“Quando i professionisti – a tutti i livelli – toccano con mano le potenzialità dell’intelligenza artificiale sul posto di lavoro, passano dalla paura all’entusiasmo, poiché intravedono la possibilità di liberarsi da molti dei loro compiti di routine e di disporre di più tempo per risolvere i problemi aziendali più cruciali.”
Con queste parole Jeanne Meister, socio fondatore di Future Workplace, ha commentato i risultati emersi dalla seconda ricerca AI at Work, condotta in collaborazione con Oracle durante gli ultimi mesi del 2019. Tradotto in maniera più semplice: gli ultimi progressi nel campo dell'intelligenza artificiale (AI) e del machine learning si stanno rapidamente diffondendo nei modelli di business tradizionali.
L’AI sta scuotendo le dinamiche e le aspettative dei manager e dei dipendenti, grazie alla straordinaria capacità di raggiungere contemporaneamente due risultati considerati di solito diametralmente opposti:
- semplificare le mansioni ripetitive, lato dipendenti;
- ridurre i costi di lavoro, lato manager e imprenditori.
Per capire qualcosa di più di questa piccola grande rivoluzione, abbiamo chiesto a Claudio Alessandrini, COO di Arlati Ghislandi, di condividere con noi spunti di riflessione e esperienze legate al tema, non omettendo critiche e sfide che questo tipo di tecnologie potrà portare in ambito aziendale.
Negli ultimi mesi Alessandrini ha avuto occasione di essere capo progetto di molti progetti altamente tecnologici, tra cui l’implementazione dell`ERP per una multinazionale giapponese, lo sviluppo del primo progetto di business intelligence della stessa, lo sviluppo interno di un HRMS che collega anagrafiche, dati di performance, formazione e sviluppo, dati retributivi e benchmark di equità interna ed esterna.
Lavoratori contenti di avere “colleghi robot”
Ma prima di lasciar spazio alle esperienze sul campo, esaminiamo con attenzione quello che emerge dalla ricerca AI at Work, analisi qualitativa che può contare sui dati aggregati di più di 8.370 dipendenti, manager e responsabili Risorse Umane di oltre 10 Paesi, e da cui emerge come l’adozione dell’AI sul posto di lavoro sia in costante aumento. In particolare:
- il 50% dei lavoratori attualmente utilizza qualche forma di tecnologia AI nello svolgimento del proprio impiego, superando di parecchio il 32% del 2018.
- La maggioranza (65%) dei lavoratori è ottimista, entusiasta e grata di avere “colleghi robot”, e quasi un quarto riferisce di avere un rapporto molto positivo e gratificante con le tecnologie AI sul posto di lavoro.
- Gli uomini hanno una visione più positiva dell’AI (32% del campione totale) rispetto alle donne (23%).
- L’82% degli intervistati ritiene che i robot possano fare le cose meglio dei loro manager. In particolare, in questi campi: fornire informazioni imparziali (26%), rispettare i programmi di lavoro (34%), risolvere i problemi (29%) e gestire in maniera ottimale i budget (26%).
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Casi concreti nel settore HR: Sas e San Raffaele
Quali cambiamenti stanno quindi avvicinando le tecnologie di machine learning alla selezione e gestione del personale? Secondo Alessandrini, i campi d’azione riguardano 3 particolari punti:
- comunicare con maggiore attrattività alle nuove generazioni e ai nuovi talenti, semplificando i processi di selezione, induction e onboarding;
- la misurazione continua dell’engagement in azienda (meglio definito come Sentiment Analysis);
- rendere più efficienti i processi organizzativi e di staffing in realtà complesse, con attenzione alle comunicazioni intra o extra-aziendali, al worklife balance e allo smart working.
E proprio testando le esperienze sul campo possiamo capire quale sia la portata del cambiamento.
“Utilizzando l’intelligenza artificiale è oggi possibile (ad esempio) identificare, con alto tasso di precisione, stati di insoddisfazione che porterebbero all’uscita di risorse strategiche per l’azienda e di anticiparli ponendo in essere opportune azioni di retention”, ci ricorda il COO di Arlati Ghislandi.
Il caso Sas
L’esempio ideale sotto questo punto di vista è quello Sas, azienda che presenta un HRMS (Human Resource Management System) talmente evoluto da raggiungere un nuovo step nello sviluppo delle attività legate alle risorse umane: quello della predittività delle scelte. Infatti, utilizzando l’intelligenza artificiale su un enorme base dati (articolata in specifiche dimensioni come performance, conseguimenti, percorsi di carriera, partecipazione alla vita sociale) Director Sas è in grado di identificare con alto tasso di precisione stati di insoddisfazione che potrebbero portare all’uscita di risorse strategiche per l’azienda e così di anticipare queste problematiche mettendo in essere opportune azioni di retention.
Un sistema di proactive perfetto, guidato da un programma che sfrutta l’AI.
