Il giovedì è il nuovo venerdì? Forse, o almeno alcune aziende ci stanno provando.
La settimana lavorativa di 4 giorni è il tema più chiacchierato dell’ultimo periodo, ma oggi vogliamo scendere nel concreto.
Quali sono i reali vantaggi e svantaggi che comporta, sia per le aziende che per i collaboratori?
Quali realtà europee la stanno sperimentando con successo?
A che punto siamo in Italia?
Nei prossimi paragrafi analizziamo passo per passo la concreta realizzazione di un approccio lavorativo che fino a qualche tempo fa sembrava impensabile ( e invece…).
Lavorare meno giorni (4 invece dei soliti 5), a parità retributiva (rispetto a prima), per meglio conciliare esigenze personali e professionali, a garanzia di una maggiore produttività.
È tutto vero e succede ufficialmente in più di 60 aziende del Regno Unito che hanno coinvolto, in quella che più che una sperimentazione è ormai proprio una solida realtà, oltre 3.300 dipendenti e collaboratori.
Il modello inglese (raccontato nel dettaglio in questo report), così viene chiamato perché appunto è stato proprio UK il primo Paese ad adottarlo, ha conquistato anche il Belgio che da novembre del 2022 ha introdotto un disegno di legge che consente ai lavoratori il diritto di poter scegliere una settimana lavorativa da 4 giorni, appunto.
Sgombriamo subito il campo da eventuali dubbi o misunderstanding: lavorare 4 giorni, perlomeno in UK, non prevede che si condensino le ore di 5 giorni in 4, ma anzi consente che ci sia una riduzione del 20% del tempo lavorativo senza che a questa corrisponda una contrazione dello stipendio e della produttività. Il modello è quello del 100:80:100, ossia il 100% della retribuzione per l'80% del tempo, in cambio dell'impegno a mantenere almeno il 100% di produttività.
E in Italia, come ci si sta muovendo? Post pandemia, con la sempre più ampia diffusione dei modelli di lavoro ibrido, la settimana lavorativa di 4 giorni comincia a fare gola a tanti. Ne parleremo più nel dettaglio nel quinto paragrafo di questo articolo.
Quel che sembra chiaro, almeno per il momento, è che questo nuovo approccio all’organizzazione di tempo e carichi di lavoro si sta avviando ad essere una soluzione concreta per molte realtà.
Il claim di una famosissima pubblicità di qualche anno fa recitava “è tutto intorno a te”. Quando si pensa ai lavoratori di oggi, l’impressione è che abbiano traslato letteralmente questo payoff nella loro vita professionale: come Head Hunter (e ce lo confermano anche tutti i professionisti che abbiamo intervistato nell’ambito di queste ricerche, che puoi leggere cliccando sui box delle singole industry) siamo i primi a sapere che nell’era contemporanea non è più l’azienda che sceglie i suoi talenti, ma ci si sceglie reciprocamente.
Il cambio di prospettiva è chiaro e si riflette anche nell’offerta di benefit e nella gestione delle proprie risorse: le aziende si stanno focalizzando sempre di più sull'ascolto delle esigenze, sul benessere e sulla soddisfazione delle proprie persone.
Maggiore è il benessere, migliore è la performance. Proprio in questo contesto si inserisce la settimana lavorativa di 4 giorni. Quali sono quindi i vantaggi per l’azienda? E soprattutto, ci sono?
La risposta è sì. Il modello inglese l’ha dimostrato, dati alla mano: il nuovo timing ha funzionato così bene che, secondo il report dall’associazione no profit 4 Day Week Global, “è improbabile che la maggior parte delle 33 aziende, con sede negli USA e in Irlanda, e dei loro 903 lavoratori che hanno sperimentato il programma, senza alcuna riduzione della retribuzione, tornino a una settimana lavorativa standard”. Insomma: la 4 day week è gradita alle aziende tanto quanto è gradita ai lavoratori.
Vediamo insieme quali sono i vantaggi per le aziende:
La nuova sfida delle imprese: rendere lo Smartworking un lavoro agile e liquido a tutti gli effetti.
Consulta l'indagine per scoprirne di più:
I vantaggi per le aziende sono il riflesso dei vantaggi per le sue risorse.
Negli ultimi due anni, Great Resignation e Quiet Quitting sono stati i due principali campanelli d’allarme che no, qualcosa nel rapporto tra persone e lavoro non stava più funzionando a dovere. La necessità di recuperare (anzi, molto spesso proprio di avere) un equilibrio tra vita personale ed esistenza professionale si è fatta più forte che mai, tanto da mettere in discussione il proprio intero sistema di priorità. La settimana lavorativa di 4 giorni si muove nella direzione di soddisfare i lavoratori che chiedono di avere a disposizione più tempo extra-lavoro.
