Gaming e recruiting: questi due ambiti appaiono certamente molto distanti tra loro e potrebbe sembrare che non abbiano molto a che fare l’uno con l’altro. Eppure negli ultimi anni stiamo assistendo a un avvicinamento sempre più consolidato che vede i recruiter sfruttare le regole del gioco al fine di selezionare il personale aziendale.
Tra le varie discipline del gaming, il gioco di ruolo è senz’altro una di quelle che risulta più efficace per comprendere la personalità dei candidati e le loro soft skill, a cui le aziende prestano sempre maggiore attenzione.
Partiamo dalla definizione di “gioco di ruolo”: con questa espressione si intende un’attività in cui il giocatore assume il ruolo di un personaggio e dialoga con il contesto in cui è inserito. Questo significa che il giocatore, che nel nostro caso è il candidato a un’offerta di lavoro, deve immedesimarsi nella posizione che gli viene assegnata e affrontare delle sfide per raggiungere gli obiettivi prefissati, con un meccanismo di ricompense tale e quale a quello di un gioco.
I "giochi" tipicamente proposti dai recruiter possono prevedere delle prove in cui il candidato deve calarsi all’interno della vita lavorativa reale dell’azienda, trovare la soluzione a uno o più problemi e svolgere le mansioni che potrebbe ritrovarsi ad affrontare nel caso in cui fosse assunto. Una volta terminato il gioco, il recruiter avrà avuto modo di visionare le competenze della persona e valutarne le capacità trasversali.
Il gioco di ruolo può essere concepito come individuale o collettivo: l’importante è fornire regole chiare a tutti i partecipanti, assegnare un ruolo definito a ognuno di loro e spiegare efficacemente qual è l’obiettivo da raggiungere nel corso dell’attività, al termine della quale è previsto un sistema di ricompense o punteggi per premiare coloro che si sono maggiormente distinti.
Le meccaniche dei giochi sono in continua evoluzione e procedono di pari passo con gli studi sulla tecnologia e sul game design, ma ve ne sono alcune basilari che possiamo ritrovare in quasi tutte le situazioni:
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Con il termine “gamification” indichiamo una tecnica che si avvale della meccanica e del design dei giochi per coinvolgere e motivare una persona a svolgere una determinata attività, tendenzialmente attraverso strumenti digitali. E oggi, con la diffusione dei canali digitali e l’evoluzione delle tecnologie informatiche, la gamification è entrata con sempre più decisione a far parte anche del mondo del lavoro.
Se ci limitiamo al mondo HR, scopriamo che queste tecniche non si utilizzano solo per le attività di selezione del personale, ma anche nella formazione dei lavoratori. Sono sempre di più le aziende che ricorrono alla gamification per trasmettere nuove competenze, in primis gestionali, ai propri colleghi. Un altro esempio è la formazione degli addetti alle vendite, che possono imparare tecniche di promozione per essere più competitivi sul mercato attraverso giochi pensati specificamente per la loro figura professionale.
Quello della gamification, del resto, è un trend ben avviato in diversi settori come il marketing, la cultura, il turismo, i trasporti, l’educazione. Un successo certificato negli ultimi anni grazie allo sviluppo di nuove piattaforme, social e non solo, ulteriormente accelerato dal periodo di pandemia in cui ci siamo ritrovati a vivere e che ha visto un sempre maggiore utilizzo dei canali digitali.
In questo contesto, non sorprende la grande diffusione di applicazioni e piattaforme messe a disposizione dalle aziende per smartphone e computer che sfruttano queste tecnologie e che spesso diventano parte integrante della nostra vita quotidiana. Il sistema di ricompense basato sul raggiungimento degli obiettivi spinge infatti l’utente a utilizzare per diverso tempo questi sistemi per andare sempre avanti e sbloccare nuovi premi, aumentando dunque il tempo di utilizzo.
Quando parliamo di “recruiting gamification” intendiamo quindi un nuovo modo di concepire il processo di selezione del personale basato sui principi e le tecniche del gioco, che consentono un’esperienza più snella per i recruiter e più ingaggiante per i candidati.
Si ritiene che la recruiting gamification sia nata nel mondo anglosassone, proprio per sfruttare metodologie di selezione alternative e valutare in modo più verosimile le reali competenze e aspirazioni dei candidati.
