I sette peccati capitali del recruitment (e come assolversi)

    Peccata minuta direbbe qualcuno, eppure nel recruitment anche il più piccolo errore può trasformarsi in un vero e proprio inferno organizzativo. Superbia nel pensare di riconoscere il talento a colpo d'occhio, invidia del recruiter del competitor che sembra pescare sempre i profili migliori, ira contro quei candidati che spariscono senza nemmeno un messaggio di cortesia. Se ti riconosci in almeno uno di questi comportamenti, tranquillo: sei in ottima compagnia. Che tu sia un Head Hunter, un HR Manager interno o un responsabile della selezione, questi errori possono capitare in tutti i ruoli e tutte le organizzazioni. 

    Questo viaggio attraverso i sette vizi capitali del recruitment non è una “predica”, ma un'occasione per guardarci allo specchio con un sorriso e magari trovare qualche strumento per risolvere quella situazione che ci dà pensieri da tempo. Perché sì, il purgatorio esiste davvero ed è fatto di colloqui mal preparati, candidati fantasma e posizioni che rimangono aperte per mesi. Ma la redenzione è possibile, sia che tu lavori in un'agenzia di Headhunting sia che tu gestisca la selezione internamente per la tua azienda.

    Indice

    1. Superbia: l'istinto tradisce (più spesso di quanto pensiamo) 
    2. Invidia: il confronto con i competitor che ci rode l'anima
    3. Ira: quando i candidati ghostano e noi perdiamo la pazienza
    4. Accidia: la pigrizia che uccide il processo di selezione 
    5. Avarizia: trattenere feedback, perdere talent
    6. Gola: la fame di assumere che abbassa gli standard 
    7. Lussuria: l'innamoramento del candidato perfetto
    8. L'assoluzione: ricette pratiche per la redenzione professionale

     

     

    1. Superbia: l'istinto tradisce (più spesso di quanto pensiamo)

    "Io so riconoscere il talento quando lo vedo." Quante volte abbiamo sentito (o pronunciato) questa frase? La superbia del recruitment si manifesta nella convinzione granitica di possedere un fiuto infallibile, quel je ne sais quoi che ci permetterebbe di individuare il candidato giusto a colpo d'occhio. Il problema è che l'istinto, per quanto affinato dall'esperienza, è terreno fertile per i bias cognitivi.

     

    Il fascino pericoloso della prima impressione

    L'effetto primacy, o della prima impressione, è uno dei bias più insidiosi. Secondo gli studi più recenti, i selezionatori tendono a formulare un giudizio nei primi minuti di interazione, attribuendo un peso spropositato alle informazioni iniziali. Il resto del colloquio diventa spesso una ricerca inconscia di conferme a quella prima percezione.

    In Reverse lo vediamo continuamente, soprattutto con chi non è un addetto ai lavori della ricerca e selezione e si trova a condurre dei colloqui: un candidato si presenta con cinque minuti di ritardo per un problema tecnico alla videochiamata, e improvvisamente ogni sua risposta viene filtrata attraverso la lente del "poco affidabile". Oppure, al contrario, un curriculum prestigioso crea un'aurea dorata che rende difficile cogliere eventuali lacune concrete.

     

    Quando il curriculum diventa un feticcio

    L'altra faccia della superbia è l'effetto di ancoraggio: ci aggrappiamo a una singola informazione – il titolo di studio, l'università frequentata, l'azienda in cui ha lavorato – e lasciamo che questa condizioni l'intera valutazione. Addirittura 'aspetto fisico dei candidati può arrivare a contare più dei titoli di studio o dell'esperienza lavorativa, anche se nessuno lo ammetterebbe mai apertamente.

    La redenzione inizia qui: costruire griglie di valutazione strutturate, con criteri chiari e misurabili. Non è questione di eliminare l'intuito, ma di affiancarlo a strumenti oggettivi che lo validino o lo mettano in discussione.

     

    2. Invidia: il confronto con i competitor che ci rode l'anima

    Se c'è un peccato che il mondo digitale ha amplificato esponenzialmente, è l'invidia. LinkedIn è diventato il teatro perfetto per questo dramma: vediamo i colleghi di altre aziende annunciare assunzioni stellari, celebrare i loro processi di selezione innovativi, sfoggiare tool all'avanguardia. E noi? Noi ci sentiamo sempre un passo indietro.

     

    La sindrome da "talent acquisition perfetta"

    L'invidia nel recruitment assume forme sottili ma pervasive. Ci convinciamo che i competitor abbiano accesso a pool di talenti migliori, budget più generosi, processi più snelli. La tentazione è quella di copiare le loro strategie senza contestualizzarle, di inseguire ogni trend senza chiederci se sia davvero quello di cui abbiamo bisogno.

