Self Empowerment: come aiutare la crescita del personale

    Autoconsapevolezza, curiosità e accettazione della vulnerabilità. Pensi di possedere queste qualità? Bene! Perché sono questi i punti chiave del Self Empowerment da rispettare per crescere sia a livello personale che lavorativo.

    Ma capiamo a fondo di cosa si tratta e in che modo può essere davvero utile sia per le aziende che per i singoli lavoratori.

     

    1. Facciamo chiarezza: cos’è davvero il Self Empowerment?
    2. Il Self Empowerment è vitale anche per le aziende
    3. Job crafting, ovvero come rimodellare il lavoro adattandolo alle proprie esigenze

    1. Facciamo chiarezza: cos’è il Self Empowerment?

    L’espressione “self empowerment”, come anche la sola parola “empowerment”, è ormai usata (e abusata) in tanti ambiti differenti. Ma di cosa si tratta di preciso? Proviamo a dare una definizione in poche parole: il self empowerment è il processo di ampliamento delle capacità dei lavoratori che possono mettere a disposizione della propria azienda. Significa quindi essere consapevoli delle proprie potenzialità e avere fiducia in esse, operando scelte consapevoli, assumendosi responsabilità e fissandosi obiettivi realistici per realizzare il proprio potenziale, con beneficio per sé stessi e per l’intera organizzazione.

    Bada bene, qui non si parla solo di fare carriera, ma di migliorare il rapporto con il proprio lavoro, aspetto forse ancora più importante: la vita lavorativa occupa una parte consistente della nostra vita e quindi è ovviamente importante fare un lavoro che ci piace e ci soddisfa. E in molti casi non significa che dobbiamo cambiare o metterci in proprio, ma che potrebbe essere utile ripensare al proprio modo di lavorare, alla propria azienda, a cosa vorremmo davvero. È un po’ come cercare una via migliore, sapendo che c’è ma non ancora bene dove: il self empowerment ci aiuta a trovarla.

    Ognuno di noi ha dei punti di forza e di debolezza e svariate abilità che ci consentono di affrontare le situazioni quotidiane, ma spesso può capitare che non ne siamo consapevoli o che sottovalutiamo le nostre vere capacità. Il self empowerment permette di trasformarsi da soggetti passivi a soggetti attivi del cambiamento, prefissandosi obiettivi a breve e lungo termine e agendo attraverso l’autoapprendimento per sviluppare le nuove competenze indispensabili a rimanere al passo coi tempi e affrontare nuove sfide.

    Chi lavora in ambito HR può avviare questo percorso per migliorare le proprie capacità ed essere sempre in grado di gestire gli ultimi trend che caratterizza il suo lavoro, proprio come ogni altra persona presente in azienda. In quanto addetto alle Risorse Umane, però, ha anche una responsabilità in più: aiutare gli altri collaboratori a fare lo stesso, fornendogli tutti i consigli e gli strumenti necessari per avviare il proprio processo di self empowerment.

    In questi ultimi due anni avrai già sentito diverse volte che tante tendenze già presenti prima della pandemia sono state accelerate dal periodo di emergenza: nuovi modi di lavorare, di spostarsi, di comunicare. Tra tutti questi ambiti c’è anche quello del self empowerment, che ha cominciato a essere sempre più rilevante in questo periodo di grandi cambiamenti organizzativi

    Al giorno d’oggi, infatti, è diventato fondamentale apprendere nuove competenze e nuove modalità di lavorare, di collaborare e di gestire le persone, e soprattutto allenarsi all’autoapprendimento. Almeno una volta tutti noi ci siamo posti domande di questo tipo: cosa devo fare per farmi trovare preparato per il futuro? Quali competenze serviranno per ottenere il lavoro che sto cercando? Come faccio ad aggiornarmi per il mio ruolo? È qui che entra in gioco il concetto di self empowerment.

    Una tematica di estrema attualità, in un momento storico in cui la trasformazione digitale è diventata una priorità strategica per le organizzazioni, come sicuramente ben saprai: l'introduzione di sistemi di formazione capaci di accompagnare le persone lungo tutto il corso della loro carriera è diventato sempre più un fattore realmente decisivo. La possibilità di apprendimento continuo può giocare un ruolo decisivo sia per le singole persone, nella loro valutazione di un’offerta di lavoro, sia per le aziende, nelle loro scelte strategiche.

