Niente sarà più come prima, soprattutto nel mondo del lavoro. Sembra questa l’unica certezza nel periodo della ripresa post Covid. Un assunto quanto mai pertinente quando si prova a immaginare quale sarà il destino delle imprese e delle organizzazioni di domani. Sebbene la pandemia abbia portato a una crisi economica, sanitaria e sociale, ha anche creato un'opportunità senza precedenti: gestire il più grande esperimento innovativo sul mondo del lavoro mai realizzato.
Cominciamo dalla definizione di smart working data dal Ministero del Lavoro:
Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall'assenza di vincoli orari o spaziali e un'organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività.
La definizione di smart working, contenuta nella Legge n. 81/2017, pone l'accento sulla flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l'accordo individuale e sull'utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto (come ad esempio: pc portatili, tablet e smartphone).
Ai lavoratori agili viene garantita la parità di trattamento - economico e normativo - rispetto ai loro colleghi che eseguono la prestazione con modalità ordinarie. È, quindi, prevista la loro tutela in caso di infortuni e malattie professionali, secondo le modalità illustrate dall'INAIL nella Circolare n. 48/2017.
Vediamo quindi qualche precisazione in più per comprendere a fondo il fenomeno.
Sono molte le voci esultanti che elogiano questa nuova flessibilità, ma c’è anche un altro lato della medaglia: dopo mesi di reclusione, anche alcuni dei più entusiasti sostenitori del lavoro da remoto si sono dovuti arrendere ad alcune annotazioni negative.
In particolare:
La lezione che sembra provenire da questo lungo periodo di prova è che, più che il remote working tout court, l’approccio da privilegiare sia quello dello smart working.
Che cosa differenzia lo smart working dal remote working? Una domanda a cui troppi imprenditori hanno colpevolmente scordato di dare risposta.
Lo smart working, si differenzia dal lavoro da casa perché prevede innanzitutto un’alternanza tra presenza in ufficio e attività da remoto, e non una sostituzione totale.
Il lavoro agile è soprattutto un cambio di prospettiva, in cui le nuove tecnologie plasmano il modo di lavorare. È quindi una questione di forma mentis, prima che di strumenti, di infrastrutture o di competenze.
In particolare lo smart working implica:
È quindi una grande sfida su tutti i piani: impone alle aziende, ai manager e ai lavoratori di pensare e agire in modo diverso.
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D’altronde, il modo di concepire il lavoro è molto cambiato negli ultimi anni. Soprattutto la nuova generazione di lavoratori, composta prevalentemente dai Millennials, ha una visione radicalmente differente della vita d’ufficio: l’azienda e la sua cultura diventano parte integrante dello stile vita dei dipendenti che ne abbracciano i principi e ne diventano ambasciatori.
A questo cambiano di passo sta seguendo il diffondersi di diversi fenomeni correlati, eccone alcuni:
Negli ultimi anni, è cresciuta l’importanza dell’employer branding: chi adotta uno stile di lavoro smart e che ha a cuore il benessere e la felicità dei dipendenti è considerata un’azienda “illuminata” della nuova generazione di talenti che sentono il bisogno di bilanciare meglio vita privata e lavoro. Ma uno degli obiettivi che deve stare a cuore è di prevenire l’insorgere di stress lavoro-correlato, un fenomeno che colpisce soprattutto i lavoratori che subivano lo stress già nella modalità di lavoro tradizionale. L’alienazione, l’over working e la disorganizzazione del lavoro da remoto possono portare a un burnout, con ovvie conseguenze negative per i lavoratori stressati e anche per le loro aziende, che potrebbero vedere un calo di produttività e un’insoddisfazione dei propri dipendenti che si traduce in minore operatività e un tasso più alto di turnover.
Sembra quindi chiaro che flessibilità e mobilità sono i due termini chiave per i lavoratori di oggi che vedono nello smart working non solo la possibilità di lavorare da remoto e ridurre il tempo di permanenza in ufficio, ma soprattutto un cambio di lifestyle.
Per le aziende può sembrare impossibile gestire da remoto le risorse già presenti in azienda. Ma alcuni "temerari" stanno già traendo grandi benefici anche dalla selezione dei nuovi collaboratori svolta in remoto, e non va trascurata la possibile adozione di strumenti di intelligenza artificiale per la selezione del personale.
Una diversa opzione strategica potrebbe essere quella di valutare l'assunzione di un temporary manager, figura particolarmente interessante quando c'è la necessità di essere flessibili ed efficaci, per esempio nell'esplorazione di una nuova linea di business.
Se valutare virtualmente le hard skills di un candidato può essere semplice, un altro discorso riguarda le soft skills: come fare per assicurarsi che il candidato sia perfetto per l’azienda?
“Ancora più che nei colloqui tradizionali, in video è essenziale insistere molto sui valori e la cultura aziendale, per assicurarsi che il profilo del candidato sia coerente con l’ambiente in cui andrà a lavorare. È decisamente più difficile captare la personalità di qualcuno in video poiché sei più concentrato su quello che dice e non su come lo dice. Ci sono situazioni in cui qualcuno riesce a “bucare lo schermo” e a mostrare molto di sé, ma nella maggior parte dei casi è fondamentale insistere molto sul concetto di valori e cultura e portare avanti esempi di vita reale, cercare di far immergere il candidato nella realtà aziendale, con situazioni e problemi plausibili.”
Inoltre, non bisogna trascurare i contatti frequenti con il candidato: che sia per e-mail, ma ancora meglio tramite chiamate e messaggi, è importante tenerlo aggiornato nel processo. Quest’ultimo punto si rivela centrale anche per quanto riguarda la formazione del personale.
Oltre alla gestione del carico del lavoro, chi si approccia al lavoro agile si trova di fronte al dilemma della formazione del personale in smart working.
“Nelle otto settimane di lockdown abbiamo gestito digitalmente l’onboarding di due neoassunti e anche la formazione di tutti i nostri colleghi. Niente di nuovo per noi che siamo sparsi in tutta Italia e soprattutto digitali per natura: sin dall’inizio, in Reverse ci siamo trovati a gestire questi processi da remoto” dice Silvia Orlandini.
Nel periodo del lockdown, la formazione, già parzialmente digitalizzata in Reverse, non solo non si è fermata, ma è stata gestita completamente da remoto. Con l'aiuto di consulenti esterni, l'azienda non ha bloccato i corsi di formazione ma anzi, li ha implementati, inserendo anche diverse lezioni online tenute dai dipendenti stessi.
“Il segreto è l’organizzazione del lavoro, ma soprattutto il coinvolgimento di tutto il team. Durante il lockdown abbiamo creato delle vere e proprie classi di 5/6 persone, in modo da mantenere un approccio più frontale e favorire lo scambio. Mettevamo online i ticket per i nostri eventi, così ognuno poteva prenotare la lezione che più gli interessava: se qualcuno non riusciva a prenotare un posto, lo inserivamo in waitlist ripetevamo la lezione la settimana successiva."
Le lezioni, tenute dagli stessi colleghi, possono coprire diversi settori, tipo marketing, informatica, business, ma anche lingua, solo per citarne alcuni. In questo modo, ognuno, dalla figura junior a quella senior, può mettere a disposizione degli altri la propria expertise.
Questa è solo un'idea, ma quello che conta, nella formazione da remoto così come in tutte le attività agili, è non perdere il contatto umano: non è solo il lavoro a diventare digitale, ma anche la vita quotidiana, per cui è importante coinvolgere tutte le parti nei vari processi.
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