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Linguaggio Inclusivo: promuovere l’inclusione sul lavoro

Scritto da Team Reverse | 9 dicembre 2021 13.11.21 Z

Il lavoro occupa una buona parte delle nostre giornate e tutti noi vogliamo sentirci a nostro agio insieme ai colleghi e alle colleghe, con cui condividiamo tempo e spazi. Tutti noi abbiamo il diritto di esprimere i nostri bisogni, pareri, valori, senza fingere di essere ciò che non siamo. Solo così il lavoro non diventa un peso e ci può far sentire in una realtà di cui siamo parte attiva, coinvolta e valorizzata nella propria unicità. Insomma, ogni azienda deve far capire a tutte le proprie persone che tiene a loro e le rispetta come meritano, a partire dall’attenzione rivolta al modo in cui ci si esprime nella comunicazione.

  1. Cosa si intende per linguaggio inclusivo?
  2. Esempi e consigli utili per adottare un linguaggio inclusivo all’interno della propria azienda
  3. Come adottare un approccio più inclusivo sul luogo di lavoro
  4. I vantaggi dell’adottare un linguaggio e un comportamento inclusivi

 

1. Cosa si intende per linguaggio inclusivo?

Le differenze che ci contraddistinguono possono essere diverse: provenienza geografica e culturale, sesso, genere, età, religione, caratteristiche fisiche, educazione. Quando parliamo di inclusione, stiamo descrivendo un ambiente adatto alla collaborazione, alla comprensione e alla valorizzazione di tutte queste diversità, che ci rendono persone così uniche e importanti anche per l’azienda in cui lavoriamo. A questo proposito, sentiamo sempre più spesso parlare di “Diversità e Inclusione”, abbreviate in D&I, per indicare la mission di molte organizzazioni che vogliono supportare le diversità con svariati accorgimenti e strategie.

Tra i vari elementi che le imprese mettono in campo per migliorarsi sotto questo punto di vista c’è il linguaggio: il rispetto per le persone comincia dall’utilizzo di un linguaggio inclusivo, che rispetti le diversità e peculiarità di tutti gli individui. Questo perché anche le parole hanno un peso e possono avere un impatto significativo tanto quanto il comportamento e le azioni che compiamo. Quindi, se il nostro dialogo definisce il nostro modo di essere sul posto di lavoro, è importante pensare in modo critico alle aspettative e allo status quo che stiamo generando.

Il linguaggio di genere, ad esempio, è spesso una conseguenza involontaria di esclusione che esercitiamo a livello inconscio. La nostra lingua può assumere forme di genere non necessarie, ovvero ci può capitare di escludere e talvolta persino sminuire una persona in base al genere o al sesso: ad esempio, la frase "l'uomo migliore per il lavoro" esclude le donne e coloro che non si identificano con il sesso maschile. Questo potrebbe suggerire il messaggio che solo un uomo può svolgere quel determinato ruolo, che una donna non ne sarebbe capace o, addirittura, che le sia preclusa a priori la possibilità di provarci. E sappiamo quanto questo sia un messaggio pericoloso, in una società in cui le donne sono già sottorappresentate in molti settori e a livello dirigenziale e salariale, come testimonia il gender gap presente in molte organizzazioni.

Adottare un linguaggio inclusivo, in realtà, non è un cambiamento così gravoso. La lingua italiana offre già tutti gli strumenti necessari per essere rispettosi delle differenze: nel suddetto caso, ad esempio, un'espressione alternativa potrebbe essere "la persona più adatta per il lavoro". Negli ultimi anni sono poi sempre di più gli stratagemmi che possono essere utilizzati, soprattutto a livello di parola scritta, per rivolgersi in maniera più inclusiva, come gli asterischi al termine delle parole per evitare il maschile sovraesteso, ovvero quando si declina un termine al plurale maschile nel momento in cui in un gruppo di persone è presente, o si suppone che sia presente, un solo individuo di sesso maschile. Per lo stesso motivo è sempre più diffuso anche lo schwa, indicato con il simbolo “ə”, che svolge una funzione simile all’asterisco. 

