferisce di più. Le attività ripetitive vengono lasciate in gestione a Intelligenza Artificiale e Machine Learning, consentendo ai recruiter di occuparsi completamente degli aspetti strategici, impostando i processi di selezione secondo una cultura people oriented.
Inoltre, l’utilizzo virtuoso dei dati permette di impostare strategie data driven che consentono di andare nella direzione di un recruiting marketing che promette di far evolvere.
Al netto degli aspetti economici e di quelli relativi alle proprie competenze, i candidati sono ora maggiormente interessati a questioni che solo apparentemente sembrano superficiali.
Dove è previsto che si svolga la maggior parte dei propri compiti professionali, con quale frequenza e come si costruisce il rapporto con l’azienda sono i tre pilastri su cui si dovrebbe basare una buona strategia di recruiting contemporanea.
Vediamo ora insieme nello specifico cosa significa:
Pertanto una strategia di assunzione che tenga conto (anche) di questo aspetto rischia di essere – positivamente – win-win per tutti: per i candidati che hanno l’opportunità di essere veramente valorizzati e per l’azienda che si avvale di team eterogeneamente armoniosi, guadagnandoci, perché no?, anche in reputazione.
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