Outplacement: come funziona e quanto è importante per le imprese

    La gestione delle persone in uscita da un’azienda non è mai facile. Spesso le imprese si trovano costrette ad avviare una riduzione del personale e a rinunciare ai lavoratori in esubero per cause che possono essere diverse, come una ristrutturazione interna o una crisi. Per questo è importante che i lavoratori e le organizzazioni che affrontano questa delicata fase non vengano lasciati soli: uno strumento importante che può venire in loro soccorso è il servizio di outplacement.


    1. Cos’è l’outplacement e quanto è usato in Italia
    2. Figure coinvolte e processo di outplacement
    3. I vantaggi

     

    1. Cos’è l’outplacement e quanto è usato in Italia

    Per outplacement, termine coniato negli Stati Uniti intorno agli anni Sessanta, si intende l'attività di ricollocazione di una persona nel mercato del lavoro. Si tratta cioè di un importante supporto per le aziende e per i lavoratori, quando questi ultimi sono in uscita dall’organizzazione.

    Il termine “outplacement”, che significa letteralmente “collocare all’esterno”, fa la sua prima comparsa in Italia intorno alla metà degli anni Ottanta, quando inizia a sorgere l’esigenza di enti per il lavoro che si occupino di accompagnare i lavoratori nel percorso di riqualificazione delle loro competenze per potersi ricollocare in un nuovo contesto. Risulta subito chiaro come l’outplacement possa rappresentare, da un lato, un vantaggio per le aziende che riducono il costo del lavoro, dall’altro un aiuto ai collaboratori in esubero ai quali viene fornita un’assistenza concreta per reinserirsi nel mercato.

    Questo diviene sempre più evidente nel corso degli anni, fino ai giorni nostri in cui l’adozione di servizi di outplacement da parte delle imprese e dei lavoratori è una pratica ormai consolidata e di successo, almeno all’estero. Gli enti che se ne occupano assistono infatti la persona fino al suo ricollocamento, mettendo a sua disposizione diversi servizi:

    • valutazione delle competenze e della figura professionale;
    • supporto logistico e di segreteria;
    • metodologia consolidata per la ricerca attiva;
    • affiancamento da parte di un professionista che guida il lavoratore durante il suo percorso di reinserimento;
    • corsi di formazione;
    • database e network di relazioni al fine di ottenere contatti con il mercato del lavoro;
    • preparazione all’onboarding in una nuova realtà lavorativa.

    Le modalità con cui viene erogato il servizio possono essere differenti. Non è detto, ad esempio, che il percorso sia individuale e che non preveda, al contrario, dei colloqui di gruppo o degli incontri in aula dedicati al bilancio delle competenze e alla ricerca del lavoro, anche per far emergere soft skill, attitudini e atteggiamenti che potrebbero essere utili sul posto di lavoro e, di conseguenza, per definire un progetto professionale aderente alla realtà e coerente con le capacità effettive della persona.

    Anche in questo contesto emerge dunque il valore della formazione, su molteplici livelli. Può capitare che un lavoratore debba ricollocarsi sul mercato dopo tanti anni trascorsi a ricoprire lo stesso ruolo nella stessa azienda, e che dunque abbia bisogno di aggiornarsi o integrare nuove competenze per avere maggiori possibilità ed essere più appetibile per le imprese. Una persona potrebbe anche scegliere di cambiare direzione, dopo aver compreso di avere l’attitudine a lavorare in un contesto diverso da quello precedente, e dunque potrebbe avere bisogno di acquisire nuove abilità che attualmente le mancano. Queste situazioni rappresentano quei processi che spesso avvengono anche all’interno delle aziende stesse e che sono comunemente chiamati reskilling, upskilling e newskilling: un’esigenza sempre più importante per tutte le figure professionali, in un mercato del lavoro in continuo movimento e aggiornamento.

    Un altro livello su cui si deve muovere la formazione è quello relativo al personal branding, ovvero il complesso di strategie messe in atto per promuovere se stessi, le proprie competenze e la propria carriera, proprio come se si fosse un brand. Se il personal branding è importante anche quando si lavora in un’organizzazione per comunicare la propria immagine in modo convincente, questa attività risulta forse ancor più fondamentale in un momento in cui il lavoro lo si sta effettivamente cercando e si ha bisogno di promuoversi nel modo migliore per attirare l’interesse da parte delle aziende.

