La gestione delle persone in uscita da un’azienda non è mai facile. Spesso le imprese si trovano costrette ad avviare una riduzione del personale e a rinunciare ai lavoratori in esubero per cause che possono essere diverse, come una ristrutturazione interna o una crisi. Per questo è importante che i lavoratori e le organizzazioni che affrontano questa delicata fase non vengano lasciati soli: uno strumento importante che può venire in loro soccorso è il servizio di outplacement.
Per outplacement, termine coniato negli Stati Uniti intorno agli anni Sessanta, si intende l'attività di ricollocazione di una persona nel mercato del lavoro. Si tratta cioè di un importante supporto per le aziende e per i lavoratori, quando questi ultimi sono in uscita dall’organizzazione.
Il termine “outplacement”, che significa letteralmente “collocare all’esterno”, fa la sua prima comparsa in Italia intorno alla metà degli anni Ottanta, quando inizia a sorgere l’esigenza di enti per il lavoro che si occupino di accompagnare i lavoratori nel percorso di riqualificazione delle loro competenze per potersi ricollocare in un nuovo contesto. Risulta subito chiaro come l’outplacement possa rappresentare, da un lato, un vantaggio per le aziende che riducono il costo del lavoro, dall’altro un aiuto ai collaboratori in esubero ai quali viene fornita un’assistenza concreta per reinserirsi nel mercato.
Questo diviene sempre più evidente nel corso degli anni, fino ai giorni nostri in cui l’adozione di servizi di outplacement da parte delle imprese e dei lavoratori è una pratica ormai consolidata e di successo, almeno all’estero. Gli enti che se ne occupano assistono infatti la persona fino al suo ricollocamento, mettendo a sua disposizione diversi servizi:
Le modalità con cui viene erogato il servizio possono essere differenti. Non è detto, ad esempio, che il percorso sia individuale e che non preveda, al contrario, dei colloqui di gruppo o degli incontri in aula dedicati al bilancio delle competenze e alla ricerca del lavoro, anche per far emergere soft skill, attitudini e atteggiamenti che potrebbero essere utili sul posto di lavoro e, di conseguenza, per definire un progetto professionale aderente alla realtà e coerente con le capacità effettive della persona.
Anche in questo contesto emerge dunque il valore della formazione, su molteplici livelli. Può capitare che un lavoratore debba ricollocarsi sul mercato dopo tanti anni trascorsi a ricoprire lo stesso ruolo nella stessa azienda, e che dunque abbia bisogno di aggiornarsi o integrare nuove competenze per avere maggiori possibilità ed essere più appetibile per le imprese. Una persona potrebbe anche scegliere di cambiare direzione, dopo aver compreso di avere l’attitudine a lavorare in un contesto diverso da quello precedente, e dunque potrebbe avere bisogno di acquisire nuove abilità che attualmente le mancano. Queste situazioni rappresentano quei processi che spesso avvengono anche all’interno delle aziende stesse e che sono comunemente chiamati reskilling, upskilling e newskilling: un’esigenza sempre più importante per tutte le figure professionali, in un mercato del lavoro in continuo movimento e aggiornamento.
Un altro livello su cui si deve muovere la formazione è quello relativo al personal branding, ovvero il complesso di strategie messe in atto per promuovere se stessi, le proprie competenze e la propria carriera, proprio come se si fosse un brand. Se il personal branding è importante anche quando si lavora in un’organizzazione per comunicare la propria immagine in modo convincente, questa attività risulta forse ancor più fondamentale in un momento in cui il lavoro lo si sta effettivamente cercando e si ha bisogno di promuoversi nel modo migliore per attirare l’interesse da parte delle aziende.
Infine, nel caso dell’outplacement, la formazione può riguardare anche un altro importante aspetto per il lavoratore, ovvero il job scouting, la ricerca del lavoro. L’ente che accompagna la persona in questa delicata fase della propria carriera può scegliere di affiancarla per aiutarla a diventare autonoma nella ricerca e aumentare le conoscenze sulle normative, sulle possibilità di impiego e sugli andamenti del mercato del lavoro nel proprio Paese.
