Uno dei motivi per cui siamo quasi tutti nostalgici del periodo dell’università è la possibilità che avevamo di gestire il nostro tempo, studiare con i ritmi che sceglievamo di adottare a seconda di quanto volevamo portarci avanti e di quanto esami dovevamo sostenere. E se tutto andava bene, se eravamo stati bravi a organizzare lo studio, riuscivamo anche a portare a casa un bel voto.
Ecco, tutto questo è cambiato con l’inizio della nostra esperienza lavorativa, quando ci è stato insegnato a rispettare gli orari dell’azienda fermandoci in ufficio (o, sempre più spesso, alla scrivania di casa) per una quantità di tempo prestabilita, indipendentemente da quali fossero gli obiettivi da raggiungere.
Oggi, però, non è detto che le cose vadano sempre in questo modo. Sempre più spesso sentiamo infatti parlare di organizzazioni che danno priorità ai risultati ottenuti e non alle ore trascorse sul posto di lavoro.
È quella che viene chiamata metodologia ROWE, acronimo di Results Only Work Environment e che, tradotto, significa letteralmente "ambiente di lavoro basato sui risultati".
Se stai già sognando di lavorare per un’impresa che adotta questo tipo di approccio è bene che tu sappia che in realtà ci sono svantaggi e criticità da tenere a mente prima di decidere se questa sia la soluzione migliore per noi e per la nostra azienda.
Quali? Lo scopriamo insieme.
Sfatiamo un mito: con la metodologia ROWE non torniamo ai tempi dell’università (purtroppo), ma il concetto che sta alla base dell’organizzazione del lavoro è qualcosa di simile a quella che applicavamo allo studio. Così come allora contava più di ogni altra cosa l’andamento dell’esame finale, secondo l’approccio definito da questo metodo di lavoro è il risultato ciò che importa davvero, ossia il raggiungimento o meno degli obiettivi prefissati.
Quante volte quando non eri concentrato decidevi di uscire con i tuoi amici per poi ricominciare a studiare quando ti sentivi più in forma? Ebbene, questo stesso tipo di “self organization” o “self direction” è alla base del ROWE: in un’azienda che adotta questo orientamento le persone non hanno orari, vanno al lavoro quando vogliono e non devono essere in ufficio a nessuna ora specifica salvo esigenze particolari. Ciò che devono fare è solo svolgere il proprio lavoro e ottenere ciò che viene chiesto dall’azienda: come, dove e in quali orari dipende solo da loro.
Il concetto che sta alla base è effettivamente piuttosto semplice: l’azienda affida a ognuno un progetto da portare a termine, si concorda un periodo di tempo massimo per concluderlo, dopodiché sarà la stessa persona a decidere quanto e in che modalità lavorare.
Questa idea porta anche a un cambiamento del modo di intendere il management, che per molti significa controllare sempre da vicino la forza lavoro, dove se non c’è una stretta verifica della “posizione in postazione” c’è comunque un monitoraggio stringente riguardo a ciò che stanno facendo di preciso. Una concezione sempre meno in voga al giorno d’oggi: del resto, sappiamo bene come le tecnologie ci consentano ormai di lavorare ovunque.
Dobbiamo però anche guardare a come stanno davvero le cose. Per quanto riguarda il tele-lavoro, in realtà, il nostro Paese è ancora legato a un approccio più tradizionale ed è più indietro rispetto ad altre nazioni come Finlandia, Olanda, Svezia, Regno Unito, Germania e Danimarca. I segnali d’apertura sono arrivati più di recente, complice l’emergenza della pandemia che ha cambiato i nostri modi di lavorare, ma tante aziende continuano a opporre resistenza a questo cambiamento. In effetti questo aspetto non ci deve sorprendere più di tanto perché è legato al tipo di economia del nostro Paese, incentrata sul manifatturiero e spesso legata ad alcuni profondi risvolti sociologici che riguardano il modo di intendere l’azienda sia da parte di chi le dirige, sia dal personale stesso.