Ecco i benefici:
Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare, si dice. Sì, perché scrivere di quanto la settimana lavorativa di 4 giorni sia di fatto una condizione win win per lavoratori e aziende è facile, ma metterla a sistema lo è decisamente meno.
Iniziamo subito col dire che un’azienda che vuole introdurre la 4 day week ha necessità di essere un’organizzazione di suo già aperta al cambiamento e che, perlomeno negli ultimi 3 anni quando si sono registrate le più significative evoluzioni del mondo del lavoro dell’era contemporanea, ha già implementato nuovi approcci al lavoro.
Fatta salva questa premessa elenchiamo di seguito una serie di consigli pratici – come sempre non esaustivi perché non tarati sulle specifiche caratteristiche ed esigenze aziendali – su come accompagnare la propria realtà e le proprie persone a lavorare 4 giorni a settimana:
Come abbiamo visto sopra, sono tante le aziende che soprattutto in UK e in Belgio (considerando l’Europa) hanno adottato ufficialmente – dopo un iniziale periodo di trial – la cosiddetta settimana corta.
In Italia, invece, per il momento non abbiamo ancora dati sufficientemente approfonditi per capire “come stia andando”. Quel che è chiaro, comunque, è che si inizia a parlarne con più costanza e concretezza anche grazie alle prime sperimentazioni sul campo.
Tra le prime aziende ad aver adottato la settimana corta – su base volontaria – c’è Intesa Sanpaolo. A differenza del modello inglese – per completezza di informazioni – va specificato che il monte ore è sì ridotto, ma non del 20%. I dipendenti che decidono di lavorare 4 giorni a settimana, vengono infatti retribuiti nello stesso modo, ma devono lavorare un’ora in più, ossia 9 ore anziché 8 per un totale di 36 ore contro le 40 “tradizionali”.
Anche Lavazza sta adottando un modello di lavoro simile che prevede una riduzione dei giorni di lavoro (4 anziché 5, appunto), ma non del monte ore totale. L’azienda chiede infatti ai lavoratori che vogliono contrarre la propria settimana di lavoro di spalmare le 8 ore del giorno a cui “rinunciano” sugli altri 4.
Decisamente più sul pezzo si sta invece dimostrando Awin Italia che ha introdotto la flexy week, ossia la settimana flessibile che prevede una giornata o due mezze giornate libere a settimana in combinazione, volendo, con le possibilità dello smartworking.
L’impressione, in Italia soprattutto, è che ancora ci sia molto da fare perché si arrivi a una soluzione che accontenti tutti: le aziende con le esigenze di garanzia di produttività, i lavoratori in termini economici e di effort, e le parti sociali affinché nuovi accordi e nuove modalità di lavoro possano essere regolamentate quanto più precisamente possibile.
Finora, tutto bene. Ma per ogni medaglia c’è il suo rovescio.
Non tutte le aziende e non tutti i settori (uno su tutti la sanità), infatti, possono pensare di affidarsi a nuovi modelli che prevedano una riduzione del tempo lavorativo e di conseguenza una riduzione anche del servizio offerto agli utenti.
Per garantire la continuità del servizio, settori come il manifatturiero o la sanità (ad esempio), dovrebbero assumere altri collaboratori per sopperire alla riduzione di ore lavorative delle loro risorse. Se da una parte questa potrebbe essere una soluzione alla disoccupazione (si impiegherebbero più lavoratori – almeno due - per una mansione in precedenza ad appannaggio di una sola persona), dall’altra ciò comporterebbe la necessità per le aziende di essere in grado di sostenere costi più elevati, dai quali rientrerebbero solo nel lungo periodo e, probabilmente, con un sistema di compensazione “immateriale” (es. migliore immagine aziendale, progetti di employer branding più efficaci, riduzione del turnover e così via).
Strano ma vero poi, è possibile che si incontri la resistenza di alcuni lavoratori, restii a “lasciare la sedia vuota”, anche solo per un giorno a settimana, per il timore di perdere il proprio status. Ricordiamoci, infatti, che in alcune realtà aziendali il cambio di paradigma da “presenza” a “risultato” è ancora un processo ostico o comunque in progress.
Non da ultimo, inoltre, la mancata armonizzazione tra settori comporterebbe una disuguaglianza anche in termini di attrattiva, veicolando i nuovi talenti ad accettare offerte di lavoro principalmente laddove la flessibilità è garantita.
Salvo eccezioni, però, abbiamo visto come la 4 day week sia una realtà sempre più concreta e si stia inserendo a pieno titolo nelle nuove modalità di lavoro flessibile. È necessario quindi tenerla monitorata.
Gli esempi di come aziende estere e italiane la stiano mettendo in pratica con successo dimostrano che è possibile uscire dagli schemi tradizionali e osservare cosa succede. E chissà che risultati potrà portare sul lungo periodo.
La nuova sfida delle imprese: rendere lo Smartworking un lavoro agile e liquido a tutti gli effetti.
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