“In ambito HR l’applicazione dell’AI è potenzialmente molto estesa anche se nelle direzioni HR italiane non ancora molto diffusa: si va dalla previsione degli indici di turn-over alla creazione di percorsi formativi o di valutazione, fino alle prestazioni predittive in base alle caratteristiche del singolo dipendente. Quando HR, business e collaboratori toccano con mano quale sia il vantaggio di avere strumenti di AI, allora l’acceleratore è esponenziale: una serie di processi a basso valore aggiunto vengono velocizzati e tutta la parte di business analytics porta alla luce variabili nascoste che aiutano a prendere decisioni in maniera diversa.
Per quanto riguarda le competenze, c’è bisogno di abilità tutte umane. La capacità di avere pensiero critico sarà sempre più importante, perché occorrerà saper interpretare algoritmi, risultati e previsioni a seconda del contesto, ma anche saperli mettere in discussione. Serviranno abilità relazionali e flessibilità nell’adattarsi alle tecnologie. Sono tutte competenze non digitalizzabili, quindi ancor più ancora fondamentali.”. Racconta Elena Panzera, HR Director di Sas.
Il caso San Raffaele
Per quanto riguarda il cosiddetto “staffing”, meritevole di menzione è invece l’esperienza dell’Ospedale San Raffaele di Milano, un top player nell’ambiente sanitario. “Avevano l’esigenza di dimensionare i turni - ci spiega sempre Alessandrini - in funzione delle professionalità richieste in ambito infermieristico (brevetti, attestati, certificati etc.), estremamente variabili ed in funzione delle campagne di inbound ed outbound condotte. Gli onerosi processi di elaborazione richiedevano tante ore di lavoro e raggiungevano tassi di efficienza nell’ordine del 65%, generando malumori per la discrezionalità dei processi di selezione”.
Ma la digitalizzazione, con la tipizzazione delle caratteristiche richieste incrociata con le disponibilità degli addetti in servizio, ha consentito di effettuare le operazioni in pochi secondi, eliminare la discrezionalità e raggiungere tassi di efficienza superiori al 99% nella corretta allocazione delle risorse.
Questo il commento in merito di Antonio Limardi, Direttore del Personale del San Raffaele:
“Siamo particolarmente soddisfatti dei risultati di questa implementazione, che ci ha garantito maggiore efficienza, minore discrezionalità e migliore servizio al cliente. Uno dei focus fondamentali dei nostri progetti di digitalizzazione è infatti quello di liberare risorse impiegate in lavori a basso valore aggiunto, tuttavia mandatori, per rifocalizzarle su aree critiche al momento non adeguatamente presidiate in supporto del business. In un contesto come il nostro sempre più difficile e competitivo le risorse umane devono sapere usare la tecnologia per diventare un vero abilitatore del cambiamento ed aiutare a leggere informazioni nascoste in basi dati sempre più ricche e complesse da gestire”.
HR e AI: i punti critici
L’utilizzo massivo di processi di AI porta però con sé anche pesanti sfide di carattere legale, etico, organizzativo. L’aumento esponenziale del numero di informazioni che rimangono tracciate, la possibilità di incrociare basi dati apparentemente disconnesse, di entrare addirittura nel contenuto delle nostre comunicazioni per indagare lo stato d’animo e il non detto, presentano non solo grandi opportunità, ma anche qualche lato oscuro.
Per l’esperienza di Alessandrini, ad esempio, alcuni punti critici a cui i processi di digitalizzazione e automazione esporranno le aziende in futuro possono essere:
- un extra sforzo lavorativo, per risultati e benefici non così immediati e ottenuti nel lungo periodo;
- un’errata leadership nella loro implementazione, lasciata spesso esclusivamente nelle mani dell’IT. Ma così come i performance management non sono processi HR ma progetti gestiti dall’HR, così i progetti di digitalizzazione non sono progetti IT bensi progetti gestiti dall’IT. Altrimenti detto: il team di lavoro e la capacità di condivisione con le giuste professionalità, rimangono prerequisiti fondamentali al successo;
- al di là delle generiche affermazioni sulla portata innovativa delle aziende “data driven”, spesso nel mondo imprenditoriale ci si scontra con sacche di resistenza e barriere culturali, a cui sono legati sentimenti come il timore di dover acquisire nuove conoscenze per essere al passo con i tempi. Insomma, la discrezionalità è “potere” e non sempre le persone sono disposte a rinunciarvi;
- particolarmente in contesti multinazionali dove i progetti vengono sviluppati all’estero presso la casa madre o presso le sedi dei vari dipartimenti su scala globale, bisogna sforzarsi di far partecipare ogni singola parte alla fase di definizione delle specifiche di progetto, prima che questo si trasformi in un semplice deployment di un prodotto finito, che al massimo avrà necessità di rispettare le normative locali;
- l’attenzione sui progetti AI in ambito Risorse Umane è legata alle aspettative. La statistica è scienza esatta solo sui grandissimi numeri ed i numeri delle risorse umane quasi mai sono grandi o esatti.
In conclusione, l’Intelligenza Artificiale, così come la sua applicazione nel mondo delle risorse umane, non fornisce risposte esatte ma spunti che consentiranno di concentrare gli sforzi di un sempre più specializzato dipartimento HR su aspetti critici, meritevoli di attenzione, altrimenti invisibili.
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