Gender pay gap: capire il fenomeno per contrastarlo - Aggiornamento 2025

    Se ci venisse chiesto qual è il più grande furto della storia dell’uomo, probabilmente proveremmo a ricordare qualche famosa rapina entrata nella leggenda e nell’immaginario collettivo per la sua epicità. Invece, questa definizione, “il più grande furto della storia”, è stata usata nel 2018 da Anuradha Seth, consigliera per il programma di sviluppo delle Nazioni Unite, per indicare il gender pay gap. Allora a livello globale, secondo i dati dell’Onu, il gender pay gap era del 23%: per ogni dollaro guadagnato dagli uomini, le donne prendevano solo 77 centesimi. 

    Oggi la situazione non è cambiata poi molto: andiamo dunque alla scoperta di questo fenomeno, delle sue cause, della situazione al giorno d’oggi in Italia e in Europa e di come è possibile affrontarla.

    1. Cosa si intende per gender pay gap
    2. Gender pay gap: come calcolarlo e quali sono le cause
    3. Situazione del divario retributivo in Italia e in Europa
    4. Come contrastare il gender pay gap nella tua azienda
    5. Sfide e prospettive future

     

    1. Cosa si intende per gender pay gap

    Facciamo un passo indietro e iniziamo da una definizione, quella di "gender gap": con questo termine si indica il divario esistente tra uomini e donne in tanti ambiti diversi, ma che impattano profondamente sulla vita quotidiana e sul suo svolgimento, come la salute, l’educazione, il lavoro, l’accesso alle attività economiche e così via.

    A monitorare il divario di genere in tutto il mondo da più di un decennio è il World Economic Forum, tra le fonti più affidabili a cui ricorrere quando si tratta di individuare le aree di intervento più urgenti, dove le probabilità che si formino e si consolidino delle differenze tra uomini e donne sono maggiori. 

    Ogni anno viene redatto un report, il Global Gender Gap Report, in cui si analizzano i settori più a rischio e i Paesi che hanno fatto meglio per quanto riguarda il raggiungimento della parità di genere sulla base di quattro indicatori principali: salute, educazione, economia e politica. Riferendosi a questi parametri, per calcolare il gender gap ci si concentra su diversi fattori: l’aspettativa di vita, l’opportunità di accedere alle cure, i tassi di scolarizzazione, la disponibilità di percorsi di formazione, le possibilità di voto, il numero di donne che svolgono compiti istituzionali o rappresentativi.

    Questo, dunque, il gender gap. E il gender pay gap? Senz’altro è strettamente connesso al gender gap, ma riguarda specificatamente lo stipendio dei lavoratori e delle lavoratrici. Il gender pay gap è infatti il divario salariale o retributivo di genere che ancora esiste tra uomini e donne. In parole semplici, altro non è che la differenza tra lo stipendio medio percepito dalle lavoratrici e quello percepito dai colleghi uomini a parità di mansioni e responsabilità. 

    C’è ancora chi sostiene che il gender pay gap non esista, quando in realtà è un fenomeno ben tangibile, che ancora oggi relega sul posto di lavoro le donne in una posizione di secondo piano anche per quello che riguarda il compenso ricevuto per il lavoro svolto.

    Intuitivamente, penseremmo che una donna che svolge lo stesso ruolo, con gli stessi orari, le stesse qualifiche e le stesse competenze di un collega uomo abbia anche la stessa busta paga, e invece non è così. La discriminazione salariale di genere è un indice che di fatto misura la discriminazione tra uomini e donne. Ne esistono di due tipi:

    • gender pay gap “grezzo”: si basa sulla differenza media della retribuzione lorda oraria, al lordo quindi della tassazione e della contribuzione;
    • gender pay gap totale: si basa sul salario orario, sul numero medio mensile di ore retribuite e sul tasso di occupazione femminile.

