Il triangolo sì, va considerato. Perché oggi nelle aziende convivono tre generazioni diverse: Gen X, Gen Y (noti come Millennial) e Gen Z.
Tre culture, tre visioni della vita personale e professionale, tre scale valoriali differenti.
Mai come in questo momento, quindi, l'HR è una figura centrale per la gestione di questo complesso triangolo: le necessità mutano, le richieste evolvono e così devono progredire anche Employer Branding e Talent Attraction.
Nei paragrafi che seguono vedremo le differenze tra queste tre generazioni e come la Generazione Z stia cambiando i paradigmi di riferimento.
Condivisione dei valori aziendali, ambiente inclusivo, work life balance, e percorsi di crescita professionale: questi i principali driver motivazionali delle nuove generazioni quando devono entrare in un’azienda.
E questi i concetti di cui tenere conto per aggiornare il proprio Employer Branding e adattare la propria Talent Attraction.
Sì, è vero, di Employer Branding abbiamo parlato più volte ( come impostarne una strategia e come usare la UX per un piano vincente di Employer Branding) , ma come sappiamo è un concetto che non può mai considerarsi esaurito. Per un semplice motivo: si rivolge alle persone. E le persone cambiano, di continuo. Così come cambia ciò che è attrattivo per loro.
E quello che ci dicono le nuove generazioni, come vedremo a breve, è che l’attenzione per le persone, per il loro benessere, per i loro valori e per la loro crescita è ormai diventata una conditio sine qua non per una Talent Attraction, e Talent Retention, di successo.
Insomma, il nuovo motto è "le persone al centro": il mondo del lavoro si è ribaltato, non sono più solo le aziende a scegliere i loro candidati, ma anche i candidati a scegliere l'azienda che meglio li rappresenti e che si muova sul ritmo delle persone che ne fanno parte.
Costruire un approccio strutturato di Employer Branding, prima, e saperlo poi adattare ai tempi ascoltando come mutano le necessità delle proprie risorse, è senza dubbio la mossa vincente, come dimostra anche questa ricerca di LinkedIn.
È qui che l’HR diventa compositore, membro dell’orchestra e suo stesso direttore. Senza dimenticare la necessità di promuovere il concerto in cartellone, perché per qualcuno quella musica deve pur poter suonare.
Ad accorrere al concerto c’è una platea mista. I Millennial (Gen Y), eccoli lì. Probabilmente nelle prime file, retaggio dell’esigenza di farsi vedere per esserci. Poco più indietro, c’è la generazione che li ha preceduti, la Gen X, cresciuta all’ombra dei propri genitori, i mitici boomer. E poi la Generazione Z, più defilata per sua stessa natura, ma non per questo meno consapevole di sé, anzi.
Ma, prima di indagarne le differenze, conosciamole meglio.
1. La Generazione X: si riferisce alle persone nate approssimativamente tra la metà degli anni '60 e la metà degli anni '80. È la generazione che ha vissuto la transizione dall'era analogica a quella digitale: è cresciuta con i primi computer personali e le console di gioco e ha conosciuto le prime forme di comunicazione digitale come l'email. Gli appartenenti alla GenX sono spesso considerati pragmatici, indipendenti e orientati alla stabilità lavorativa.
2. Generazione Y (o Millennial): comprende le persone nate circa tra la metà degli anni '80 e la metà degli anni '90. I Millennial sono cresciuti con l'avvento di Internet, i telefoni cellulari e hanno vissuto la nascita dei social media. Sono considerati la prima generazione "nativa digitale" e sono noti per la loro adattabilità alla tecnologia e alla comunicazione online. Sono spesso descritti come ambiziosi, orientati alla carriera, disposti al sacrificio ma al contempo desiderosi di un equilibrio tra vita lavorativa e personale.
3. Generazione Z: comprende i nati tra la metà degli anni '90 e i primi anni 2000. Conosciuti anche come "centennials" o "iGen", i membri della Gen Z sono cresciuti completamente immersi nella tecnologia digitale. Sono abituati all'uso di smartphone, social media e servizi di streaming. Abituata ai continui stimoli digitali e cresciuta in un'era di crisi economica e di incertezza globale, la Gen Z è aperta al cambiamento e impegnata in questioni sociali e ricerca una buona flessibilità sul lavoro.
Il tema delicato quindi per l’ Employer Branding è proprio questo: dover proporre “qualcosa” (l’azienda, la sua cultura, i suoi valori, le opportunità di crescita, il workplace e così via) a un pubblico che fa capo a tre target sequenziali, ma profondamente diversi.