E, in merito all’outplacement, qual è la situazione nel nostro, di Paese? In Italia, il servizio di outplacement è regolato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali quale attività di supporto alla ricollocazione professionale, e il suo funzionamento è definito nel ddl 276/2003. La norma non prevede limiti stringenti sulla platea dei destinatari: questo importante strumento di riqualificazione professionale può riguardare singoli lavoratori ma anche gruppi più numerosi che stanno per essere licenziati o sono in procinto di finire in cassa integrazione.
Nonostante ciò, se in alcune nazioni come la Spagna e la Francia l’outplacement è addirittura obbligatorio per legge, in Italia non è ancora così diffuso. Nel nostro Paese questo servizio è utilizzato soprattutto dalle grandi imprese multinazionali, che a livello centrale hanno una maggiore dimestichezza e consuetudine nell’utilizzare tale strumento. Anche con l’avvento della pandemia e la conseguente crisi lavorativa, l’utilizzo dell’outplacement è stato fortemente limitato, in particolare a causa del blocco dei licenziamenti introdotto nel 2020.
Del resto, abbiamo visto come l’outplacement sia arrivato in Italia alcuni decenni più tardi rispetto al mondo anglosassone: nel 1988, in particolare, risale la costituzione dell'AISO, l’Associazione Italiana Società di Outplacement. Originariamente formatasi con lo scopo di assistere l'impresa nelle fasi di mobilità dei dirigenti, che sono i più esposti al licenziamento individuale, con il passare del tempo l’Associazione, e il servizio di outplacement nel suo complesso, ha intrapreso un percorso di evoluzione fino a giungere alle attuali diverse forme di intervento: dalla classica a livello "individuale", normalmente riservata ai manager, a quella di tipo "collettivo", con corsi di gruppo per lavoratori, e altre forme sofisticate che spaziano dall'aiuto alla gestione della mobilità interna aziendale alle verifiche del potenziale dei collaboratori.
L’attività di outplacement, infatti, può essere prevista dal contratto collettivo di lavoro oppure, per quanto riguarda i manager, può risultare frutto di un accordo diretto tra quest’ultimo e la loro azienda: in tal caso il servizio può essere fornito prima, dopo o anche durante il periodo di preavviso.
Rispondere attivamente ai cambiamenti, fornire ispirazione e indicare la strada da seguire.
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Come abbiamo visto, il servizio di outplacement presenta diversi vantaggi sia per l’azienda che lo richiede sia per i lavoratori interessati.
Se una società decide di mettere in campo un servizio di outplacement vuol dire che, pur trovandosi nella difficile situazione di dover licenziare uno o più dei suoi lavoratori, non vuole abbandonarli e, anzi, ne riconosce il valore. Per questo si rivolge a una realtà specializzata proprio in questo tipo di attività, in grado di indirizzare le persone in uscita verso nuove attività professionali.
Limitando i rischi di una separazione traumatica, inoltre, si riducono i costi delle spese legali, che vengono scongiurate, e si innesta un positivo effetto passaparola. Un’azienda che mostra interesse verso le persone, anche quando queste smettono di essere sotto contratto, mostra il suo volto più umano, con effetti positivi sulla brand reputation e sull’engagement della propria forza lavoro. E le imprese sembrano effettivamente essere generalmente soddisfatte dopo aver portato a termine questo percorso, con l’85% di feedback positivi registrati dall’Associazione Italiana Società di Outplacement.
L’analisi di mercato fatta da Aiso evidenzia anche un buon grado di soddisfazione tra i lavoratori. Particolarmente lodata è la qualità del supporto professionale avuto, anche sul piano psicologico, nell’affrontare un delicato momento della propria carriera, così come la possibilità di studiare a fondo e mettere a fuoco le proprie potenzialità e competenze per valutare in modo obiettivo ed efficace nuove prospettive di carriera.
Il sostegno emotivo e concreto offerto dal servizio di outplacement determina anche un effetto positivo nella sua percezione della mobilità, non in termini di fallimento personale, ma quale occasione di miglioramento della propria professionalità e della carriera stessa.
L’outplacement risulta quindi essere un’opzione interessante per tutte le aziende, con risvolti positivi per tutti gli stakeholder coinvolti sia in termini economici, sia reputazionali, ma anche psicologici e occupazionali.
Se questi vantaggi sembrano essere già ben chiari per molte imprese straniere, è auspicabile che la stessa consapevolezza venga ben presto acquisita anche nel nostro Paese.
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