    In realtà, come Head Hunter che lavorano trasversalmente su decine di aziende diverse, in Reverse abbiamo imparato una verità scomoda: non esiste il processo perfetto. Ogni organizzazione ha i suoi punti di forza e le sue criticità, e molto spesso le eccellenze che vediamo dall'esterno nascondono problematiche che non emergono sui social.

     

    Gli strumenti degli altri sono sempre migliori (spoiler: non è così)

    L'invidia si manifesta anche nell'ossessione per gli strumenti tecnologici. Quel competitor ha implementato l'intelligenza artificiale per lo screening dei CV? Noi dobbiamo averla subito. Quella startup usa gamification nei processi di selezione? Non possiamo essere da meno.

    Il punto non è demonizzare l'innovazione, ma evitare che diventi una gara sterile. Come recita il saggio detto latino comparatio est mater doloris, il confronto è madre del dolore. Meglio concentrarsi sull'eccellenza del proprio processo, qualunque sia il livello di sofisticazione degli strumenti a disposizione.

     

    3. Ira: quando i candidati ghostano e noi perdiamo la pazienza

    Il ghosting è diventato l'incubo ricorrente di ogni professionista HR. Il candidato che dopo tre colloqui sparisce nel nulla. Quello che accetta l'offerta e poi non si presenta il primo giorno. La frustrazione è umana, comprensibile. L'ira, però, è cattiva consigliera.

     

    I numeri del fenomeno fantasma

    I dati più recenti sul ghosting nel recruitment sono allarmanti. Secondo il 2024 Candidate Experience Report, il 44% dei candidati ammette oggi di aver ghostato un datore di lavoro, mentre il 76% dei recruiter riporta di essere stato ghostato da candidati. In Italia, secondo LinkedIn, 3 professionisti su 10 dichiarano di aver vissuto questa esperienza a seguito dell'invio di una candidatura.

    Ma c'è un'altra faccia della medaglia, spesso dimenticata: il 61% dei candidati è stato ghostato dopo un colloquio, e il 75% delle candidature non riceve alcuna risposta. Il ghosting è un fenomeno bidirezionale, una sorta di vendetta reciproca alimentata da un sistema che ha smesso di comunicare efficacemente.

     

    Reagire o rispondere? Il dilemma dell'HR moderno

    L'ira di fronte al ghosting si manifesta in vari modi: il giudizio frettoloso sul candidato ("evidentemente non era professionale"), la tentazione di inserirlo in una lista nera informale, o chissà cos’altro.

    Quello che l'esperienza ci ha insegnato è che dietro ogni ghosting c'è quasi sempre una storia. I candidati ghostano perché hanno trovato un'altra offerta, sono insoddisfatti della retribuzione proposta o ritengono che il lavoro non sia adatto alle loro aspirazioni. Raramente si tratta di pura maleducazione.

    La risposta più efficace all'ira? Implementare processi di comunicazione così chiari, tempestivi e rispettosi da rendere il ghosting meno probabile. E quando capita comunque, serve l’approccio zen per saperlo considerare un feedback prezioso su qualcosa che non ha funzionato nel nostro approccio.



     

    4. Accidia: la pigrizia che uccide il processo di selezione

    Se c'è un peccato che passa inosservato pur essendo devastante, è l'accidia. Nel recruitment si manifesta nella pigrizia intellettuale: il copia-incolla seriale delle job description, i colloqui condotti con il pilota automatico, la mancanza di preparazione che trasforma un momento cruciale in un'occasione persa.

     

    Il copy-paste seriale delle job description

    "Cerchiamo una risorsa dinamica, proattiva, con spiccate capacità relazionali..." Quante volte abbiamo letto (e scritto) annunci di questo tipo? L'accidia si nasconde dietro la standardizzazione eccessiva, quella che produce job description intercambiabili che potrebbero adattarsi a qualsiasi azienda e a nessuna in particolare.

    Il problema non è solo estetico. Quando i candidati non hanno chiarezza su responsabilità e ambito del lavoro, sono più propensi a ghostare. Un annuncio generico attira candidature generiche, creando un circolo vizioso di tempo sprecato per entrambe le parti.

     

    Colloqui non preparati: il crimine perfetto

    L'altra faccia dell'accidia è il colloquio improvvisato. Entriamo nella call senza aver riletto attentamente il curriculum, senza un piano di domande strutturate, confidando nell'esperienza per "navigare a vista". Il risultato? Valutazioni influenzate dall'ordine dei colloqui, dall'umore del momento, da fattori totalmente irrilevanti rispetto alle competenze reali del candidato.

    Se tendi a cadere in questa trappola può esserti d’aiuto darti una regola rigida: ogni colloquio merita almeno 15 minuti di preparazione specifica. Sembra banale, ma questa disciplina fa la differenza tra un processo professionale e uno approssimativo.