    Anche per calcolare il gender pay gap bisogna tenere in considerazione molti fattori e il calcolo non è così semplice. Sono diversi i criteri che bisogna individuare per effettuare questo calcolo e ogni paese potrebbe prendere come modalità di misurazione parametri differenti: si possono considerare la paga ad ore, oppure lo stipendio settimanale o quello mensile, ma non solo. Secondo gli esperti, esisterebbero anche altri elementi che non vengono normalmente inclusi nel calcolo, ma che sono importanti per capire le difficoltà che le donne possono sperimentare quando entrano nel mercato del lavoro, come l’accesso all’istruzione che porta a ricoprire determinati ruoli, il background sociale e le opportunità di crescita.


    La parità di genere sul lavoro rimane un miraggio e il gender gap è ancora molto difficile da eradicare. 

    Ma perché? Ecco i motivi: 

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    2. Gender pay gap: come calcolarlo e quali sono le cause

    A influire sul calcolo del gender pay gap sono diversi fattori: 

    1. Il primo elemento che lo influenza è quello dato da una (auto)selezione nel mercato del lavoro.
      Proviamo a spiegarci meglio prendendo come esempio il caso italiano: nel nostro Paese si verifica un’elevata selezione “positiva” nel mercato del lavoro in quanto la partecipazione delle donne poco qualificate e poco istruite (le quali quindi otterrebbero bassi salari se lavorassero) risulta estremamente più bassa rispetto ad altri Paesi. Queste persone rimangono dunque fuori dal calcolo del gender pay gap, permettendo di ridurlo, per il semplice fatto che non sono nemmeno impiegate (facile così, no?).
    2. Altro fattore di cui tenere conto è che le statistiche solitamente riportate per documentare il gender pay gap considerano la distribuzione dei redditi senza tenere conto della posizione lavorativa, del settore di attività e del livello d’istruzione degli individui. Dato che uomini e donne si differenziano notevolmente sotto questi aspetti, come rilevato nel suddetto Global Gender Gap Report, un confronto a parità di queste condizioni occupazionali determinerebbe una notevole riduzione del gender pay gap. La donna può guadagnare meno perché lavora meno ore nel mercato del lavoro, è meno presente in posizioni di manageriali e si colloca maggiormente in alcune occupazioni o settori produttivi caratterizzati tipicamente da salari più bassi.
    3. Il terzo elemento è il seguente: se ci si focalizza sui divari salariali per ora lavorata, si ottiene un gender pay gap nettamente inferiore rispetto a quello calcolato utilizzando i salari mensili. Ancora più elevato risulta il gender pay gap considerando le differenze annuali o sull’intera vita lavorativa. Più lungo è il periodo considerato, più elevate risultano le differenze fra uomini e donne, a causa della maggiore discontinuità nelle carriere lavorative delle donne rispetto agli uomini, data la maggiore relegazione delle donne nella dimensione familiare: la genitorialità contribuisce ad aumentare lo svantaggio economico della donna.

    Capiamo quindi che il discorso del gender pay gap rientra nel più ampio contesto del gender gap che affligge tanti Paesi nel mondo. Per riprendere le parole di Anuradha Seth: “Non esiste un solo Paese, né un solo settore in cui le donne abbiano gli stessi stipendi degli uomini”.

     

    3. Situazione del divario retributivo in Italia e in Europa nel 2025

     

    La situazione attuale in Italia: i dati del gender pay gap italiano

    La situazione del divario retributivo di genere in Italia presenta un quadro complesso e sfaccettato che varia significativamente a seconda dei parametri di misurazione utilizzati.