    Infine, nel caso dell’outplacement, la formazione può riguardare anche un altro importante aspetto per il lavoratore, ovvero il job scouting, la ricerca del lavoro. L’ente che accompagna la persona in questa delicata fase della propria carriera può scegliere di affiancarla per aiutarla a diventare autonoma nella ricerca e aumentare le conoscenze sulle normative, sulle possibilità di impiego e sugli andamenti del mercato del lavoro nel proprio Paese.

    E, in merito all’outplacement, qual è la situazione nel nostro, di Paese? In Italia, il servizio di outplacement è regolato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali quale attività di supporto alla ricollocazione professionale, e il suo funzionamento è definito nel ddl 276/2003La norma non prevede limiti stringenti sulla platea dei destinatari: questo importante strumento di riqualificazione professionale può riguardare singoli lavoratori ma anche gruppi più numerosi che stanno per essere licenziati o sono in procinto di finire in cassa integrazione.

    Nonostante ciò, se in alcune nazioni come la Spagna e la Francia l’outplacement è addirittura obbligatorio per legge, in Italia non è ancora così diffuso. Nel nostro Paese questo servizio è utilizzato soprattutto dalle grandi imprese multinazionali, che a livello centrale hanno una maggiore dimestichezza e consuetudine nell’utilizzare tale strumento. Anche con l’avvento della pandemia e la conseguente crisi lavorativa, l’utilizzo dell’outplacement è stato fortemente limitato, in particolare a causa del blocco dei licenziamenti introdotto nel 2020.

    Del resto, abbiamo visto come l’outplacement sia arrivato in Italia alcuni decenni più tardi rispetto al mondo anglosassone: nel 1988, in particolare, risale la costituzione dell'AISO, l’Associazione Italiana Società di Outplacement. Originariamente formatasi con lo scopo di assistere l'impresa nelle fasi di mobilità dei dirigenti, che sono i più esposti al licenziamento individuale, con il passare del tempo l’Associazione, e il servizio di outplacement nel suo complesso, ha intrapreso un percorso di evoluzione fino a giungere alle attuali diverse forme di intervento: dalla classica a livello "individuale", normalmente riservata ai manager, a quella di tipo "collettivo", con corsi di gruppo per lavoratori, e altre forme sofisticate che spaziano dall'aiuto alla gestione della mobilità interna aziendale alle verifiche del potenziale dei collaboratori.

    L’attività di outplacement, infatti, può essere prevista dal contratto collettivo di lavoro oppure, per quanto riguarda i manager, può risultare frutto di un accordo diretto tra quest’ultimo e la loro azienda: in tal caso il servizio può essere fornito prima, dopo o anche durante il periodo di preavviso.

     


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    2. Figure coinvolte e processo di outplacement

    Gli attori coinvolti nel processo di outplacement sono tre:

    • l’azienda cliente, che decide di dare ai propri dipendenti un supporto specialistico per favorire la loro ricollocazione professionale, resa necessaria dalla messa in mobilità del personale a causa di programmi di ristrutturazioni, turnover dei collaboratori o interventi di valutazione professionale;
    • il lavoratore, che attraverso un percorso individuale o di gruppo decide di cogliere questa opportunità per affrontare in modo attivo la propria riqualificazione e il proprio ri-orientamento professionale;
    • la società accreditata, che nel rispetto della normativa vigente offre un processo strutturato in più fasi, mettendo a disposizione dei lavoratori competenze diversificate in grado di fornire un sostegno professionale e psicologico.

    Quali sono, quindi, le fasi del processo di outplacement? Abbiamo già descritto le caratteristiche fondamentali di questo servizio, ma può essere utile evidenziarne le differenze a seconda che si tratti di un percorso individuale o collettivo.

    Nel primo caso, si comincia con una fase di supporto psicologico, finalizzata alla motivazione dell'assistito mediante interventi che si pongono l’obiettivo di valorizzare la sua personalità e la sua esperienza. Il candidato è quindi stimolato a compiere un'accurata autoanalisi, atta ad evidenziarne i punti di forza e le aree di debolezza. Riesaminando il proprio "vissuto" professionale, la persona può riuscire a stilare il bilancio delle competenze maturate nel corso della carriera.