    Checklist: come collaborare con un Head hunter

     

    5. Avarizia: trattenere feedback, perdere talenti

    L'avarizia nel recruitment non riguarda solo i budget (quello è un altro discorso). Si manifesta nel trattenere informazioni, nel non condividere feedback, nel risparmiarsi quella telefonata o quel messaggio che potrebbero fare la differenza per un candidato.

     

    Il silenzio come strategia (fallimentare)

    Secondo l'indagine LinkedIn, il 67% dei recruiter ammette che avrebbe bisogno di più strumenti e risorse per rispondere a tutti in modo tempestivo. Capiamo la pressione, i volumi, le priorità. Ma il silenzio ha un costo altissimo in termini di employer branding.

    Il 69% dei recruiter riconosce che ignorare i candidati può danneggiare l'immagine aziendale, mentre il 68% ammette che il silenzio può influire negativamente sulla loro autostima. Non si tratta solo di buone maniere: ogni candidato scartato senza feedback è un potenziale detrattore del brand, un passaparola negativo in più, una porta che si chiude per future collaborazioni.

     

    Investire nel processo costa, non farlo costa di più

    L'avarizia si manifesta anche nella riluttanza a investire tempo e risorse nel processo di selezione. Perché coinvolgere più colleghi nei colloqui? Perché usare assessment strutturati quando "ci fidiamo del nostro giudizio"? Perché implementare tool di candidate experience?

    La risposta è semplice: perché l'alternativa costa molto di più. Una selezione frettolosa porta a errori di assunzione che, come abbiamo visto, possono costare migliaia di euro al mese. Un processo avaro di comunicazione genera ghosting e pessima reputazione. La vera economia sta nell'investimento iniziale, non nel risparmio miope. In questo articolo abbiamo approfondito il tema del ROI del recruitment.

     

    6. Gola: la fame di assumere che abbassa gli standard

    La gola nel recruitment è la fretta divorante di riempire una posizione, quella fame che ci fa abbassare gli standard pur di chiudere una ricerca che si trascina da settimane. È il "meglio di niente" elevato a strategia, con risultati quasi sempre disastrosi.

     

    Quando la fretta è cattiva consigliera

    La pressione per assumere velocemente è reale. Le posizioni aperte pesano sulla produttività, i manager si lamentano, l'urgenza monta. Ed ecco che scivoliamo nel peccato di gola: quel candidato non è perfetto, ma è disponibile subito. Quella persona ha lacune evidenti, ma almeno copriamo il buco.

    L'effetto di contrasto ci porta a valutare eccessivamente in positivo un candidato solo leggermente superiore alla media dopo una serie di colloqui deludenti. La fame di chiudere la posizione distorce il giudizio, e quello che sembrava accettabile in un momento di disperazione si rivela inadeguato dopo pochi mesi.

     

    Il bias del "meglio di niente"

    In Reverse lo ripetiamo spesso ai nostri clienti: una posizione che rimane aperta è un problema, ma una posizione coperta dalla persona sbagliata è un disastro. Il turnover che ne consegue, il tempo perso in formazione, l'impatto negativo sul team e sulla cultura aziendale: tutto questo supera di gran lunga il costo di prolungare di qualche settimana la ricerca per trovare il candidato giusto.

    La disciplina contro la gola è duplice: da un lato, gestire le aspettative interne sulla tempistica (non tutte le posizioni possono essere coperte in due settimane); dall'altro, avere il coraggio di dire "no" anche quando la pressione è forte.

     

     

    7. Lussuria: l'innamoramento del candidato perfetto

    L'ultimo peccato capitale del recruitment è forse il più insidioso: la lussuria, intesa come l'innamoramento cieco del candidato che sembra perfetto. Sulla carta, s'intende. Perché nella realtà, nessuno è perfetto, ma quando ci lasciamo abbagliare dall'effetto alone, smettiamo di vederlo.

     

    Il bias di conferma in agguato

    Il bias di conferma porta il recruiter a cercare inconsciamente informazioni che validino un'ipotesi preesistente sul candidato. Quando ci innamoriamo di un profilo – magari perché ha lavorato in un'azienda prestigiosa o ha conseguito un master di cui andiamo fieri – iniziamo a porre domande orientate a confermare la nostra impressione positiva.

    "Ha lavorato in Google, quindi dev'essere brillante. Viene da McKinsey, sicuramente sa lavorare sotto pressione." Questi automatismi mentali ci impediscono di fare le domande scomode, quelle che potrebbero rivelare criticità o incompatibilità con la nostra realtà aziendale.