    Secondo i più recenti dati INPS contenuti nel Rendiconto di genere 2024, il gender pay gap in Italia si attesta al 5,6% se calcolato sulla base della retribuzione oraria lorda, un dato che colloca l'Italia tra i paesi europei con il divario più contenuto. Tuttavia, questo dato apparentemente positivo nasconde una realtà più complessa: l'Italia figura infatti tra i migliori performers europei insieme a Lussemburgo, Romania, Slovenia, Polonia e Belgio, tutti con un gap inferiore al 5%. Ma la situazione cambia drasticamente quando si considera il divario retributivo complessivo annuale, che tiene conto di tre fattori principali: la retribuzione oraria inferiore, il minor numero di ore lavorate e il più basso tasso di occupazione femminile. In questo caso, il gender pay gap complessivo in Italia raggiunge il 43,7%, superiore alla media europea del 39,3%.

     

    Analisi per settori

    I dati INPS 2023 evidenziano divari retributivi significativi che variano considerevolmente per settore: nelle attività manifatturiere le donne percepiscono stipendi giornalieri inferiori di oltre il 20% rispetto agli uomini, nel commercio del 23,7%, nei servizi di alloggio e ristorazione del 16,3%, mentre nelle attività finanziarie, assicurative e servizi alle imprese il divario raggiunge il 32,1%.

    Per quanto riguarda l'inquadramento professionale, il gender pay gap risulta minore nelle funzioni con una maggiore presenza femminile, come le Risorse Umane (-3,9%), mentre tende ad ampliarsi nelle aree a prevalenza maschile, come le Operations (-15,7%). Il gap si riduce nelle aree funzionali caratterizzate da una carenza di competenze sul mercato, come ICT (-3,3%) ed Engineering (-4,7%).

     

    Il contesto occupazionale

    Nel 2023, il tasso di occupazione femminile in Italia si è attestato al 52,5%, rispetto al 70,4% degli uomini, evidenziando un divario di genere significativo pari al 17,9 punti percentuali. Le assunzioni femminili hanno rappresentato solo il 42,3% del totale, e solo il 18% delle assunzioni di donne sono a tempo indeterminato.

    Questo dato colloca l'Italia tra gli ultimi in Europa per partecipazione femminile al lavoro, ben al di sotto della media UE del 70,2%. Inoltre, il tasso di disoccupazione femminile è quasi il doppio di quello maschile (8,4% contro 4,9%).

     

    La situazione europea: dati generali del divario retributivo in Europa

    Secondo Eurostat, nel 2023 il divario retributivo di genere nell'Unione Europea si è attestato al 12,0% per l'economia nel suo complesso, con le retribuzioni orarie lorde delle donne inferiori in media del 12,0% rispetto a quelle degli uomini nell'UE e del 12,3% nella zona euro.

    La variabilità del divario retributivo tra i paesi europei è notevole. Nel 2023, le discrepanze più alte sono state rilevate in: Lettonia (19%), Austria (18,3%), Repubblica Ceca (18%), Ungheria (17,8%) e Germania (17,6%). Al contrario, i paesi con i divari più bassi sono: Belgio (0,7%), Italia (2,2%), Romania (3,8%), Malta (5,1%) e Slovenia (5,4%).

    Il Lussemburgo rappresenta un caso unico, essendo l'unico paese europeo ad avere un gender pay gap negativo (-0,7%), significando che le donne guadagnano in media leggermente di più degli uomini.

     

    Settore pubblico vs privato

    Nel 2022, il divario di genere era più alto nel settore privato che in quello pubblico in 21 dei 24 paesi europei analizzati. Secondo Eurostat, ciò potrebbe essere dovuto al fatto che le retribuzioni nel settore pubblico sono per lo più determinate da griglie salariali trasparenti che si applicano in egual misura a uomini e donne.

     

    Le migliori performance europee

    Nella classifica mondiale 2024, sette paesi europei occupano posizioni nella top 10: Islanda (1°, 93,5%), Finlandia (2°, 87,5%), Norvegia (3°, 87,5%), Svezia (5°, 81,6%), Germania (7°, 81%), Irlanda (9°, 80,2%) e Spagna (10°, 79,7%).

