Consultancy ICT & Digital: le parole di un esperto del settore

    Corrado Cappai, Senior IT Architect e Consultant per il World Food Programme, ha collaborato con Reverse come scout nell’ambito del settore Consultancy ICT/Digital a supporto delle ricerche di profili come business analyst, project manager, IT architect e product owner.

    A lui abbiamo chiesto una overview su come si sta muovendo il mercato del lavoro nell’ambito della consulenza ICT: sfruttando la sua trentennale esperienza nel campo, che gli permette di orientarsi in un settore dalle competenze verticali e stratificate, abbiamo a disposizione una serie di riflessioni maturate da una prospettiva privilegiata.

    Corrado, può farci una panoramica su come il mondo del lavoro si sta muovendo in questo settore?

    Rispetto al passato, le specializzazioni in ambito IT sono cambiate molto. Fino a qualche tempo fa la competenza verticale di una persona poteva essere facilmente sfruttata, in seguito, per fare carriera anche “orizzontalmente”. Ovvero, andando a ricoprire posizioni a essa collegate, ma non necessariamente in modo diretto.
    Oggi, invece gli esperti di tecnologie IT hanno ruoli, competenze ed esperienza ben definiti. La loro carriera si sviluppa, nella maggior parte dei casi, “verticalmente”.

    Esistono poi nuovi ruoli e, soprattutto, nuove definizioni dei ruoli stessi che rendono il mercato del lavoro più complesso: è più difficile districarsi tra le competenze necessarie a soddisfare i requisiti di una certa funzione o ruolo, ed è altrettanto complesso riuscire a posizionare una figura con competenze generiche e non specialistiche. La necessità di competenze specifiche e, come dicevo prima, davvero verticali è essenziale (nonostante l’offerta, in questo senso, sia in affanno).

    In questo contesto una delle figure professionali attualmente più ricercata è quella del product owner, ossia un professionista che riunisce in sé tanto le competenze del business analyst e dello specialista di prodotto, quindi tecniche, quanto quelle del project manager, in particolare per quanto riguarda la costruzione delle relazioni tra il business e l’IT.

     

    Pensando anche alla crisi pandemica, come ha influito l’attuale situazione internazionale sul mercato del lavoro in questo settore?

    L’influenza principale è stata quella della delocalizzazione: l’idea del lavoro remoto è stata sdoganata. La localizzazione, come fattore preminente nella valutazione di un’azienda, non è più così importante. Le organizzazioni possono avere a disposizione competenze specifiche a livello globale, senza doversi necessariamente sobbarcare i costi di trasferta o addirittura di trasferimento. Sembra quindi strano dirlo, ma, paradossalmente, la pandemia ha comportato per le aziende una contrazione dei costi di acquisizione dei talenti ed un ampliamento dell’offerta delle competenze alla quale fare riferimento.


    Il contraltare, però, è tutto sulle spalle delle persone: in un mercato globale, estremamente competitivo, la pretesa economica del consulente per forza di cose si abbassa. Tutto ruota intorno alle competenze: il curriculum deve essere forte e robusto non solo dal punto di vista delle esperienze, ma soprattutto da quello del know-how. Al netto del background professionale (i giovani ne hanno meno, ovviamente), i corsi di formazione e le certificazioni sono, in questo contesto, un reale valore aggiunto. Le modalità di sviluppo delle soluzioni seguono un approccio al miglioramento continuo. I rilasci sono frequenti e, molto spesso, quotidiani. Le abilità legate alla produttività, alle pratiche agili, al lavoro in ambienti dinamici, l’adattamento al cambiamento rapido sono competenze da spendere che valgono quanto e forse di più dell’esperienza maturata.

     

    Quali sono le difficoltà che incontra chi lavora in questo settore?

    Lato HR è sicuramente molto complesso identificare in maniera chiara e netta il ruolo e le funzioni di cui si ha bisogno. Siamo in un contesto in cui il mercato (quindi le aziende) potrebbe non essersi ancora allineato a questa pletora di nuovi ruoli e definizione delle competenze necessarie a garantirne il successo.

    La criticità è riuscire a individuare le competenze giuste e, quindi, la persona che le possiede: se gli schemi di individuazione delle skills che si utilizzano sono “classici” come è possibile pensare di cercare (e quindi trovare) il profilo più adatto alle (nuove) esigenze? Per questo motivo mi sento di dire che ciò che serve oggi - e ciò che è davvero efficace - non è più una ricerca per “ruoli”, ma una ricerca per “tag”. Ovvero, elementi che riportano alle funzioni svolte, più che ai ruoli.

    Dal punto di vista dei candidati, invece, ritengo che, rispetto al passato, ci sia una maggiore consapevolezza dei propri diritti e quindi delle richieste che si possono avanzare. I rapporti di lavoro ora vengono definiti anche su aspetti che vanno al di là dei singoli task e delle competenze e che sono invece più legati alle modalità e all’ambiente di lavoro. La difficoltà è quindi quella di riuscire a trovare un equilibrio tra quel che viene offerto e quel che è possibile chiedere “in più”.

    Infine esiste sicuramente una criticità a livello aziendale. Alcune organizzazioni attive nel mercato delle soluzioni IT sono estremamente decentrate: se fino a qualche tempo fa la localizzazione “debole” doveva essere necessariamente compensata dal prestigio, oggigiorno la localizzazione non è più un fattore così determinante per i candidati, i quali valutano invece positivamente benefit economici o collegati al worklife balance.

     

    Quali sono le caratteristiche del manager perfetto di questo settore?

    Deve sicuramente essere un leader, in grado di coinvolgere il proprio team e di rendere quindi le persone entusiaste del loro lavoro, dei propri colleghi e del manager stesso. In realtà, questa non è certo una novità di adesso, anzi: è una regola “semplice” che vale da sempre.

    In termini di competenze, invece, il manager è un professionista che proviene dal settore tecnico ed è, quindi, in grado di stabilire un dialogo tecnico e tecnologico con le persone che lavorano per lui: diversamente sarebbe difficile garantire un buon dialogo, una buona armonia di team e quindi la buona riuscita di un progetto.
    In questo “nuovo” mercato la leadership va a braccetto con la competenza tecnica: il manager perfetto è una persona assertiva, preparata e sempre aperta all’ascolto.

     

    Quali sono le condizioni che in questo settore scoraggiano un talento?

    Una delle fonti di maggiore frustrazione è sicuramente la mancanza di confronto con persone al proprio livello o superiori.
    Per lavorare in questo ambiente è infatti necessario sentirsi parte di un ingranaggio sfidante e nel quale è possibile rivestire un ruolo fondamentale. Potersi confrontare con un ambiente ricco e competente, che arricchisce ma pone anche le condizioni per arricchire gli altri è la conditio sine qua non perché tutto funzioni come si deve.

    La grande attenzione alle competenze si riflette infatti anche nella possibilità di poterle mettere a fattor comune: sentirsi un valore per il team e per l’azienda consente di performare (e far performare) quanto meglio possibile.

     


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    Alessandro Raguseo, CEO