    La prima cosa da fare è quindi delineare la competenza di self empowerment nei suoi tratti principali, ovvero quei comportamenti che ti consentiranno di avviare un percorso fruttuoso. 

    1. Innanzitutto l’autoconsapevolezza, che implica la capacità di chiedere feedback per rendersi conto di quali siano i reali limiti personali in termini di competenze. Il primo passo è quindi comprendere i propri punti di forza e al contempo i punti di debolezza, per individuare gli elementi su cui puntare e quelli invece su cui bisogna lavorare. 
    2. Il secondo comportamento è la curiosità, quel bisogno di spiegazioni e approfondimenti che porta a pensare e a provare qualcosa fino a quando non ci si riesce. L’azienda deve sottolineare l’importanza di un mindset orientato all’apprendimento e consentire alla propria forza lavoro di sperimentare, di mettersi alla prova in contesti diversi, di prendere delle specializzazioni. La curiosità può essere stimolata anche creando dei gruppi di lavoro eterogenei e rendendo più facile lo scambio e la conoscenza tra persone che fanno lavori diversi, ad esempio con un layout degli uffici che favorisca le interazioni, creando occasioni di collaborazione con membri di altri team e aprendo la possibilità di lavorare per un periodo all’estero.
    3. Il terzo comportamento è l’accettazione della vulnerabilità, ovvero il saper convivere con il senso di inadeguatezza tipico di chi è alle prime armi o magari ha appena iniziato questo tipo di percorso. Anche in questo caso si tratta da un lato di una capacità individuale da allenare, dall’altro di una responsabilità che l’azienda e il team di lavoro possono assumersi per agevolare il compito della persona. La comunicazione ha, ancora una volta, un valore fondamentale: l’ambiente di lavoro deve far sentire a proprio agio i colleghi all’inizio di un percorso, facendo capire loro che non ci si attendono risultati immediati, che si è consapevoli della necessità di ambientamento, fornendo aiuto quando possibile e misurando con cura i feedback sia positivi che negativi.

     


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    2. Il Self Empowerment è vitale anche per le aziende

    Secondo la Classifica Fortune, che dal 1955 raggruppa ogni anno le 500 aziende americane più grandi in termini di ricavi, il tasso di sopravvivenza delle imprese in termini di longevità è molto basso: mediamente, solo il 12% delle imprese sopravvive al cambiamento. Decisamente poche.

    Un dato che ci racconta l’importanza di sapersi adattare alle trasformazioni attraverso pratiche efficaci di change management, ovvero la gestione del cambiamento in azienda per quanto riguarda gli obiettivi, i valori, i processi o le tecnologie. Allora, ti dirai, forse non sono solo le persone a dover avviare un percorso di self empowerment per migliorare continuamente e restare al passo coi tempi, ma devono fare lo stesso anche le aziende. E infatti è proprio così.

    Un’organizzazione empowered è vantaggiosa per tutta la sua forza lavoro, perché offre le competenze, le opportunità e la motivazione per raggiungere gli obiettivi. Di conseguenza, ne beneficiano anche i manager che contribuiscono con soddisfazione al successo dell’intera azienda.

    Quando il modello di empowerment si concentra sul duplice contesto individuale e organizzativo, è una vittoria per tutti: vincono i lavoratori che possono crescere, sviluppare le proprie competenze e realizzare risultati importanti che li gratificano, e vince l’impresa che raggiunge i propri obiettivi di business, forte anche di un benessere organizzativo del quale beneficerà a sua volta. È proprio questo legame di responsabilità reciproca che rafforza i livelli di impegno da entrambe le parti e garantisce una gestione del cambiamento sostenibile e di successo nel lungo periodo.

    Ecco alcuni benefici del Self Empowerment per un’azienda:

    • collaboratori fidelizzati e motivati;
    • attenzione alle procedure e rispetto delle best practice;
    • incremento della produttività;
    • maggiore qualità dei risultati delle attività;
    • comunicazione interna ottimizzata;
    • benessere organizzativo;
    • maggiori opportunità di sviluppo personale dei lavoratori;
    • apertura al cambiamento;
    • calo del turnover;
    • efficienza operativa;
    • capacità di attrarre nuovi talenti;
    • retention dei clienti.