Al contrario, secondo la filosofia ROWE, per poter lavorare al meglio delle proprie potenzialità il personale deve essere libero. Libero da tutto ciò che ci siamo già detti poco sopra (orari, luoghi, modalità “standard” di intendere il lavoro) ma anche dal tipico giogo manageriale che utilizza la “carota” del bonus in denaro con lo scopo di stimolare la forza lavoro a rendere al meglio. L’azienda che adotta il metodo ROWE, in definitiva, concepisce chi lavora per essere alla stregua di soggetti partner con cui collaborano per il raggiungimento di un obiettivo. E i partner, per definizione, non dipendono da nessuno: possono dirigere da soli le proprie vite.
Godere di autonomia rispetto al proprio lavoro non significa infatti poter scegliere semplicemente quando e dove lavorare: il concetto di lavoro e di produttività che si trovano alla base del metodo ROWE vanno ben oltre la semplice flessibilità garantita da soluzioni come lo smartworking o il lavoro in remoto.
Ce lo spiegano le stesse ideatrici della metodologia, Cali Ressler e Jody Thompson, che ribadiscono come per anni il ROWE sia stato confuso con il lavoro in remoto o lo smartworking, ma la flessibilità che caratterizza queste modalità lavorative presuppone che ci sia un luogo di lavoro predefinito (l’ufficio) e un orario predefinito (ad esempio dalle 9 alle 18) rispetto ai quali il dipendente può muoversi con una certa elasticità. Non una vera e propria garanzia di autonomia, quindi, ma piuttosto un’alternativa ai vincoli dell’ufficio. Inoltre, Ressler e Thompson ricordano come la flessibilità sia spesso vista come un privilegio e concessa o negata sulla base di criteri che poco hanno a che vedere con la qualità del lavoro.
La strategia ROWE prevede invece un’autonomia che tocca tutti gli aspetti del lavoro: dall’organizzazione alla gestione delle priorità, fino all’esecuzione. L’autonomia garantita ai colleghi e alle colleghe viene bilanciata dalla responsabilità personale che ognuno si assume, come chiariscono le due studiose: «In un Results-Only Work Environment ogni persona è responsabile al 100% e autonoma al 100%. Ogni persona: agenti di vendita, addetti alla contabilità, centralinisti, impiegati del call center, autisti e manager».
Insomma, ROWE non è sinonimo di “liberi tutti”. Ogni persona deve avere ben chiare le proprie responsabilità nei confronti dell’azienda. Del resto, prima di adottare questo approccio lavorativo, l’organizzazione stabilisce quali sono gli obiettivi da raggiungere, e questi andranno per forza di cose raggiunti.
Ma se l’elemento di valore non è più il tempo trascorso in ufficio ma l’ottenimento di determinati risultati, come facciamo a monitorare l’andamento del lavoro?
Di sistemi di monitoraggio ce ne sono diversi. Uno è rappresentato dagli Objective and Key Results o più brevemente OKR, che definiscono proprio un’organizzazione che si basa sullo scopo che si vuole raggiungere e sulle azioni da intraprendere per raggiungere il suddetto obiettivo. Una metodologia, quindi, che ben si sposa con le esigenze delle imprese che adottano il ROWE che stanno acquisendo successo soprattutto in quest’ultimo periodo in cui si opera sempre più spesso a distanza e dove diventa importante saper gestire il lavoro per obiettivi.
Ad ogni modo, gli OKR sono complementari ai più classici KPI, ma non si escludono affatto a vicenda. Con i KPI (Key Performance Indicators) si analizzano le performance e si identificano le eventuali problematiche su cui intervenire, mentre con gli OKR le aziende riescono a orientarsi nel migliore dei modi per trovare la strategia adatta a risolvere quelle stesse problematiche. In altre parole: i KPI misurano le performance e i risultati dei processi in essere, gli OKR ci consentono di prendere in considerazione obiettivi futuri.
Ti interessa la gestione del lavoro per obiettivi? Scopri di più sulla metodologia OKR:
C’è poi un terzo approccio che può essere adottato da imprese che lavorano con il metodo ROWE, ed è quello degli MBO, ovvero Management By Objectives.
