Cosa non deve mancare in un Manager del fashion

    Il settore fashion negli ultimi 25 anni ha dovuto confrontarsi con veri e propri terremoti: la contrapposizione tra ago e filo e grandi catene, il passaggio dalle sfilate come eventi ristretti allo streaming in diretta mondiale, passando poi alla produzione forsennata di capi a basso costo fino ad arrivare ad una riscoperta dei materiali green da parte dei giovanissimi.

    In questo articolo, a partire da un focus sul settore, mettiamo la lente di ingrandimento sui principali cambiamenti che hanno interessato l’industry del fashion e le nuove figure che avranno il compito di cavalcarli senza esserne travolti.


    1. Focus sul settore
    2. Dalla copertina di Vogue al feed di Instagram, le opportunità per i nuovi Manager
    3. Le skills da ricercare
    4. Conclusioni

     

    1. Focus sul settore

    Se all'inizio degli anni ‘90 il settore fashion italiano viveva un momento intriso di tradizione, con l’eccezionalità dei brand di lusso accanto ad una sostanziale uniformità di stile e ad una distribuzione capillare, l’avvento della GDO ha drasticamente cambiato le carte in tavola.

    La veloce conquista del mercato da parte delle grandi catene ha imposto con violenza un nuovo modello produttivo e una diversa concezione dello stile, segnando il passaggio da uniformità dell’offerta alla possibilità di avere capi con tendenze a scadenza settimanale in grado di soddisfare i gusti più disparati.

    La stessa logica alla base delle scelte di stile è cambiata nel corso degli anni. Se prima le tendenze erano stabilite dalle grandi case di moda e dalle riviste di settore, ora le scelte dei consumatori si orientano verso gli abiti che riescono maggiormente a rappresentarli. Non importa più “essere alla moda”, ma sentirsi a proprio agio e rispecchiarsi nei capi scelti per il proprio guardaroba. Ci possono certamente essere macrotendenze ed evergreen, ma le abitudini di acquisto si basano sempre di più sul gusto personale. L’approccio quindi da top-down si è completamente ribaltato, ora sono le aziende di moda, o almeno quelle più lungimiranti, che si preoccupano di intercettare i bisogni e le richieste del mercato traducendoli in capi da indossare.

    Questa tematica è particolarmente legata alla principale differenza tra queste due realtà: il fattore tempo. Da un lato le grandi catene del fast fashion riescono a produrre e ad avere nuovi capi sugli scaffali in meno di 15 giorni, dall’altro le case di moda lavorano alla loro collezione con un anno di anticipo. 

    “Una trasformazione enorme è quella dovuta all’ingresso prepotente del fast-fashion. Si tratta di un grande cambiamento sia dal punto di vista dello stile, ma anche a livello finanziario perché alla clientela è richiesto di investire più volte durante l’anno per stare al passo con questi fenomeni.” - ci dice Roberto Nicolino, Direttore Vendita e Business Developer con pluriennale esperienza nel settore fashion in brand del calibro di Krizia e Elena Mirò.

    Complici di ciò, anche i social media rientrano tra i grandi cambiamenti che questo settore ha dovuto affrontare. La presenza dei brand sulle piattaforme, gli ingenti investimenti pubblicitari e la velocità di condivisione hanno appoggiato un ideale di moda distante da quello passato e, allo stesso tempo, hanno aperto nuove strade ed importanti opportunità di business.  

    Vediamo ora l’impatto che questi cambiamenti hanno avuto sulle professioni coinvolte nel settore fashion.



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    2. Dalla copertina di Vogue al feed di Instagram, le opportunità per i nuovi Manager

     

    2.1 L’esplosione dell’online

    Anche in questo caso, come per molte altre industries, l’online è diventato un canale di rilevante importanza, sia in termini di vendite che di branding. Purtroppo però ha avuto drammatiche conseguenze sui negozi fisici perché si è generata una vera e propria cannibalizzazione del mercato su strada. Se da un lato gli e-commerce hanno portato enormi vantaggi dal punto di vista logistico e distributivo, dall’altro la marginalità di cui si nutrono i commercianti su piazza è stata completamente annullata.

    Secondo Nicolino però, almeno per quanto riguarda i prodotti di fascia medio-alta, i negozi online non potranno mai sostituirsi al punto vendita, sia per la necessità di provare un capo prima di comprarlo sia per l’intera esperienza di acquisto, ben più articolata rispetto ad un semplice click - “Scegliere un capo sul web è complicato, a meno che non si tratti di prodotti estremamente identificabili”, ci dice.