    Se andiamo a guardare più da vicino quel famoso 12% di imprese sopravvissute al cambiamento, non possiamo non notare alcuni evidenti tratti in comune che hanno sempre favorito un’evoluzione armoniosa del business a prescindere dalle evoluzioni in atto: 

    • la forte consapevolezza del ruolo dell’impresa nel mondo e nelle comunità in cui è inserita;
    • la presa di coscienza di ciò che non funziona all’interno della propria organizzazione e che necessita di un cambiamento;
    • la capacità di dare spazio alle persone e a nuove idee;
    • un utilizzo delle risorse finanziarie orientato agli investimenti;
    • la curiosità verso nuovi mercati e le possibilità offerte dalle nuove tecnologie;
    • il coraggio di saper cambiare, modificando anche il proprio core business.

    Consapevolezza, capacità, curiosità. Ti suona familiare? Se ci fai caso, sono le stesse qualità che vengono richieste all’individuo che intraprende un percorso di self empowerment, e che ora ritroviamo parlando delle aziende. Se guardiamo in generale le caratteristiche di tutte quelle aziende capaci di affrontare il cambiamento, troveremmo dei tratti comuni che, a partire da questi fattori necessari, si manifestano in comportamenti pensati per rinnovare periodicamente l’organizzazione, di generazione in generazione, utilizzando forze fresche per trasformare prodotti, processi e modelli di business: proprio quando questi comportamenti cessano di essere messi in pratica con costanza si rischia di perdere la strada verso la longevità.

    Come abbiamo già detto parlando delle competenze degli individui, oggi questo ragionamento è sempre più necessario anche per le aziende alla luce dei rapidi cambiamenti del contesto competitivo, in cui la leva tecnologica è utilizzata in modo pervasivo per stravolgere qualsiasi settore dell’economia, mentre molti top manager faticano a rimanere al passo coi tempi e a comprendere le implicazioni per le imprese in cui lavorano.

    Una delle prime attenzioni da avere, è stimolare la capacità di delega. Vi si può arrivare procedendo per gradi:

    1. All’inizio del processo, il manager continua a prendere le decisioni per tutto il gruppo di lavoro ma lo fa dopo avere ascoltato i suggerimenti e analizzato le informazioni fornite dai colleghi e dalle colleghe.
    2. In una fase intermedia, le sfide da superare e le attività da intraprendere per raggiungere gli obiettivi sono discusse da tutti insieme al leader, che ha comunque l’ultima parola sulle decisioni da prendere. Il personale nota quindi di avere un’influenza sulle scelte del management e si sente incoraggiato nel pensiero creativo e nelle innovazioni da proporre.
    3. Infine, può venire introdotto lo strumento di delega e il gruppo di lavoro diviene totalmente autonomo nelle decisioni che riguardano iniziative e attività da intraprendere per raggiungere gli obiettivi: è così che il team arriva a dirigersi da solo e ognuno si assume la responsabilità rispetto al proprio operato.

    Questo livello di autonomia è essenziale in contesti liquidi, come la modalità smartworking e le organizzazioni agili. Con un approccio individuale di self empowerment, lo sviluppo del singolo e di conseguenza dell’organizzazione sono fondati sulla creazione di un clima aziendale che valorizzi le competenze di ognuno, ne sostenga la crescita e lo sviluppo di autostima e il senso di responsabilità. Anche in contesti di cambiamenti organizzativi frequenti, infatti, l’attenzione alla valorizzazione del talento diventa strategica, perché accresce i livelli di retention e di motivazione del personale.

    L’empowerment organizzativo nelle aziende si può quindi declinare in almeno due pratiche:

    • sviluppo della leadership empowering, dove i manager sono anche coach capaci di stimolare la crescita personale del proprio team accrescendone fiducia, spirito di iniziativa e responsabilità. Va da sé che i manager in questione devono possedere un’elevata intelligenza emotiva e sociale, unita a buone competenze relazionali;
    • creazione di gruppi di lavoro empowered: team autonomi all'interno dei quali i singoli aumentano il loro livello di interdipendenza e di responsabilità. Il management, in questi team, ha un ruolo più di facilitatore che di guida e di direzione, supportando il gruppo nella piena espressione del proprio potenziale.