     

    Le nuove normative europee: la Direttiva 2023/970 sulla trasparenza retributiva

    Il 4 marzo 2021 la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva sulla trasparenza retributiva, approvata definitivamente come Direttiva UE 2023/970. La direttiva prevede che le imprese dell'UE siano tenute a fornire informazioni sulle retribuzioni e a intervenire se il divario retributivo di genere supera il 5%.

     

    I punti chiave della nuova direttiva

    La direttiva fissa al 5% il limite massimo di gender pay gap ammissibile: nel caso l'azienda dovesse riportare un risultato superiore, dovrà adottare misure correttive. Le aziende dovranno inoltre garantire la completa trasparenza retributiva negli annunci di lavoro e comunicare in modo chiaro i percorsi di carriera dei dipendenti.

    La Direttiva si applica ai datori di lavoro del settore pubblico e privato, senza limiti e senza soglie minime di dipendenti, salvo il caso degli obblighi di rendicontazione che riguarderanno le imprese con più di 100 lavoratori.

    Tutti i paesi europei dovranno recepire la direttiva entro il 7 giugno 2026. La Francia ha già annunciato che la recepirà nel 2025, mentre altri paesi come la Svezia stanno studiando i dettagli operativi.

    In caso di violazioni, le sanzioni devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive e comporteranno delle ammende. L'onere della prova sarà invertito: spetterà al datore di lavoro dimostrare di non aver violato le norme UE in materia di parità di retribuzione e trasparenza retributiva.

    Per la prima volta, la discriminazione intersezionale (ossia fondata su una combinazione di molteplici forme di disuguaglianza o svantaggio, come il genere e l'etnia o la sessualità) è stata inclusa nell'ambito di applicazione delle nuove norme.

     

     

     

    4. Come contrastare il gender pay gap nella tua azienda

    Spesso i grandi cambiamenti iniziano un piccolo passo alla volta, grazie agli sforzi di ciascuno di noi. In questo caso, con l’impegno di ogni singola azienda nel promuovere l’uguaglianza fra i propri lavoratori e le proprie lavoratrici come valore fondante dell’organizzazione. Non solo a parole, ma anche con azioni concrete per abbattere il gender pay gap.

    Spesso lo scenario dal quale si parte non è molto favorevole, sia dal punto di vista culturale che da quello amministrativo, ma ci sono senz’altro diverse strategie da mettere in atto per migliorare la situazione:

    1. analizzare il profilo retributivo aziendale, ovvero i salari della forza lavoro, per avere una visione generale della situazione. Gli stipendi degli uomini e delle donne nella medesima posizione vanno messi a confronto e contestualmente vanno valutate le promozioni ricevute, i bonus, gli incentivi e i licenziamenti per individuare le diseguaglianze;
    2. utilizzare modelli predittivi per identificare e correggere il bias. Partiamo dalla raccolta di dati e dalla costruzione di un database all’interno del quale inserire dati relativi al personale come il salario annuale, il genere, gli anni di esperienza, le performance. Questi vanno poi integrati con i dati relativi a fattori organizzativi come la funzione di appartenenza, eventuali part-time e career level. Infine, vanno inseriti anche elementi geografici che attestano il livello di benessere del Paese in cui si opera e la relativa media salariale;

    3. correggere l’eventuale divario di genere riscontrato, se ingiustificato. Per fare questo, ogni momento è buono, ma volendo si può trovare una situazione particolarmente adatta come la valutazione annuale delle performance. Dopo aver riconosciuto un errore, comunque, è sempre importante passare all’azione per evitare che la questione passi in secondo piano e venga ulteriormente rimandata;

    4. rimuovere i fattori condizionanti dal processo di selezione. Il condizionamento, che sia conscio o inconscio, agisce profondamente sulle nostre decisioni, anche in fase di recruiting. Bisogna quindi provare a eliminare tutti quegli elementi che possano condizionare sia i candidati e le candidate, sia la persona incaricata di valutare l’assunzione. Un buon punto di partenza è l’eliminazione dei termini ambigui che possano potenzialmente scoraggiare candidati donna negli annunci di lavoro e favorire un linguaggio neutro. Un’idea può anche essere quella di istituire procedure di “blind CV”, richiedendo curriculum senza alcun riferimento a sesso, provenienza e altre caratteristiche che non attengono alle effettive competenze della persona;