Capiamone quindi le peculiarità e i diversi ganci attrattivi.
A onor del vero, va detto che la pandemia ha rimescolato – almeno in parte – le carte in tavola: anche i Millennial (e la coda finale della Gen X)) ne hanno approfittato per mettere ordine tre le proprie priorità.
Una testimonianza di questo cambio di rotta è rappresentata dal fenomeno della Great Resignation (ma anche del quiet quitting) che ha fatto accendere la lampadina dell’allarme a quelle aziende ancora poco attente a offrire alle proprie persone benefit e modalità di lavoro rispettose degli attuali standard di apprezzamento.
Un po’ per tutti, quindi, la musica è cambiata.
Una recente ricerca di Gallup, afferma che oltre la metà (54%) dei lavoratori Gen Z non si sente coinvolta dal proprio contesto di lavoro.
Lì, sulla propria scrivania (intendiamola in senso figurato), i giovani professionisti non portano solo competenze e voglia di fare, ma anche e soprattutto, i propri valori e le proprie priorità di vita. Farlo quindi in un ambiente che non riesce a interagire con queste necessità è uno dei primi motivi di perdita del “feeling” con il proprio ruolo professionale e una delle maggiori cause per cui lasciano il lavoro.
Risulta quindi necessario per le aziende di oggi prevedere sin da principio un piano di Employer Branding che le avvicini alla Gen X. Ecco alcuni consigli concreti:
1. Promuovere un ambiente inclusivo in cui viene valorizzata l’autonomia
Un ambiente davvero inclusivo è sicuramente quello che garantisce un buon livello di Diversity&Inclusion, ma è anche quello che permette alle persone che vi lavorano di avere spazio per essere autonomi e, quindi, veramente motivati.
Questo, su più larga scala, significa possedere un’alta consapevolezza in termini di leadership: un’azienda che accoglie e che motiva all’autonomia, è un’azienda che pratica una leadership positiva, frutto di una profonda conoscenza e sicurezza di sé.
In questo articolo del Washington Post, viene ben chiarito quanto per la Gen Z sia fondamentale trovare sin da subito un legame tra l’azienda e il suo impegno nel porre i valori di diversità, inclusione ed equità come perno attorno al quale far ruotare l’esperienza professionale dei giovani talenti.
Lo dimostrano anche i risultati di questa ricerca che affermano che il 77% dei lavoratori della Gen Z (il campione è USA) indica che il livello di diversità di un’azienda è assolutamente rilevante nella decisione di lavorarci.
2. Condividere i percorsi di crescita come incentivo all’ingresso in azienda
Il pragmatismo della Gen Z è imbattibile. Un uovo oggi non esclude una gallina domani. Per questo, parlare sin da subito – e quindi nel caso di una strategia di Employer Branding, ancora prima dell’ingresso in azienda di un candidato – di quali saranno o potranno effettivamente essere i percorsi di crescita, risulta un incentivo importantissimo per i giovani candidati che più di altri hanno bisogno di sapere “cosa ne sarà di loro” e, soprattutto, se qualcuno gli darà l’opportunità di crescere e incrementare le competenze, anche attraverso percorsi di formazione mirati.
3. Garantire il work-life balance
Poter lavorare da ovunque ci si trovi, in qualunque momento si voglia (o possa) farlo. La vita da ufficio per la Gen Z è morta o, forse, non è proprio mai esistita. La pandemia ha fatto il suo, l’essere nativi digitali ha fatto il resto, fatto sta che l’equilibrio tra priorità personali ed esigenze professionali non è più un’opinione.
È una strettissima necessità. Che le aziende devono poter garantire, aprendosi sempre di più al lavoro per obiettivi e alla formalizzazione di contratti di lavoro che permettano il lavoro ibrido (se non il full smartworking).
4. Chiarire come ogni contributo individuale sia importante
Una ricerca di McKinsey conferma che la Gen Z è a tutti gli effetti una generazione data driven. Attenta a causa-effetto, in ambito professionale desidera quindi capire come il proprio contributo possa impattare sull’organizzazione aziendale e, quando possibile, come questa possa influire sull’andamento sociale e ambientale del contesto in cui è inserita.
Per l’azienda risulta quindi indispensabile promuovere un’opportunità professionale a 360° considerando tutto quel che viene coinvolto: la persona, le sue competenze, la sua visione del mondo e della società e come questa possa inserirsi all’interno dell’organizzazione di cui farà parte.
Facile? Forse no, ma sicuramente un bell’esercizio di auto-analisi che aiuta le organizzazioni a capire da che parte stanno remando (anche in confronto a tutti gli altri).