Non è detto che questi strumenti siano la soluzione, ma senz’altro pongono in essere una questione importante, quella dell’impatto che può avere il nostro linguaggio nei confronti delle persone a cui ci rivolgiamo. Non è detto che sia necessario usare l’asterisco o lo schwa perché, come abbiamo visto, la nostra lingua ci consente di comunicare in modo inclusivo anche usando semplicemente le parole che già tutti noi conosciamo. L’importante è tenere a mente l’importanza di creare una cultura sempre più rispettosa delle diversità, sia nel nostro quotidiano che sul posto di lavoro.

Come abbiamo visto, inoltre, il sesso e il genere sono solo due delle differenze che possono caratterizzare le persone che fanno parte di un’azienda, e dunque dobbiamo ricordarci di usare sempre un linguaggio neutro rispetto a tutti i tipi di diversità che possiamo incontrare. Un primo passo per fare questo può essere il riconoscimento del fatto che non tutte le etichette tradizionali possono essere applicate a ogni persona, perché ognuno di noi è differente, e questo è il vero potere della forza lavoro di un’impresa.

L’utilizzo di un linguaggio inclusivo è dunque un modo tangibile per iniziare a creare un ambiente in cui tutti si sentano unici e a proprio agio. Così facendo, non solo confermiamo l’unicità degli individui che compongono un’organizzazione, ma accogliamo anche persone che possono fornire preziose intuizioni ed esperienze nuove, che sono diverse dalle nostre e consentono così di ampliare le nostre vedute.

Essere consapevole dei propri pregiudizi linguistici e dei presupposti culturali è un esercizio di empatia, che può aiutare a generare inclusione e aumentare la diversità in azienda. Per evitare di imporre una gerarchia linguistica basata su certe caratteristiche della maggioranza, è dunque importante apportare modifiche allo stile di comunicazione quotidiano.

 

 

2. Esempi e consigli utili per adottare un linguaggio inclusivo all’interno della propria azienda

Il primo passo per garantire inclusione e diversità all’interno della nostra organizzazione è iniziare a farlo durante i processi di selezione, recruiting e assunzione, a partire dalla scrittura delle offerte di lavoro: usare un linguaggio inclusivo è un buon modo per posizionarsi e mostrare una cultura aziendale aperta già da quando entriamo in contatto con i possibili nuovi colleghi e colleghe. Allo stesso tempo, ci sono domande che non dovrebbero essere poste e informazioni che non dovrebbero essere richieste, come ad esempio determinate caratteristiche fisiche, per evitare un approccio inconsapevolmente soggettivo da parte di chi si occupa del recruiting. Questo modo di porsi va poi ovviamente esteso anche alla quotidianità all’interno dell’azienda. Ecco quindi una panoramica generale dei principali consigli che possono aiutare in questo frangente:

  • mettere le persone al primo posto e rivolgersi a chi abbiamo davanti ponendo l’individuo al di sopra delle sue caratteristiche, ovvero senza menzionare il genere, l’orientamento sessuale, la religione o la provenienza, a meno che non sia strettamente necessario ai fini del discorso;
  • evitare idiomi, gerghi e acronimi, perché possono escludere persone che magari non hanno una conoscenza specialistica di un particolare argomento e, di conseguenza, impedire una comunicazione efficace. Molti modi di dire non si traducono bene da un paese all'altro e alcuni sono radicati in connotazioni negative e stereotipi;
  • quando si parla di disabilità, evitare frasi che suggeriscono vittimismo, ad esempio "afflitto da", "vittima di", "soffre di", "confinato su una sedia a rotelle". Allo stesso modo, non bisogna mai riferirsi alla condizione di una persona come “normale” in contrapposizione a quella di un’altra persona. Questo è un discorso che va al di là delle disabilità: l'uso della parola “normale” per indicare un gruppo di confronto può stigmatizzare le persone che sono diverse e implicare che siano anormali;
  • non sottovalutare l'impatto delle disabilità mentali. Termini come "bipolare" e "depresso" descrivono vere disabilità psichiatriche che le persone effettivamente possono vivere, e dunque non vanno utilizzati come metafore di comportamenti quotidiani. Inoltre, vanno ovviamente evitate anche parole dispregiative che derivano dal contesto della salute mentale;
  • "ragazzi" non è neutrale rispetto al genere, e lo stesso vale per tutti gli altri termini declinate con il maschile sovraesteso che, come abbiamo già visto, può escludere tutte le persone che non si riconoscono nel sesso maschile. Meglio quindi usare sempre termini neutri come “gente”, “persone”, “team”, “forza lavoro”;
  • comprendere quando le dichiarazioni di genere sono dettagli irrilevanti, perché ci sono molti casi nella nostra vita quotidiana in cui usiamo un linguaggio di genere quando non è effettivamente rilevante per il punto che stiamo cercando di esprimere. Ad esempio, potremmo sentire dire: "Ho parlato con una donna delle risorse umane, mi ha detto che dobbiamo completare la formazione entro venerdì". In questo caso, però, non è necessario specificare che abbiamo parlato con una donna e quindi è preferibile la seguente frase: "Ho parlato con una persona delle risorse umane e ha detto che dobbiamo completare la formazione entro venerdì”;
  • non affidarsi ai presupposti, perché non sappiamo come l’altra persona vuole che ci si riferisca quando le si parla. Se non siamo sicuri dei pronomi di qualcuno, ad esempio, è meglio usare il suo nome. Oppure, per citare un tipico caso relativo alla sfera privata, se non siamo sicuri è meglio parlare di “partner” o “coniuge” piuttosto che di “moglie”, “marito”, “fidanzato” o “fidanzata”;
  • ripensare alle domande del colloquio per evitare di essere inappropriati nel fare delle richieste che potrebbero mettere a disagio la persona che abbiamo davanti, riferendosi magari alle sue caratteristiche fisiche, alla sua provenienza geografica o ai suoi desideri di avere o meno una famiglia nel prossimo futuro;
  • se non siamo sicuri, basta chiedere, così da essere certi di non offendere nessuno e di utilizzare un linguaggio che rifletta la scelta e lo stile delle persone nel modo in cui parlano di sé stesse.

 

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3. Come adottare un approccio più inclusivo sul luogo di lavoro

Quando si parla di implementazione della diversità e dell'inclusione in un posto di lavoro, può non essere immediato capire da dove cominciare. Adottare un linguaggio inclusivo è senz’altro un buon punto di partenza, ma è solo uno degli elementi da considerare se vogliamo cambiare la cultura all’interno dell’azienda. Vi sono altri passaggi concreti che dobbiamo mettere in atto per essere davvero inclusivi:

  • garantire trattamento equo indipendentemente da sesso, genere, religione, cultura, età, provenienza geografica e caratteristiche fisiche;
  • parità di accesso alle opportunità manageriali;
  • rappresentazione della diversità tra tutti gli stakeholder, interni ed esterni;
  • prestare attenzione alla diversità e all’inclusione anche in fase di recruiting, a partire dalle persone che selezioniamo per il colloquio;
  • organizzare piani di educazione e formazione alla diversità;
  • monitorare i progressi in tema di D&I, proprio come si fa per tutti gli altri processi di lavoro, ad esempio valutando il livello di diversità a livello manageriale, la parità salariale, la presenza di persone appartenenti a gruppi sottorappresentati;
  • destinare una precisa voce del budget dell’organizzazione alle attività di promozione e supporto alla diversità e all’inclusione;
  • usare i social media per promuovere i valori dell’inclusione e del rispetto di tutte le diversità, e svolgere così un ruolo attivo anche all’interno della propria comunità;
  • per quanto riguarda le aziende più grandi, è spesso necessario assegnare a uno dei dirigenti la responsabilità di guidare il programma di D&I all’interno della compagnia, dopo aver concordato la strategia assieme al CEO;
  • adottare strategie di leadership inclusiva, ovvero una leadership di influenza sociale, al servizio delle persone, e non necessariamente collegata a ruoli apicali nell’organizzazione. La persona che la coltiva si impegna con coerenza per l’inclusione, non solo con le parole ma anche con i fatti: affronta le sfide quotidiane, è consapevole dei propri pregiudizi, è curiosa, sviluppa la capacità di relazionarsi con persone di culture e usanze diverse e promuove la collaborazione nei team per raggiungere gli obiettivi prefissati;
  • tutte le norme che intendiamo promuovere in azienda possono essere raccolte all’interno di un manuale a disposizione delle colleghe e dei colleghi, così da fissare degli standard comportamentali.