    5. identificare driver di retribuzione legittimi per predire la retribuzione di collaboratore e collaboratrice. Grazie a sistemi di analytics avanzati possiamo identificare i fattori che devono influenzare le differenze salariali, eliminando il fattore “genere” per evitare discriminazioni. Gli elementi da considerare variano senz’altro da azienda ad azienda, ma ve ne sono molto ricorrenti performance migliori, più anni di formazione e career level. Tra questi driver vengono poi selezionati quelli legittimi, ovvero quelli considerati in linea con la filosofia retributiva desiderata dall’organizzazione;

    6. calcolare i cosiddetti “unexplained pay gap” sulla base della distribuzione che abbiamo appena descritto. Considerando solo i driver legittimi, calcoliamo la retribuzione “ideale” di ogni singola persona, ovvero quanto dovrebbe guadagnare in un mondo dove non vi è discriminazione di genere e la sua retribuzione è basata solo sui fattori che abbiamo selezionato. La differenza tra questa retribuzione ideale e quella reale sarà quindi dovuta dal fattore escluso dal modello, ovvero il genere: questo è quello che viene chiamato unexplained pay gap, che rappresenta la migliore misura di bias e discriminazione di genere in termini di retribuzione della forza lavoro;

    7. migliorare la trasparenza e aprirsi al cambiamento. Essere il più trasparenti possibile è fondamentale, specialmente sulle procedure che portano alla definizione dei salari, per ridurre le diseguaglianze. Dimostrarsi disponibili ad adattare le proprie retribuzioni alle situazioni del mercato attuale e delle performance individuali, anziché alle prassi del passato, aumenterà senz’altro il benessere e l’engagement del personale.

    Adottare tutte queste misure porterà sicuramente benefici in ottica di Employer Branding per risultare più accattivanti agli occhi dei talenti del futuro, migliorando il vantaggio competitivo dell’organizzazione, la produttività e la reputazione aziendale. 

    Al netto di questo, possiamo affermare che ridurre il divario contributivo di genere voglia dire, più semplicemente, fare la cosa più giusta.

     

     

    5. Sfide e prospettive future

     

    Secondo il Global Gender Gap Report 2024, al ritmo attuale di progresso, ci vorranno 134 anni per raggiungere la piena parità di genere, circa cinque generazioni in più rispetto agli Obiettivi di sviluppo sostenibile fissati al 2030.

    Colmare il divario occupazionale e salariale potrebbe generare un aumento del PIL fino al 7%, oltre ad avere effetti positivi su natalità, coesione sociale e innovazione. Ma un'indagine IPSOS del 2024 evidenzia che il 51% degli italiani continua a ritenere che le donne siano più adatte a ruoli di cura che a posizioni di comando: una mentalità che condiziona fortemente decisioni individuali e collettive.

    La situazione del divario retributivo di genere in Italia e in Europa presenta un quadro complesso e in evoluzione.  La nuova Direttiva europea 2023/970 sulla trasparenza retributiva rappresenta un passo fondamentale verso una maggiore equità, imponendo obblighi stringenti alle aziende e fissando soglie precise per l'intervento correttivo.

    Tuttavia, come sottolinea l'analisi di Oxfam, le donne lavorano ancora l'equivalente di un giorno alla settimana senza retribuzione rispetto ai colleghi uomini, evidenziando come il cammino verso la vera parità sia ancora lungo e richieda un impegno sistemico da parte di istituzioni, aziende e società civile.

     


    La parità di genere sul lavoro rimane un miraggio e il gender gap è ancora molto difficile da eradicare. 

    Ma perché? Ecco i motivi: 

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    Alessandro Raguseo, CEO