Autoconsapevolezza, curiosità e accettazione della vulnerabilità. Pensi di possedere queste qualità? Bene! Perché sono questi i punti chiave del Self Empowerment da rispettare per crescere sia a livello personale che lavorativo.
Ma capiamo a fondo di cosa si tratta e in che modo può essere davvero utile sia per le aziende che per i singoli lavoratori.
L’espressione “self empowerment”, come anche la sola parola “empowerment”, è ormai usata (e abusata) in tanti ambiti differenti. Ma di cosa si tratta di preciso? Proviamo a dare una definizione in poche parole: il self empowerment è il processo di ampliamento delle capacità dei lavoratori che possono mettere a disposizione della propria azienda. Significa quindi essere consapevoli delle proprie potenzialità e avere fiducia in esse, operando scelte consapevoli, assumendosi responsabilità e fissandosi obiettivi realistici per realizzare il proprio potenziale, con beneficio per sé stessi e per l’intera organizzazione.
Bada bene, qui non si parla solo di fare carriera, ma di migliorare il rapporto con il proprio lavoro, aspetto forse ancora più importante: la vita lavorativa occupa una parte consistente della nostra vita e quindi è ovviamente importante fare un lavoro che ci piace e ci soddisfa. E in molti casi non significa che dobbiamo cambiare o metterci in proprio, ma che potrebbe essere utile ripensare al proprio modo di lavorare, alla propria azienda, a cosa vorremmo davvero. È un po’ come cercare una via migliore, sapendo che c’è ma non ancora bene dove: il self empowerment ci aiuta a trovarla.
Ognuno di noi ha dei punti di forza e di debolezza e svariate abilità che ci consentono di affrontare le situazioni quotidiane, ma spesso può capitare che non ne siamo consapevoli o che sottovalutiamo le nostre vere capacità. Il self empowerment permette di trasformarsi da soggetti passivi a soggetti attivi del cambiamento, prefissandosi obiettivi a breve e lungo termine e agendo attraverso l’autoapprendimento per sviluppare le nuove competenze indispensabili a rimanere al passo coi tempi e affrontare nuove sfide.
Chi lavora in ambito HR può avviare questo percorso per migliorare le proprie capacità ed essere sempre in grado di gestire gli ultimi trend che caratterizza il suo lavoro, proprio come ogni altra persona presente in azienda. In quanto addetto alle Risorse Umane, però, ha anche una responsabilità in più: aiutare gli altri collaboratori a fare lo stesso, fornendogli tutti i consigli e gli strumenti necessari per avviare il proprio processo di self empowerment.
In questi ultimi due anni avrai già sentito diverse volte che tante tendenze già presenti prima della pandemia sono state accelerate dal periodo di emergenza: nuovi modi di lavorare, di spostarsi, di comunicare. Tra tutti questi ambiti c’è anche quello del self empowerment, che ha cominciato a essere sempre più rilevante in questo periodo di grandi cambiamenti organizzativi.
Al giorno d’oggi, infatti, è diventato fondamentale apprendere nuove competenze e nuove modalità di lavorare, di collaborare e di gestire le persone, e soprattutto allenarsi all’autoapprendimento. Almeno una volta tutti noi ci siamo posti domande di questo tipo: cosa devo fare per farmi trovare preparato per il futuro? Quali competenze serviranno per ottenere il lavoro che sto cercando? Come faccio ad aggiornarmi per il mio ruolo? È qui che entra in gioco il concetto di self empowerment.
Una tematica di estrema attualità, in un momento storico in cui la trasformazione digitale è diventata una priorità strategica per le organizzazioni, come sicuramente ben saprai: l'introduzione di sistemi di formazione capaci di accompagnare le persone lungo tutto il corso della loro carriera è diventato sempre più un fattore realmente decisivo. La possibilità di apprendimento continuo può giocare un ruolo decisivo sia per le singole persone, nella loro valutazione di un’offerta di lavoro, sia per le aziende, nelle loro scelte strategiche.
La prima cosa da fare è quindi delineare la competenza di self empowerment nei suoi tratti principali, ovvero quei comportamenti che ti consentiranno di avviare un percorso fruttuoso.
Si sta rivelando necessario ripensare le forme organizzative diffuse nelle nostre aziende, anche a livello gerarchico.
In che modo? Leggi l'e-book:
Secondo la Classifica Fortune, che dal 1955 raggruppa ogni anno le 500 aziende americane più grandi in termini di ricavi, il tasso di sopravvivenza delle imprese in termini di longevità è molto basso: mediamente, solo il 12% delle imprese sopravvive al cambiamento. Decisamente poche.