    Ovviamente lo sviluppo di una cultura aziendale empowered ed empowering richiede tempo e costanza nelle attività che includono:

    • la valorizzazione del contributo di tutta la forza lavoro;
    • l’aumento dei livelli di responsabilità individuale;
    • lo sviluppo dello strumento di delega;
    • l’opportunità di lavorare in autonomia ai progetti;
    • la libertà di iniziativa;
    • la diffusione di una cultura basata sulla collaborazione reciproca;
    • la proposta di un percorso formativo continuo;
    • il feedback costante tra manager e membri del gruppo di lavoro;
    • la gratificazione e il riconoscimento dei successi.

     

    3. Job crafting, ovvero come rimodellare il lavoro adattandolo alle proprie esigenze

    Finora abbiamo parlato di self empowerment e di empowerment aziendale. Per completare il quadro sul tema, occorre però introdurre un concetto che indica sì un atteggiamento proattivo verso il cambiamento, ma in un senso differente. Si tratta del cosiddetto job crafting. Il termine è stato coniato nel 2001 da un gruppo di psicologi in America. Il concetto in sé è semplice: si tratta infatti di modellare (craft) il proprio lavoro adattandolo a nuove esigenze o gusti personali.

    Se, ad esempio, il proprio lavoro è fatto di attività ripetitive e meccaniche a cui sembra di non poter sfuggire, non ci si deve disperare. Contrariamente a quanto possa sembrare, quasi tutti i compiti possono essere rimodellati. A volte il cambiamento riguarda semplicemente l’atteggiamento mentale che si ha nei confronti del proprio lavoro.

    Facendo parte di un team HR puoi andare in soccorso di chi si sente così “imbrigliato” e svolgere quindi un ruolo decisivo in questo processo. Chiaramente è importante che si pensi a cosa si può fare per supportare un’iniziativa di job crafting e fino a che punto si possa consentire alle persone di sperimentare e sfruttare i loro punti di forza. 

    Alcune azioni che puoi compiere sono:

    • creare opportunità per il personale in modo ponderato e positivo;
    • ridiscutere le loro mansioni e obiettivi attraverso momenti di confronto e revisione;
    • dare vita a un momento espressamente dedicato al job crafting, ovvero una riunione del team di lavoro per parlare degli elementi che piacciono o meno del proprio lavoro. 

    A questo proposito, occorre fare un’ulteriore distinzione, quella tra job crafting e job design. Tra i due concetti vi è senz’altro una somiglianza, perché anche il job design include il concetto di ridefinizione dei compiti lavorativi, ma vi è una differenza sostanziale: il job design è visto come un processo organizzativo in cui la persona è per lo più passiva, ad esempio attraverso una ridefinizione dei compiti lavorativi proposta dal datore di lavoro. Al contrario, il job crafting mette la responsabilità del cambiamento nelle mani della persona stessa che lo richiede

    Pensiamo al caso di un commesso o di una commessa che non ama mettere in ordine gli abiti dopo che sono stati provati dalla clientela, e decide quindi di trovare un nuovo metodo per metterli a posto più in fretta, guadagnando tempo per poi dedicarsi ad altro. 

    Oppure pensiamo a un parrucchiere o una parrucchiera che preferisce dedicarsi al taglio, o a qualcuno che lavora in un’azienda che però preferisce lavorare a contatto con il pubblico anziché dedicarsi a mansioni burocratiche. 

    Ognuna di queste figure può provare a rimodellare i compiti da svolgere, distribuendoli diversamente all’interno della giornata o trovando nuove tecniche che li velocizzino in modo da avere più tempo per fare altro. Questo è uno dei tre aspetti fondamentali del job crafting, che riguarda appunto le incombenze lavorative e il modo di affrontarle

    Un altro aspetto per personalizzare il proprio lavoro e renderlo più piacevole è quello delle relazioni con i colleghi e le colleghe. Lo sappiamo, i mezzi tecnologici per mettersi in contatto con le persone non mancano, e questo va tutto a vantaggio della possibilità di connettersi e “fare rete” con chi si lavora meglio. Oppure pensiamo a quelle categorie di lavoratori che hanno a che fare indirettamente con il pubblico, come la forza lavoro addetta alle pulizie di un ospedale o di una scuola: anche qualora il proprio impiego non preveda un contatto diretto con le persone, la possibilità di svilupparlo è un importante stimolo per aumentare la motivazione.

