Iniziamo questo articolo chiedendoti di fare un esperimento: non temere, è una cosa davvero semplice. Apri il tuo calendario di lavoro e controlla quante “caselline” nel corso della giornata di oggi o dei prossimi giorni sono rimaste vuote. Scommettiamo con una certa sicurezza che, indipendentemente della tua posizione in azienda, la maggior parte degli “slot” (ormai così si chiamano) del tuo tempo professionale sia già stata precettata da un impegno che, 9 volte su 10, sarà una call (anzi, una videocall).
Se ci sbagliamo siamo felici di farlo, e non perché ti vogliamo scarico da impegni, ma perché apprezziamo chi è riuscito a smarcarsi dalla dittatura delle call comprendendo – e soprattutto facendo comprendere agli altri – che lavorare, nel 2022, non equivale (solo) ad accettare un invito su Teams o inviarne uno su Meet.
La vita professionale non corrisponde solo alla propria presenza su Zoom (o qualsiasi altra piattaforma equivalente) e, due anni dopo il boom dell’interazione digitalizzata, crediamo sia il caso (ancora una volta, senza stancarci di farlo) di elencare vantaggi e limiti di un’interazione digitalizzata che, ormai lo abbiamo capito, non è più un’eccezione dovuta all’emergenza.
La cartina al tornasole dell’umore e dei pensieri delle persone è rappresentata, ora più che mai, dai social media. Se apri LinkedIn e fai una ricerca su contenuti che hanno a che fare con il lavoro (e in particolare con il “feeling” che si ha con la propria quotidianità professionale) quel che salta all’occhio è una generale esasperazione.
Le persone sono stanche.
E la stanchezza genera malumore. Il malumore porta a pensieri poco lucidi su presente e futuro. La poca lucidità permea la qualità della produttività. E una performance scadente al lavoro fa ripartire dal via, in un gioco dell’oca dove a perdere sono le stesse persone che ci stanno giocando e, di riflesso, le aziende per le quali lavorano.
Nel paragrafo qui sopra abbiamo descritto, in maniera estremamente semplicistica, quella sindrome che nel 1974 lo psicologo americano Herbert Freudenberg definì con il termine di “burnout”, ossia una “estinzione della motivazione o degli incentivi”, un disadattamento che conduce all’incapacità di trovare stimoli e risorse per affrontare gli ostacoli, anche quelli più piccoli.
Al netto del fatto che un po’ di stanchezza è sempre e comunque normale (pandemia o no), quali sono gli elementi che, in questo frangente, hanno concorso a renderla “leggendaria”?
Non abbiamo la presunzione di poterli elencare tutti e tantomeno di credere che quelli che metteremo uno dopo l’altro siano condivisibili in assoluto.
Ci sono però delle evidenze che ci portano a trovare alcuni comuni denominatori, per esempio:
Ora che abbiamo capito, senza presunzione di esaustività, quali sono le cause che possono sottendere a un potenziale burnout dei lavoratori e soprattutto cosa si intende esattamente con il termine, vediamo come ci si è arrivati e quali sono, ora, le 3 P che un buon HR dovrebbe tenere sempre a mente.
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La nostra bussola ci dice che il Next Normal è già qui.
Il termine, coniato da McKensey non più di un paio di anni fa, quando si iniziava a entrare nel cosiddetto New Normal, indica la normalità post-pandemica e, nel nostro caso, soprattutto quella che ha a che fare con il lavoro.
Al netto del rischio di burnout (che, non per spaventarti, ma forse anche un po’ sì, è davvero sempre alle porte), se volessimo spacchettare il Next Normal professionale da un punto di vista prettamente umanistico, troveremmo le 3 P che lo compongono:
Ad avere gettato il cuore oltre l’ostacolo, obbligati dai fatti, siamo stati tutti noi: lavoratori di qualsiasi industria senza distinzione, né gerarchica, né di età. Abbiamo fatto di necessità virtù e tu che lavori nell’HR ti sei dovuto occupare anche di un “add on” non da poco, ossia indorare la pillola che in molti faticavano non solo a voler mandare giù, ma proprio a prendere in mano.
Al netto delle differenze tra industria e industria e, più nello specifico, tra le singole aziende, la partita che si è giocata negli ultimi due anni è stata sì questione di armonia di squadra, ma, soprattutto, di intenzione del singolo.