Ricordiamoci che, quando parliamo di inclusione sul posto di lavoro, dobbiamo considerare anche il gruppo della cosiddetta “maggioranza”, ammesso che ve ne sia una, perché l’obiettivo è appunto rispettare e valorizzare ogni persona, facendo in modo che lo percepisca, senza escluderne nessuno. Attraverso l’unicità di tutti gli individui e il rispetto nei loro confronti sarà possibile creare un ambiente in cui tutte le persone possano sentirsi accolte e provare un senso di appartenenza.

 

4. I vantaggi dell’adottare un linguaggio e un comportamento inclusivi

Mettere in pratica strategie di D&I all’interno delle aziende è un tema urgente ed è, semplicemente, la cosa giusta da fare, dal punto di vista etico e morale: i cambiamenti globali e demografici sono sotto i nostri occhi e richiedono nuovi approcci. Inoltre oggi la forza lavoro è composta sempre più dalla generazione dei millennial, che tende a cercare luoghi di lavoro inclusivi ed equi. Valori che fanno parte ancor di più delle generazioni più giovani: insomma, le persone che si aspettano un ambiente di lavoro inclusivo sono sempre di più. L'attenzione alla diversità porta quindi più candidati, perché è un fattore preso in considerazione da chi oggi si affaccia al mondo del lavoro o è in cerca di un nuovo impiego.

Più in generale, un’azienda inclusiva guadagna certamente molti punti in ottica di employer branding, migliorando la propria reputazione e attrattività nei confronti di tutti gli stakeholder, compresi i clienti e coloro che già lavorano all’interno dell’impresa, che saranno più motivati e felici di far parte dell’organizzazione, raccontandolo magari anche ad altre persone esterne. 

Il morale della forza lavoro può dunque essere decisamente influenzato dalle strategie di D&I dell’azienda, e sappiamo bene quanto questo possa avere un effetto positivo anche sulla produttività dell’impresa stessa: se un team si sente al sicuro e a proprio agio, certamente sarà in grado di fare di più. E anche il turnover del personale viene sensibilmente ridotto, le persone sono più fidelizzate, con un impatto sui costi operativi di gestione, recruiting e formazione.

La diversità e l’inclusione, inoltre, rendono i team di lavoro più innovativi: persone con background diversi apportano informazioni ed esperienze uniche alle attività. Interagire con individui differenti fra loro porta tutti i membri del gruppo a prepararsi meglio, anticipare punti di vista alternativi e a doversi realmente impegnare per raggiungere un consenso collettivo. La diversità incoraggia la ricerca di nuove informazioni e prospettive, e dunque i gruppi socialmente eterogenei sono più innovativi di quelli omogenei.

Infine, la diversità crea prodotti migliori. Pensiamo, ad esempio, a tutti i device tecnologici che utilizziamo ogni giorno: è probabile che questi prodotti, applicazioni, algoritmi e tutto ciò che è stato messo sul mercato rifletta le prospettive delle persone che l’hanno creato. Maggiore è il numero di prospettive che possiamo offrire ai prodotti che costruiamo, più questi prodotti saranno preziosi per un insieme variegato di persone. La clientela avrà quindi più possibilità di essere soddisfatta e, in generale, si sentirà maggiormente rappresentata dall’azienda nella sua eterogeneità.

Al di là di tutti i vantaggi che abbiamo riscontrato, dall’innovazione alla qualità del prodotto, dal morale del team al successo dell’azienda, è comunque opportuno ricordare che la diversità e l'inclusione vanno supportate perché sono i valori giusti da promuovere nella società odierna per costruire un futuro migliore per tutti, e non solo nel posto di lavoro.


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