Un dato che ci racconta l’importanza di sapersi adattare alle trasformazioni attraverso pratiche efficaci di change management, ovvero la gestione del cambiamento in azienda per quanto riguarda gli obiettivi, i valori, i processi o le tecnologie. Allora, ti dirai, forse non sono solo le persone a dover avviare un percorso di self empowerment per migliorare continuamente e restare al passo coi tempi, ma devono fare lo stesso anche le aziende. E infatti è proprio così.
Un’organizzazione empowered è vantaggiosa per tutta la sua forza lavoro, perché offre le competenze, le opportunità e la motivazione per raggiungere gli obiettivi. Di conseguenza, ne beneficiano anche i manager che contribuiscono con soddisfazione al successo dell’intera azienda.
Quando il modello di empowerment si concentra sul duplice contesto individuale e organizzativo, è una vittoria per tutti: vincono i lavoratori che possono crescere, sviluppare le proprie competenze e realizzare risultati importanti che li gratificano, e vince l’impresa che raggiunge i propri obiettivi di business, forte anche di un benessere organizzativo del quale beneficerà a sua volta. È proprio questo legame di responsabilità reciproca che rafforza i livelli di impegno da entrambe le parti e garantisce una gestione del cambiamento sostenibile e di successo nel lungo periodo.
Ecco alcuni benefici del Self Empowerment per un’azienda:
Se andiamo a guardare più da vicino quel famoso 12% di imprese sopravvissute al cambiamento, non possiamo non notare alcuni evidenti tratti in comune che hanno sempre favorito un’evoluzione armoniosa del business a prescindere dalle evoluzioni in atto:
Consapevolezza, capacità, curiosità. Ti suona familiare? Se ci fai caso, sono le stesse qualità che vengono richieste all’individuo che intraprende un percorso di self empowerment, e che ora ritroviamo parlando delle aziende. Se guardiamo in generale le caratteristiche di tutte quelle aziende capaci di affrontare il cambiamento, troveremmo dei tratti comuni che, a partire da questi fattori necessari, si manifestano in comportamenti pensati per rinnovare periodicamente l’organizzazione, di generazione in generazione, utilizzando forze fresche per trasformare prodotti, processi e modelli di business: proprio quando questi comportamenti cessano di essere messi in pratica con costanza si rischia di perdere la strada verso la longevità.
Come abbiamo già detto parlando delle competenze degli individui, oggi questo ragionamento è sempre più necessario anche per le aziende alla luce dei rapidi cambiamenti del contesto competitivo, in cui la leva tecnologica è utilizzata in modo pervasivo per stravolgere qualsiasi settore dell’economia, mentre molti top manager faticano a rimanere al passo coi tempi e a comprendere le implicazioni per le imprese in cui lavorano.
Una delle prime attenzioni da avere, è stimolare la capacità di delega. Vi si può arrivare procedendo per gradi:
Questo livello di autonomia è essenziale in contesti liquidi, come la modalità smartworking e le organizzazioni agili. Con un approccio individuale di self empowerment, lo sviluppo del singolo e di conseguenza dell’organizzazione sono fondati sulla creazione di un clima aziendale che valorizzi le competenze di ognuno, ne sostenga la crescita e lo sviluppo di autostima e il senso di responsabilità. Anche in contesti di cambiamenti organizzativi frequenti, infatti, l’attenzione alla valorizzazione del talento diventa strategica, perché accresce i livelli di retention e di motivazione del personale.
L’empowerment organizzativo nelle aziende si può quindi declinare in almeno due pratiche:
Ovviamente lo sviluppo di una cultura aziendale empowered ed empowering richiede tempo e costanza nelle attività che includono:
Finora abbiamo parlato di self empowerment e di empowerment aziendale. Per completare il quadro sul tema, occorre però introdurre un concetto che indica sì un atteggiamento proattivo verso il cambiamento, ma in un senso differente. Si tratta del cosiddetto job crafting. Il termine è stato coniato nel 2001 da un gruppo di psicologi in America. Il concetto in sé è semplice: si tratta infatti di modellare (craft) il proprio lavoro adattandolo a nuove esigenze o gusti personali.
Se, ad esempio, il proprio lavoro è fatto di attività ripetitive e meccaniche a cui sembra di non poter sfuggire, non ci si deve disperare. Contrariamente a quanto possa sembrare, quasi tutti i compiti possono essere rimodellati. A volte il cambiamento riguarda semplicemente l’atteggiamento mentale che si ha nei confronti del proprio lavoro.