    Vi è infine la terza dimensione del job crafting, quella cognitiva. Il modo di guardare e interpretare le mansioni giornaliere è anche una questione di percezione: sebbene i fatti rimangano gli stessi, a volte si rischia di perdere di vista l’obiettivo e di guardare solo il dito invece della luna. Facciamo un esempio lontano dal mondo aziendale ma che può essere tranquillamente paragonabile: se un operatore ecologico si limita a guardare il dito, il suo lavoro consiste solo nel portare via i rifiuti; ma guardando all’orizzonte dei suoi obiettivi, di fatto contribuisce a rendere più pulita e bella la propria città.

    Seguendo uno o più di questi comportamenti è possibile quindi ridefinire, reinventare e trarre maggiore significato dal proprio lavoro. Si può iniziare anche solo con alcuni piccoli e semplici esercizi:

    • come primo passo, prendi carta e penna e realizza una lista di tutte le tue mansioni che svolgi quotidianamente a lavoro, e quanto tempo ed energia richiedono;
    • il passaggio successivo consiste nel raggruppare le attività in due blocchi principali, di cui il più grande è destinato a quelle che occupano la maggior parte del tuo impegno, attenzione e tempo, mentre quello più piccolo è riservato alle attività meno dispendiose;
    • una volta stabilito come vengono distribuite le tue risorse durante la giornata lavorativa, crea un altro elenco indicando come dovrebbe essere il tuo ruolo ideale. Prova a pensare ai tuoi punti di forza, alle tue passioni e alle tue motivazioni per creare il “nuovo lavoro” più affine alla tua personalità e ai tuoi desideri, proprio come ci siamo detti quando abbiamo parlato dei percorsi di self empowerment. In questo modo, prova ad attribuire priorità diverse alle attività che hai da svolgere;
    • come ultimo passaggio prova a creare un piano d’azione e definire i tuoi obiettivi a breve e lungo termine per fare carriera o migliorare la percezione del tuo lavoro.

    Diciamolo ancora una volta con un esempio. Prendiamo il caso di un cuoco che non vuole sentirsi semplicemente tale ma si vede, semmai, come un vero e proprio artista. Prima del job crafting, il lavoro di questo cuoco consisteva (o almeno questa era la sua percezione) in alcuni compiti tra loro separati: ordinare il cibo, preparare i piatti, tenere gli spazi in ordine, coordinare il lavoro in cucina, preparare dei piatti di qualità in un certo tempo e osservando le norme igieniche. Dopo il job crafting, in cui sono stati applicati i comportamenti di cui abbiamo parlato prima, qualcosa sarà decisamente cambiato:

    • la prospettiva del cuoco è mutata. Il cibo è diventato “creazione culinaria” apportando tutto un nuovo significato all’attività.  La passione del cuoco sta nell’essere un “artigiano del cibo”;
    • in questa nuova visione, tutti i compiti che svolge sono significativamente interconnessi tra di loro e rispetto a un contesto più ampio. Il cibo non è più solo cibo ma un modo per esprimere la propria creatività e di conseguenza il cuoco si è dato compiti ulteriori, espandendo i confini del proprio ruolo;
    • i clienti vengono percepiti come persone che possono dare un feedback, in modo che il cuoco possa migliorarsi e accrescere le proprie skill. Allo stesso tempo, ridefinire le sue interazioni contribuisce a migliorare i rapporti con i suoi collaboratori, che diventano davvero collaborativi.

    Questo tipo di lavoro su sé stessi può essere fatto da tutti, in ogni ambito. E i benefici che porta, come sempre, partono dalla dimensione individuale per arrivare a quella del gruppo con benefici per l’intera organizzazione, perché il benessere delle persone ha sempre un ritorno positivo su tutta l’azienda in cui operano. 

     


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