5. Dare la priorità al benessere e alla salute mentale
Un’azienda che si cura delle sue persone dà priorità tanto al benessere “fisico”, quanto a quello mentale. Non è raro, oggi, che anche nelle attività di Employer Branding si dia spazio alla descrizione di come in azienda si alleni e si pratichi l’empatia, primo e fondamentale tassello per non trascurare l’equilibrio dei propri lavoratori.
Forse nessuno, come la Gen Z, ha mai avuto il coraggio non solo di autodefinirsi “stressato” (per usare un termine “orizzontale”), ma anche di chiedere aiuto, a voce alta. Lo dimostra e lo sostiene l’American Psychological Association che, in questa ricerca, indaga il livello di disagio psichico - e quindi la necessità di un sostegno - proprio dei giovani talenti.
Va da sè che una company culture che si basa sull’attenzione a ogni genere di benessere è un accordo che permette di suonare molte melodie e, quindi, di intercettare il gradimento di un pubblico che dà ora molta importanza alla sua salute, a 360°.
6. Aumentare la condivisione di informazioni per alleviare il senso di incertezza
Lo dicevamo anche nel paragrafo precedente: in quanto nativa digitale, la Gen Z è abituata ad avere tante informazioni e ad averne accesso in tempo reale.
L’azienda in questo non può essere da meno: anche nella fase di recruiting, così come in quella di Employer Branding, ciò che un’organizzazione dovrebbe condividere dovrebbe essere tutto quello che è possibile condividere, dove quel “tutto” andrebbe inteso in senso letterale.
L’informazione toglie incertezza e dà la possibilità di entrare in pieno nel mood dell’azienda, apprezzandone (o meno) tutte le sfumature.
Per riassumere attraverso le parole di Silvia Orlandini, People&Culture Manager di Reverse:
Diversità, inclusione e cambiamento climatico sono quindi questioni molto urgenti per questi giovani, che si sentono responsabili del futuro del mondo e della società e vogliono ritrovare i loro valori anche nell'azienda in cui entrano.
Lo vediamo già in sede di colloquio: i candidati appartenenti alla Generazione Z arrivano al primo incontro preparati sui valori aziendali e vogliono ritrovarli nella presentazione dell’azienda da parte del recruiter. Non è per niente raro che una posizione lavorativa venga rifiutata perché il candidato non ritiene l’azienda in linea con i propri principi etici. Sostenibilità e politiche di inclusione sono quindi imprescindibili per le imprese che vogliono attrarre e trattenere questi giovani talenti. Ma non solo: la loro enorme sensibilità ai problemi del mondo li rende anche molto fragili e soggetti ad ansie e preoccupazioni. Non a caso lo psicologo aziendale è molto richiesto nelle politiche di welfare.
Per quanto riguarda lo smart working, non chiedono nemmeno più la possibilità di lavorare "da casa": la danno per assodata. Non si tratta più di un "nice to have" per loro ma di una vera e propria conditio sine qua non. Certo, sempre con criterio, chiaramente dipende molto dal ruolo e dalla posizione che ricopriranno.
Infine dobbiamo considerare che la Generazione Z ha vissuto percorsi di studi universitari molto più flessibili e modulabili rispetto a quelli del vecchio ordinamento. Questo rende i giovani lavoratori multitasking e multi-topic. qualità utile sul lavoro, ma che allo stesso tempo può causare una lieve mancanza di focus e la necessità di ricevere feedback continui dal proprio management. Del resto, i Gen Z sono nativi digitali e sono abituati con i social a interagire costantemente e una delle lamentele che riportano maggiormente rispetto ai propri ambienti lavorativi è riferita proprio alla mancanza di punti di riferimento. "
Il motto da adottare è "le persone al centro", dicevamo all'inizio. Quello che è importante quindi è adottare un concetto di "umanesimo aziendale", cioè incentrato sulle persone (citando le parole del video sottostante.)
Essere in grado di raccogliere le rinnovate esigenze dei lavoratori per trasformarle in un modus operandi aziendale - è il pre-requisito di una strategia di Employer Branding basata sull’ascolto.
E se la Gen Z richiede, tra le altre cose, sostenibilità, inclusione, valorizzazione della diversità, opportunità di crescita, allineamento valoriale e garanzia di un ottimo work-life balance, le due generazioni precedenti, quella dei Millennial e la X, non guardano (più) in una direzione opposta. Anzi.
Per approfondire, ecco le testimonianze di grandi nomi del mondo HR, in un video estratto dalla Tavola Rotonda del nostro recente evento "Prova a prendermi: i falsi miti di ricerca e selezione":