Come avrai già capito dal nome, si tratta di un metodo di valutazione per obiettivi, che analizza il lavoro delle proprie persone a fronte degli obiettivi comuni che sono stati prefissati dall’azienda stessa. È una sorta di approccio “a cascata”: si parte dagli obiettivi strategici dell’organizzazione, si passa a quelli più operativi di ogni area di business, questi ultimi vengono a loro volta declinati in piani d’azione e infine si definiscono gli obiettivi individuali. Facile no? ☺
«Il lavoro non è un luogo fisico dove ci rechiamo ogni mattina, ma è ciò che facciamo. Sono le nostre idee, i nostri progetti. Il lavoro non può essere la negazione della nostra vita», e ancora, «ormai il concetto tradizionale di lavoro (40 ore settimanali, lunedì-venerdì, 9-17) è superato. Vediamo persone inadeguate alle loro mansioni che vengono promosse solo perché arrivano prima e si trattengono più a lungo di tutti gli altri alla loro postazione. Partecipiamo a lunghissime, e molto spesso inutili, riunioni dove sopportiamo colleghi che pongono domande insulse solo per sottolineare la loro presenza».
Se sei d’accordo con queste parole e pensi che possano applicarsi anche alla tua situazione professionale, allora forse la metodologia ROWE è ideale per l’azienda per la quale lavori. Questi che hai letto qui sopra sono i pensieri espressi proprio da Reesler e Thompson nel loro libro, dal titolo quantomeno provocatorio: “Perché il lavoro fa schifo e come migliorarlo”.
Nel libro sono riportate diverse esperienze di chi già lavora con il metodo ROWE ed è riassunta la teoria in dieci punti:
Reesler e Thompson hanno lavorato per decenni come consulenti presso grandi aziende, (tra le quali Best Buy e GAP, per esempio), e durante la loro esperienza hanno osservato che in ambienti autonomi la produttività e la soddisfazione dei dipendenti aumentano, mentre diminuiscono l’assenteismo e i tassi di ricambio del personale.
Secondo le loro ricerche, le aziende che adottano i dieci punti salienti del metodo ROWE possono infatti contare su una crescita della produttività e su un netto aumento dei livelli di coinvolgimento e benessere dei dipendenti, con risvolti positivi anche per la salute fisica oltre che mentale.
In questo senso, si ritiene che il meccanismo dell’orario fisso in ufficio possa addirittura tramutarsi in un boomerang per l’azienda, perché potrebbe succedere che i lavoratori, poco motivati, restino più ore del dovuto sul posto di lavoro senza mai arrivare alla loro massima produttività. In questa situazione l’azienda si troverebbe a dover supportare un ulteriore costo a causa delle ore di straordinario senza però avere un vantaggio in termini produttivi. Non è detto, insomma, che chi lavora in ufficio per otto ore o più sia anche più produttivo. La produttività non è direttamente proporzionale all’obbligo di restare per un certo numero di ore sul proprio posto di lavoro bensì alla motivazione personale.
La maggior parte delle imprese italiane, però, non la pensa ancora in questo modo ed è legata al concetto di orario fisso. Il personale, in molti casi, deve timbrare all’ingresso in azienda e all’uscita, e ci sono software che si occupano di verificare le ore lavorate, gli straordinari, eventuali recuperi e così via, per meglio controllare la propria forza lavoro anche quando non si trova “fisicamente” in uno stesso luogo.
Qualcosa è cambiato, ancora una volta, con il periodo caratterizzato dalle quarantene causate dalla pandemia, in cui molte persone si sono ritrovate a lavorare da casa. Diverse aziende hanno colto l’occasione per ripensare al modo di lavorare al proprio interno e anche il metodo ROWE ha saputo attirare l’attenzione da parte di alcune imprese a causa di alcuni dei suoi vantaggi:
In effetti, a molte persone attira l’idea di lavorare in un ambiente di lavoro organizzato in questo modo. Quello che però ognuno di noi dovrebbe chiedersi è: ne sono davvero in grado? Sono capace di organizzare il mio lavoro in modo indipendente e di raggiungere gli obiettivi richiesti dalla mia azienda? In poche parole: il metodo ROWE piace (bene o male) a tutti, ma siamo sicuri sia adatto a tutti quanti?