Facendo parte di un team HR puoi andare in soccorso di chi si sente così “imbrigliato” e svolgere quindi un ruolo decisivo in questo processo. Chiaramente è importante che si pensi a cosa si può fare per supportare un’iniziativa di job crafting e fino a che punto si possa consentire alle persone di sperimentare e sfruttare i loro punti di forza.
Alcune azioni che puoi compiere sono:
A questo proposito, occorre fare un’ulteriore distinzione, quella tra job crafting e job design. Tra i due concetti vi è senz’altro una somiglianza, perché anche il job design include il concetto di ridefinizione dei compiti lavorativi, ma vi è una differenza sostanziale: il job design è visto come un processo organizzativo in cui la persona è per lo più passiva, ad esempio attraverso una ridefinizione dei compiti lavorativi proposta dal datore di lavoro. Al contrario, il job crafting mette la responsabilità del cambiamento nelle mani della persona stessa che lo richiede.
Pensiamo al caso di un commesso o di una commessa che non ama mettere in ordine gli abiti dopo che sono stati provati dalla clientela, e decide quindi di trovare un nuovo metodo per metterli a posto più in fretta, guadagnando tempo per poi dedicarsi ad altro.
Oppure pensiamo a un parrucchiere o una parrucchiera che preferisce dedicarsi al taglio, o a qualcuno che lavora in un’azienda che però preferisce lavorare a contatto con il pubblico anziché dedicarsi a mansioni burocratiche.
Ognuna di queste figure può provare a rimodellare i compiti da svolgere, distribuendoli diversamente all’interno della giornata o trovando nuove tecniche che li velocizzino in modo da avere più tempo per fare altro. Questo è uno dei tre aspetti fondamentali del job crafting, che riguarda appunto le incombenze lavorative e il modo di affrontarle.
Un altro aspetto per personalizzare il proprio lavoro e renderlo più piacevole è quello delle relazioni con i colleghi e le colleghe. Lo sappiamo, i mezzi tecnologici per mettersi in contatto con le persone non mancano, e questo va tutto a vantaggio della possibilità di connettersi e “fare rete” con chi si lavora meglio. Oppure pensiamo a quelle categorie di lavoratori che hanno a che fare indirettamente con il pubblico, come la forza lavoro addetta alle pulizie di un ospedale o di una scuola: anche qualora il proprio impiego non preveda un contatto diretto con le persone, la possibilità di svilupparlo è un importante stimolo per aumentare la motivazione.
Vi è infine la terza dimensione del job crafting, quella cognitiva. Il modo di guardare e interpretare le mansioni giornaliere è anche una questione di percezione: sebbene i fatti rimangano gli stessi, a volte si rischia di perdere di vista l’obiettivo e di guardare solo il dito invece della luna. Facciamo un esempio lontano dal mondo aziendale ma che può essere tranquillamente paragonabile: se un operatore ecologico si limita a guardare il dito, il suo lavoro consiste solo nel portare via i rifiuti; ma guardando all’orizzonte dei suoi obiettivi, di fatto contribuisce a rendere più pulita e bella la propria città.
Seguendo uno o più di questi comportamenti è possibile quindi ridefinire, reinventare e trarre maggiore significato dal proprio lavoro. Si può iniziare anche solo con alcuni piccoli e semplici esercizi:
Diciamolo ancora una volta con un esempio. Prendiamo il caso di un cuoco che non vuole sentirsi semplicemente tale ma si vede, semmai, come un vero e proprio artista. Prima del job crafting, il lavoro di questo cuoco consisteva (o almeno questa era la sua percezione) in alcuni compiti tra loro separati: ordinare il cibo, preparare i piatti, tenere gli spazi in ordine, coordinare il lavoro in cucina, preparare dei piatti di qualità in un certo tempo e osservando le norme igieniche. Dopo il job crafting, in cui sono stati applicati i comportamenti di cui abbiamo parlato prima, qualcosa sarà decisamente cambiato:
Questo tipo di lavoro su sé stessi può essere fatto da tutti, in ogni ambito. E i benefici che porta, come sempre, partono dalla dimensione individuale per arrivare a quella del gruppo con benefici per l’intera organizzazione, perché il benessere delle persone ha sempre un ritorno positivo su tutta l’azienda in cui operano.
Si sta rivelando necessario ripensare le forme organizzative diffuse nelle nostre aziende, anche a livello gerarchico.
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