Le persone – professionalmente parlando - si sono improvvisamente ritrovate da sole: fisicamente, affrontando lo smart working lontane da colleghi e “capi”, ma anche in senso più “filosofico”, dovendo fare i conti con una serie di piccole e grandi difficoltà che fino a quel momento non erano assolutamente preparate ad accogliere.
Prima fra tutte la necessità di continuare il proprio compito professionale e quindi garantire la produttività sfruttando strumenti che prima di allora erano solo un “di cui” e non il perno sul quale far ruotare la propria quotidianità professionale.
La tecnologia, e quindi la digitalizzazione, ha giocato un ruolo fondamentale, permettendo che tutto – o quasi tutto – potesse continuare a scorrere quasi come prima, ma ha anche aperto vasi di Pandora pieni di disagio e disallineamento digitale. Se i più giovani hanno con piacere fatto a meno della pausa caffè “alla macchinetta” sostituendola con una chat su Teams dove condividere pensieri e momenti “più easy” con i colleghi, i lavoratori più anziani o comunque più legati alla presenza fisica hanno scoperto il fianco alla loro inadeguatezza tecnologica e alle loro incapacità e spesso mancanza di volontà di traslare con efficienza una relazione fino ad allora “analogica” in un rapporto digitale.
Aver educato e reso consapevoli questi lavoratori a un nuovo approccio al lavoro non è bastato per colmare quei gap che si sono venuti a creare e che le persone, in maniera diversa rispetto al proprio vissuto, alla propria esperienza e anche alla propria posizione anagrafica, hanno riempito con pensieri legati, appunto, alle proprie Priorità.
Se volessimo usare una metafora diremmo che in questi anni la coperta è sempre stata troppo corta: quando copriva un disallineamento digitale, per esempio, lasciava scoperta l’importanza di tessere relazioni di valore da parte dei lavoratori più giovani e così via. Pensando proprio alle nuove generazioni, l’ormai citatissima YOLO (You Only Live Once) economy si nutre – anche – dell’insoddisfazione cresciuta in ambito professionale proprio negli ultimi due anni. Ne abbiamo parlato in modo approfondito qui, quando si è indagato il tema della Great Resignation o, come viene ora anche chiamato, il Big Quit.
Se le Persone pensano alle proprie Priorità, lo stesso dovrebbero fare le aziende, andando a identificarle nella complessa intersezione che esiste tra necessità di business, ascolto delle proprie risorse e comuni dichiarazioni di intenti.
Se pensi che tutto questo sia una passeggiata di salute, ti stai sbagliando. La buona notizia, però, è che delle accortezze per gestire al meglio situazioni critiche possono essere messe in pratica e nel paragrafo successivo proviamo a darti qualche consiglio.
Iniziamo con una grande premessa: la digitalizzazione del lavoro, il conseguente meeting overload, la necessità di un multitasking obbligato e il mancato worklife balance sono in realtà le gocce che hanno fatto traboccare un vaso i cui ingredienti, al suo interno, iniziavano probabilmente da tempo a essere “mescolati” in modo sbagliato. Il risultato, in pratica, è molto simile a quello a cui assistiamo quando gettiamo una caramella alla menta nella bottiglia di una bibita gassata.
Detto questo risulta necessario sia sistemare i problemi più “strutturali”, sia trovare delle soluzioni più pratiche affinché si allontani l’eventualità di un possibile burnout.
In questa sede ci accontentiamo di pensare alle soluzioni pratiche, e quindi ecco in un percorso a step cosa potresti fare per allentare la pressione e togliere stress alla quotidianità professionale delle persone della tua azienda:
Offrire delle precise – ma anche flessibili – guidelines su come organizzare i meeting e soprattutto come valutarne la reale necessità così come prevederne alcuni di ricorrenti - da quelli di onboarding dedicati alle “nuove leve” a quelli di facilitazione dei legami di team, per esempio - possono essere alcune valide modalità per mostrare un approccio sano ed efficace alla gestione di relazioni e lavoro “da lontano”.
Ci sarebbero fiumi di parole da scrivere su questo tema in continua evoluzione ma speriamo di averti dato una buna panoramica e qualche spunto utile; ora noi come te stiamo ad osservare il mondo del lavoro che cambia, come sempre un po' attori e un po' spettatori.
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