     

    Quando l'effetto alone acceca

    L'effetto alone è la tendenza a estendere una caratteristica positiva o negativa a tutto il giudizio complessivo. Un candidato particolarmente eloquente e carismatico conquista la nostra simpatia, e improvvisamente le sue competenze tecniche ci sembrano solide anche senza averle approfondite. Una persona che condivide le nostre passioni extra-lavorative diventa automaticamente "cultural fit" perfetto.

    Il problema della lussuria nel recruitment è che produce matrimoni sbagliati: assunzioni basate più su proiezioni ideali che su valutazioni concrete. E come nei rapporti sentimentali, quando l'innamoramento iniziale svanisce, ci si ritrova a fare i conti con una realtà ben diversa da quella immaginata.

     

     

    8. L'assoluzione: ricette pratiche per la redenzione professionale

    Dopo questo viaggio attraverso l'inferno degli errori più comuni, è tempo di parlare di redenzione. Perché, come in ogni buona storia di caduta e riscatto, la consapevolezza è solo il primo passo: servono azioni concrete per cambiare.

     

    Contro la superbia: umiltà metodologica

    • Implementa griglie di valutazione strutturate con criteri chiari e misurabili per ogni posizione
    • Quando possibile conduci i colloqui sempre in team per bilanciare le percezioni individuali
    • Registra le motivazioni dietro ogni decisione di selezione per analizzarle a posteriori
    • Dedica tempo alla formazione continua sui bias cognitivi: la consapevolezza è il primo antidoto

    Contro l'invidia: consapevolezza del proprio valore

    • Focalizzati sui tuoi punti di forza unici invece di copiare i competitor
    • Analizza quali strumenti servono davvero alla tua organizzazione, non quali sono trendy
    • Celebra i successi interni senza bisogno di confronti esterni
    • Ricorda che ogni azienda ha vincoli e opportunità diverse: la ricetta perfetta per un'altra organizzazione potrebbe essere tossica per la tua

    Contro l'ira: empatia strategica

    • Implementa comunicazioni automatiche ma personalizzate a ogni step del processo
    • Stabilisci SLA (Service Level Agreement) interni per i tempi di risposta ai candidati
    • Quando un candidato ghosta, rispondi con un messaggio aperto e non giudicante: "Ci dispiace non averti più sentito, se ci sono stati problemi o hai cambiato idea, saremmo felici di saperne di più per migliorare il nostro processo"
    • Analizza i pattern di ghosting come feedback prezioso su ciò che non funziona nel tuo processo

    Contro l'accidia: disciplina nella preparazione

    • Dedica almeno 15 minuti di preparazione specifica a ogni colloquio
    • Personalizza ogni job description partendo da template ma adattandoli alla realtà specifica
    • Prepara domande strutturate in anticipo, lasciando spazio anche all'improvvisazione ma con una base solida
    • Rivedi periodicamente i tuoi processi per identificare automatismi improduttivi

    Contro l'avarizia: generosità informativa

    • Fornisci feedback dettagliato a tutti i candidati che arrivano almeno al colloquio 
    • Investi in tool di candidate experience anche se sembrano costi non immediatamente produttivi
    • Condividi informazioni chiare su tempi, passaggi e aspettative fin dal primo contatto
    • Considera ogni interazione con un candidato come investimento in employer branding

    Contro la gola: pazienza strategica

    • Stabilisci standard minimi non negoziabili per ogni posizione e difendili anche sotto pressione
    • Educa gli stakeholder interni sui rischi di una selezione frettolosa
    • Quando la ricerca si allunga, analizza le cause: è il mercato, è la job description, sono le aspettative?
    • Ricorda che è meglio rifinanziare una ricerca che assumere la persona sbagliata

    Contro la lussuria: scetticismo costruttivo

    • Per ogni candidato che ti entusiasma, fai un esercizio: elenca almeno tre potenziali criticità o incompatibilità
    • Chiedi sempre "cosa potrebbe andare storto?" anche (soprattutto) con i profili apparentemente perfetti
    • Conduci reference check approfondite, particolarmente sui candidati stellari
    • Bilancia l'entusiasmo con domande comportamentali che testano scenari reali e potenzialmente critici

    Come Head Hunter, il nostro lavoro quotidiano è proprio questo: aiutare le aziende a navigare tra questi peccati con consapevolezza e metodo. Non si tratta di diventare perfetti – sarebbe pretesa tanto vana quanto la ricerca del candidato perfetto – ma di costruire processi più robusti, più umani, più efficaci.

     

    Checklist: come collaborare con un Head hunter


    Reverse è una realtà in continua evoluzione: come un gruppo di scienziati e ricercatori che giorno dopo giorno creano qualcosa di nuovo per migliorare e semplificare il mondo dell’Head Hunting e l’attività di chi si occupa di HR.
    Alessandro Raguseo, CEO