    Superato questo primo momento, l'assistito dovrebbe quindi già essere in grado di elaborare uno o più progetti di transizione di carriera coerenti con il proprio effettivo potenziale, per potersi riproporre efficacemente sul mercato. Si definiscono le aspirazioni della persona, compatibilmente con le sue competenze e in base alle esigenze di mercato, e si programma un intervento formativo che colma la distanza tra le competenze della persona e quelle richieste per reinserirsi professionalmente. Utile, in questa fase, anche una specifica formazione su come presentarsi correttamente al potenziale nuovo datore di lavoro: si tratta, in questo caso, di una metodologia di autopromozione, che va dalla redazione del curriculum all'acquisizione delle tecniche più efficaci per il job scouting, dall'elaborazione di un network di contatti alla preparazione del colloquio con gli intervistatori.

    Infine, con l'aiuto di un professionista, si analizza il percorso professionale della persona e si definiscono i target di ricollocamento. In questa fase bisogna aiutare il candidato a sviluppare attività che favoriscano l'incontro con le offerte di lavoro, verso le quali la persona coinvolta può attivarsi a livello personale in modo programmato.

    Nel caso di un percorso collettivo, invece, il servizio di outplacement presenta delle differenze sostanziali. Vi è innanzitutto una prima fase di esaminazione, che consiste in un’analisi della situazione aziendale da cui scaturisce la proposta di un progetto di ricollocamento inserito nell'accordo sindacale.
    Questa procedura necessita chiaramente di un coinvolgimento attivo e immediato da parte dell'azienda che ha richiesto l'intervento e che deve offrire un supporto all’avvio del servizio, un'analisi della situazione vigente e l'individuazione di opzioni e messaggi da fornire in accordo con i manager aziendali. Successivamente si presenta il progetto al management e alle organizzazioni sindacali e si procede poi con la proposta ai candidati che verranno sottoposti ai colloqui individuali nelle modalità che abbiamo già descritto in precedenza.

    Vi è poi una seconda fase di intervento che consiste nella messa in atto del progetto, solo dopo aver raccolto le adesioni dei lavoratori interessati a presenziare e frequentare il percorso per delineare competenze, motivazioni e aspettative. Il partecipante viene normalmente inserito all’interno di un gruppo di persone provenienti dalla stessa azienda o da differenti organizzazioni, per dargli modo di confrontarsi con altri lavoratori nella stessa situazione. Il confronto con il gruppo ha un grande valore per la crescita personale del partecipante, perché permette di fare tesoro delle esperienze altrui e di apprendere a relazionarsi in maniera più costruttiva con quelli che, magari, potrebbero diventare futuri colleghi, collaboratori o clienti.

     

    3. I vantaggi

    Come abbiamo visto, il servizio di outplacement presenta diversi vantaggi sia per l’azienda che lo richiede sia per i lavoratori interessati.

    Se una società decide di mettere in campo un servizio di outplacement vuol dire che, pur trovandosi nella difficile situazione di dover licenziare uno o più dei suoi lavoratori, non vuole abbandonarli e, anzi, ne riconosce il valore. Per questo si rivolge a una realtà specializzata proprio in questo tipo di attività, in grado di indirizzare le persone in uscita verso nuove attività professionali.

    Limitando i rischi di una separazione traumatica, inoltre, si riducono i costi delle spese legali, che vengono scongiurate, e si innesta un positivo effetto passaparola. Un’azienda che mostra interesse verso le persone, anche quando queste smettono di essere sotto contratto, mostra il suo volto più umano, con effetti positivi sulla brand reputation e sull’engagement della propria forza lavoro. E le imprese sembrano effettivamente essere generalmente soddisfatte dopo aver portato a termine questo percorso, con l’85% di feedback positivi registrati dall’Associazione Italiana Società di Outplacement.

    L’analisi di mercato fatta da Aiso evidenzia anche un buon grado di soddisfazione tra i lavoratori. Particolarmente lodata è la qualità del supporto professionale avuto, anche sul piano psicologico, nell’affrontare un delicato momento della propria carriera, così come la possibilità di studiare a fondo e mettere a fuoco le proprie potenzialità e competenze per valutare in modo obiettivo ed efficace nuove prospettive di carriera.
    Il sostegno emotivo e concreto offerto dal servizio di outplacement determina anche un effetto positivo nella sua percezione della mobilità, non in termini di fallimento personale, ma quale occasione di miglioramento della propria professionalità e della carriera stessa.

    L’outplacement risulta quindi essere un’opzione interessante per tutte le aziende, con risvolti positivi per tutti gli stakeholder coinvolti sia in termini economici, sia reputazionali, ma anche psicologici e occupazionali.
    Se questi vantaggi sembrano essere già ben chiari per molte imprese straniere, è auspicabile che la stessa consapevolezza venga ben presto acquisita anche nel nostro Paese.



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