Una delle prime applicazioni in ambito di selezione del personale risale al 2011, per opera della catena alberghiera statunitense Marriott, che utilizzò un gioco accessibile tramite i social network per tentare di coprire 50.000 posizioni vacanti in un anno. I giocatori dovevano gestire un ristorante virtuale occupandosi di tutti gli aspetti che verosimilmente ci si troverebbe ad affrontare nella realtà, guadagnando e perdendo punti in base alla soddisfazione dei clienti e venendo premiati in caso di azioni che portavano profitto.
Questo fu uno dei primi esempi, ma sono moltissime le aziende che utilizzano la recruiting gamification per attrarre giovani talenti e selezionare i candidati migliori. Per diversi anni, ad esempio, L’Oréal ha sfruttato questa metodologia per il recruitment di candidati a posizioni di marketing, risorse umane e vendita all’interno dell’azienda. Il gioco si chiamava “Reveal” e permetteva ai giocatori di sperimentare quello che sarebbe stato effettivamente il lavoro per cui si stavano candidando, interagendo con gli avatar che rappresentavano i loro ipotetici colleghi e lavorando a un progetto differente a seconda della propria area professionale.
Un altro caso di successo è quello di Multipoly, il gioco lanciato da PwC in Ungheria per coinvolgere maggiormente i candidati durante la fase di selezione. Gli addetti alle Risorse Umane dell’azienda avevano notato che i candidati trascorrevano normalmente pochi minuti sulle piattaforme di ricerca lavoro per valutare le offerte e candidarsi alle posizioni aperte. L’azienda, al contrario, voleva attirare i candidati realmente motivati e qualificati, e Multipoly aveva proprio questo scopo: consentiva ai candidati di testare le proprie capacità in situazioni lavorative verosimili. I giocatori avrebbero ottenuto un punteggio in relazione a diverse aree di competenza e i migliori sarebbero poi stati invitati direttamente nella sede di PwC per un colloquio frontale: il risultato fu che i giocatori migliori erano mediamente più preparati durante il colloquio perché il gioco li aveva pre-educati sulle capacità necessarie per lavorare nell’organizzazione, su come sarebbe stato il loro lavoro e sulla visione aziendale. Oltre a ciò, le candidature furono quasi triplicate rispetto alla norma e il tempo della sessione di gioco fu di sei volte superiore a quello trascorso in precedenza sulla career page dell’azienda.
Di norma il processo di recruiting comprende diverse fasi e comporta una serie di azioni di pianificazione del lavoro e delle comunicazioni da fornire internamente ed esternamente all’azienda, con un iter che può diventare lungo e difficoltoso.
L’adozione di tecniche di recruiting gamification può trasformare questo processo, per esempio eliminando una prima fase di scrematura che emergerà da sé nel corso dell’attività ludica e permettendo così al recruiter di dedicare meno tempo a questo scopo: mentre con metodologie tradizionali vengono investite energie nella lettura di tutti i curriculum, che talvolta sono inviati senza un reale interesse per la posizione, attraverso la recruiting gamification si ha la possibilità di valutare un numero potenzialmente illimitato di candidati realmente motivati, con risultati migliori rispetto a quelli offerti dagli ATS.
Chiaramente questo tipo di selezione si discosta molto dai metodi tradizionali e dalla mera valutazione del CV del candidato, con le sue esperienze e competenze scritte nero su bianco o elencate autoreferenzialmente durante un colloquio di lavoro. Con l’esperienza del gioco si possono verificare concretamente le skill dei “candidati-giocatori” e metterli davvero alla prova.
Daniele Donnini, Technical Manager Reverse
In questo modo il recruiter può capire quali candidati sono in grado di muoversi all’interno del contesto lavorativo creato attraverso il gioco e pronosticare quindi in modo più attendibile il futuro comportamento del lavoratore all’interno dell’azienda, grazie a criteri di valutazione delle performance all’avanguardia.
Tipicamente gli elementi principali su cui i candidati vengono valutati nell’ambito della gamification sono:
A questi si aggiungono anche le osservazioni sul comportamento della persona, ad esempio il modo in cui ha interagito con gli altri candidati o con lo scenario del gioco, la capacità di prendere decisioni per passare da un livello all’altro e quella di problem solving.
È un’esperienza che può essere utile anche al candidato stesso, che si trova ad affrontare una situazione diversa da quelle a cui è abituato e ha la possibilità di rafforzare le proprie soft skill ed entrare in contatto con l’ambiente lavorativo, la politica aziendale e le mansioni che svolgerà in caso di assunzione.
Tutto ciò senza rinunciare all’aspetto ludico: la gamification prevede l’inserimento del gioco in un contesto che tendenzialmente è vissuto con un certo stress e nervosismo da parte dei candidati, mentre in questo modo si è maggiormente a proprio agio, si ha un livello di ansia inferiore, e si può quindi performare al meglio e mettere in mostra le proprie reali attitudini e capacità.
Ciò che è un vantaggio per i recruiter, lo è anche per l’azienda stessa: se chi si occupa di selezionare il personale risparmia tempo snellendo il processo di recruiting, per l’azienda questo si traduce in una riduzione dei costi operativi, liberando energie e risorse che possono essere dedicate ad altre attività. In questo senso bisognerebbe concepire la recruiting gamification come un buon investimento, nonostante l’ovvio sforzo iniziale per implementare un software ad hoc.
Inoltre, come abbiamo già accennato, la gamification può essere utile anche in altri momenti della vita aziendale diversi dal recruiting, ad esempio nella formazione: questi sistemi, sempre più diffusi tra le imprese, portano a un maggiore coinvolgimento dei collaboratori e dunque a una loro maggiore autostima e motivazione, con effetti positivi sulla produttività. Il sistema di ricompense tipico del gioco è fondamentale: quando si raggiunge un obiettivo e si vincono dei premi o dei punti, il giocatore si sente gratificato ed è motivato ad andare avanti per fare di più.
Un esempio di questo tipo è rappresentato dai serious game, ovvero quei giochi costituiti da una parte simulativa, con scenari che potrebbero verificarsi sul luogo di lavoro, e una prettamente ludica a scopo formativo. Questa tipologia di approccio è molto utilizzata anche nell’ambito del coaching grazie alla sua capacità di allenare quelle soft skill sempre più fondamentali sul luogo di lavoro:
Tutto questo ha un effetto anche in termini di talent acquisition. Un potenziale candidato, soprattutto se giovane, è certamente attratto da un’azienda che utilizza metodologie all’avanguardia per aiutare i propri lavoratori a crescere e ad acquisire nuove competenze. E anche il processo di candidatura a una posizione di lavoro è fondamentale, perché si tratta del primo punto di contatto tra l’azienda e il potenziale collega di domani: presentarsi ai candidati con un approccio innovativo e orientato al futuro consente di trasmettere un’immagine di valore e di suscitare interesse verso l’organizzazione.
La recruiting gamification diventa quindi una leva di employer branding, perché anche il modo in cui si svolge la selezione in azienda è uno dei fattori considerati dai candidati e può essere quindi un modo per attrarre i nuovi talenti, che sono sempre più spesso nativi digitali.
Generazioni sempre connesse e molto attive a livello digitale apprezzeranno senz’altro un’esperienza di gamification anche nel contesto di un processo di selezione. Un esempio è il gioco lanciato da L’Oréal di cui abbiamo parlato in precedenza, che ottenne diversi riconoscimenti proprio per il modo innovativo di attirare i laureati: basti pensare che nel 2015 il gioco contava complessivamente 120.000 giocatori.
Non dimentichiamo che la forza lavoro di oggi è composta sempre più dai Millennial e che i candidati alle offerte di lavoro sono spesso ancora più giovani.
Pertanto, se si vogliono attrarre e ingaggiare queste figure, le aziende devono imparare a usare il linguaggio e gli strumenti più vicini alla loro esperienza quotidiana, che è in buona parte caratterizzata dall’uso di dispositivi digitali, spesso con fini ludici. Un’impresa all’avanguardia, al giorno d’oggi, è quella che sa utilizzare la tecnologia per migliorare e semplificare la vita dei propri collaboratori, anche di quelli futuri, e in questo il ruolo della gamification sta diventando sempre più centrale.
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