La realtà è che il ROWE non è per tutti. Per fare in modo che funzioni, le persone dell’azienda devono essere preparate e formate per essere davvero orientate al risultato che viene chiesto loro di ottenere. Questa capacità indica come e quanto una persona è disposta a mettersi in gioco per raggiungere obiettivi sfidanti con determinazione e impegno. Non importa se lungo il percorso vi siano ostacoli, difficoltà o imprevisti da superare: il traguardo è comunque l’ottenimento del risultato.
Occorre quindi possedere determinate qualità personali e saperle mettere in campo anche sul lavoro: determinazione, fermezza, decisione, perseveranza, intraprendenza. Ed è fondamentale avere in sé anche la motivazione a impegnare davvero la propria energia al servizio degli obiettivi e degli interessi aziendali. L’aspetto determinante di queste capacità è proprio questo, la finalizzazione: non si tratta solo di essere capaci di lavorare con volontà e serietà, perché queste doti devono essere unite alla focalizzazione al risultato, cosa ben diversa da una più generica dedizione al lavoro.
Chi è orientato al risultato si pone autonomamente degli standard da rispettare ed è sempre volto al confronto e al miglioramento. È vero che con la metodologia ROWE non ci sono orari fissi da rispettare, ma alcune volte potrebbe essere comunque necessario fare dei sacrifici e lavorare anche per molto tempo, se è ciò che è necessario per raggiungere gli obiettivi prefissati nei tempi previsti. Per questo serve saper organizzare il lavoro, stabilire delle priorità e rispettare le scadenze.
Se non si è in grado di governare il tempo a disposizione, il carico di responsabilità e le varie attività da svolgere, il metodo ROWE potrebbe portare a conseguenze opposte a quelle sperate, creando difficoltà sia al personale che all’impresa nel suo complesso. Occorre dunque sapere fin da subito che la gestione del tempo diventa un indicatore chiave delle prestazioni dei lavoratori. Per alcuni, potrebbe anche non essere tanto semplice riuscire a distinguere tra "orario di lavoro" e "orario di casa", un po’ come accade a tante persone che lavorano da remoto: anche in questo caso, bisogna essere capaci di non trasformare la maggiore “libertà” concessa dall’azienda in un boomerang che finisce con il creare ancor più un senso di lavoro “non-stop”.
Ad alcuni sembrerà cosa da poco: cosa ci vuole a organizzarmi e a gestire i compiti che ho da svolgere come meglio ritengo? Proprio come si faceva all’università, no?
Eppure non è così semplice.
Comunque, non scoraggiamoci. Avendo compreso nel dettaglio il significato di queste importanti competenze trasversali, se si pensa di voler lavorare in un contesto che adotta la metodologia ROWE si possono provare a mettere in campo delle azioni di autosviluppo per rafforzare le proprie skill, da una parte, ma anche attività di potenziamento delle competenze altrui per aiutare le persone della tua azienda a rendersi quanto più autonome possibile.
Può essere utile fare un elenco di tutte le mansioni che si hanno da svolgere, definire i tempi entro i quali svolgere queste azioni e identificare un metodo di monitoraggio per valutare se si sta procedendo secondo quanto previsto: può anche essere di aiuto condividere il piano con i propri responsabili per avere anche il loro parere.
Dopodiché, osservarsi: cercare di rendersi conto di quali sono le azioni che si svolgono con maggiore fatica, quelle che richiedono più tempo del previsto, quali sono le condizioni in cui ci si sente meno motivati e quelle invece in cui si riesce a dare il meglio di sé. Ecco alcune attività che potrebbero essere utili:
Lavorando nell’HR e in un’azienda che adotta la metodologia ROWE, puoi provare a dare questi consigli anche ai tuoi colleghi e alle tue colleghe per fare in modo che tutti riescano a dare il meglio di se stessi.
È vero, il ROWE non è per tutti, ma ognuno di noi può migliorarsi e organizzarsi in modo più efficiente, per assumersi autonomamente le proprie responsabilità e raggiungere gli obiettivi che ci vengono richiesti dalla nostra azienda.
Ti interessa la gestione del lavoro per obiettivi? Scopri di più sulla metodologia OKR: