Parlarne “non sta bene”, “è volgare” e “c’è altro di più importante”. Il tabù che coinvolge il denaro, e quindi indirettamente anche lo stipendio, si sta oggi superando.
La nuova direttiva sulla parità salariale e sulla trasparenza retributiva, approvata a larga maggioranza dal Parlamento Europeo il 30 marzo 2023, lo dimostra: indicare la RAL negli annunci di lavoro diventa obbligatorio per le aziende. E non solo, le novità sono tante.
L’obiettivo? garantire la trasparenza sullo stipendio percepito e avviarsi verso la parità retributiva tra uomo e donna.
Vediamo quindi insieme cosa prevede la normativa e quali sono le implicazioni per gli stati membri e le aziende europee.
La nuova direttiva si basa innanzitutto su una, importantissima, premessa: a parità di ruolo, nell’UE le donne guadagnano in media il 13% in meno degli uomini (che, in termini pensionistici, si traduce in un gap che sfiora il 30%).
Questo divario salariale (l’ormai, purtroppo, famosissimo gender pay gap) è stato – ed è tuttora possibile – anche per via del segreto retributivo, ossia la mancata dichiarazione della retribuzione all’interno degli annunci di lavoro.
Quel che succede oggi nella maggior parte dei casi – e che entro 3 anni, lo vedremo tra poco, non potrà più accadere - è che i candidati si trovano a rispondere a offerte di lavoro “blind”, ovvero che non prevedono l’indicazione della retribuzione prevista.
È infatti generalmente in fase di colloquio che questo aspetto viene chiarito, o su richiesta del candidato stesso, oppure in modo più “naturale” da parte del datore di lavoro o di chi sta conducendo le selezioni.
Bene: a introdurre un plot twist per recruiting&selection ci ha pensato il Parlamento Europeo che pochi giorni fa ha approvato a larga maggioranza nuove misure vincolanti del sulla trasparenza retributiva.
Ma cosa cambia - praticamente - per le aziende?
La direttiva vuole in questo modo non solo sostenere i candidati che avranno ora accesso a informazioni più complete e trasparenti su retribuzione, avanzamenti di carriera e criteri utilizzati per la definizione tanto del salario quanto della crescita professionale, ma intende soprattutto supportare i datori di lavoro nell’individuare le eventuali discrepanze salariali involontarie, frutto quindi non di validi fattori discrezionali, ma di retaggi quasi inconsci.
Roberta Metsola, Presidentessa del Parlamento Europeo, in un suo tweet di sostegno alla normativa appena approvata, ha dichiarato: “Sono finiti i giorni in cui le persone venivano pagate meno solo per quello che erano, oggi abbiamo fatto un salto di qualità verso l’uguaglianza, soprattutto per le donne, vincolando il principio della parità di retribuzione alla parità di lavoro”.
La vera verità è che l’articolo 157 TFUE già afferma(va) – si cita – “che ciascuno Stato membro assicura l'applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore”, come avevamo avuto modo di raccontare anche noi, qui. Nonostante questo, i dati degli ultimi 10 anni non sono stati rassicuranti, mantenendo il gender pay gap a livelli – lo abbiamo visto poco sopra – ancora non accettabili.
La più recente normativa arriva quindi a rafforzare quanto già previsto, lasciando però ancora meno margini ai Paesi – e quindi di fatto alle aziende – per applicare ciò che è dovuto.
Ma non solo: alle organizzazioni e alle amministrazioni pubbliche di tutta Europa è richiesta una dichiarazione obbligatoria circa le proprie retribuzioni. Qualora il divario – di genere - sia superiore al 5% è necessaria una valutazione delle retribuzioni in cooperazione con i rappresentanti dei loro dipendenti.
Per chi non rispetta la normativa i Paesi UE dovranno introdurre sanzioni efficaci, anche pecuniarie. Per la prima volta in assoluto sono state inserite nell’applicazione delle nuove norme anche la discriminazione intersezionale e il mancato rispetto dei diritti delle persone non binarie.
Sul piatto, lo abbiamo visto, c’è tanto. E sufficiente è anche il tempo che l’UE lascia a disposizione di Paesi e aziende che vi hanno sede per mettersi in regola con la normativa.
Sono infatti 3 gli anni che i Paesi membri hanno per implementare la direttiva nelle leggi nazionali: ciò significa, soprattutto, inserire delle clausole nei contratti di lavoro che impediscano alle aziende di chiedere informazioni in merito alla retribuzione dei lavoratori o a quella di altre categorie.
Questa nuova normativa mette in chiaro quanto l’UE non sia più disposta ad accettare qualsiasi tipo di disparità retributiva, restituendo in questo modo al lavoro il suo giusto valore, indipendentemente da chi lo debba svolgere.
Nel corso delle innumerevoli trattative e negoziazioni tra datori di lavoro e candidati, spesso è lo stesso candidato che ha bisogno di esplicitare la sua retribuzione precedente per ottenere un significativo aumento.
È importante sottolineare che non esiste un mansionario globale che indichi quanto pagare le persone a seconda delle loro competenze. Un tale sistema non è mai esistito e probabilmente non potrà mai esistere. L'appiattimento retributivo in base agli anni di anzianità, tanto caro al settore pubblico, dà solo una parvenza di giustizia retributiva. Un esempio su tutti è l'insegnante: tutti vengono pagati uguali, ma non tutti portano lo stesso valore agli studenti. Sono gli stessi insegnanti ad esprimere scoramento rispetto al non vedere le differenze riconosciute nel trattamento economico.
Quindi quando si chiede una retribuzione alle cinque candidate in linea per una posizione, lo si fa soprattutto per capire quanto il mercato paga quelle competenze e per fare le opportune valutazioni. Perché è il mercato che definisce i prezzi, non un mansionario sulle competenze.
Pertanto, mentre accolgo con favore le iniziative volte a garantire la parità e la trasparenza, è fondamentale valutare attentamente l'efficacia e l'applicabilità di queste misure nel mondo del lavoro reale. Dobbiamo continuare a promuovere un approccio più olistico e personalizzato nella valutazione dei singoli individui e delle loro contribuzioni alle aziende, tenendo conto delle sfide e delle dinamiche specifiche delle negoziazioni salariali. Inoltre, sarà essenziale monitorare l'attuazione e l'efficacia di queste misure nel tempo, per apportare eventuali aggiustamenti e miglioramenti che garantiscano un impatto concreto sulla riduzione delle disparità retributive e la promozione dell'uguaglianza nel mondo del lavoro."