    Come dicevamo, l’avvento delle piattaforme e il loro legame quasi naturale con il design, l’immagine e la moda, hanno messo di fronte alle aziende l’esigenza di aprire le porte a diverse categorie di talenti e, nello specifico, a Marketing Manager, Social Media Manager, E-commerce Manager, Sales Manager, Brand Manager e Product Manager. 

     

    2.2 Connettere artigianalità e mercato

    Le figure manageriali coinvolte, oltre a dover soddisfare la richiesta di digitalizzare il processo di acquisto e di gestire le nuove esigenze di comunicazione e di vendita, hanno però altri due importanti compiti.

    Il primo è quello di tornare a dare supporto ai negozi fisici perché, nonostante ci siano commercianti e distributori che necessitano di assistenza continua, spesso l’industria del fashion continua a tenersi lontana, soprattutto durante la fase di rivendita. Sarebbe importante invece infondere sicurezza e far sentire la costante presenza dell’azienda, anche attraverso l’utilizzo consapevole della tecnologia.

    Il secondo è quello di assumere un ruolo di ponte tra le scelte di stile e le esigenze del mercato. Però, prima di avventurarci in questa tematica, è necessaria una premessa.

    L’industria italiana conserva ancora un’impronta marcatamente tradizionale, soprattutto per quanto riguarda i livelli organizzativi e le scelte di gestione e sviluppo commerciale. Il problema nasce dal fatto che, molto spesso, le case di moda sono capitanate dalle prime o seconde generazioni di colossi nati nel boom anni ‘60 e ‘70 che, nonostante i cambiamenti che hanno colpito il settore fashion, preferiscono appoggiarsi a logiche familiari semi-artigianali. Attualmente, le competenze della classe imprenditoriale italiana non sono così aggiornate come dovrebbero essere per affrontare un mercato competitivo come quello del fashion. Lavorano senza riqualificare la propria esperienza manageriale e senza approfondire la conoscenza dei mercati. Sono ancora artigiani e venditori, molto diversi dall’essere manager capaci di affrontare sfide nel medio e lungo termine con cognizione causa o probabilità di successo.”

    Il ruolo cruciale dei nuovi Manager sarà quindi quello di link, di connettore tra l’artigianalità dell’imprenditore e il mercato attuale. Dovranno accompagnare le aziende nel passaggio da una logica impositiva dello stile focalizzata sull'immediatezza del risultato, tipica degli scorsi decenni, ad un mindset lungimirante basato sulla funzionalità e sulla programmazione a lungo termine.

     

    2.3 Le principali difficoltà e i casi virtuosi

    Gli errori che hanno compiuto diverse aziende, molte delle quali spazzate via dagli effetti della pandemia, sono stati il mancato ascolto, l’incapacità di reagire ai cambiamenti con soluzioni innovative rispetto ai decenni passati e la mancanza di figure specializzate capaci di agire senza lasciarsi condizionare dall’emotività generata dalla creazione di una collezione. Molti imprenditori, seppur coscienti della loro personale esigenza di questi profili professionali, hanno preferito non adeguarsi alle richieste del mercato, rimanendo “figli dello stile”, come li descrive Nicolino. Ed è proprio in questo ambito che i middle e top Manager sono diventate le nuove figure da portare a bordo per cavalcare il mercato attuale traendone tutti i vantaggi. Si tratta di professionisti capaci di indicare un metodo ed essere connettori tra moda, arte e mercato...le cui esigenze sono ben poco creative.

    Infine, è bene citare anche casi virtuosi dove l’imprenditore è stato capace di ragionare in termini di marketing portando l’azienda verso una vera e propria esplosione. Pensiamo per esempio a Elisabetta Franchi, Liu Jo o Rinascimento, brand rappresentativi di segmenti molto diversi tra loro che hanno saputo intercettare il mercato e coinvolgere il proprio pubblico utilizzando social, testimonial, con proposte dotate di personalità e immagini estremamente rappresentative dell’identità e dei valori aziendali.

     

    3. Le skills da ricercare

    Il fashion è un’industry molto particolare, con logiche davvero uniche e meccanismi peculiari e, per questo motivo, è essenziale che i nuovi Manager siano mossi da una vera e propria passione verso questo mondo, ma soprattutto che siano coscienti di poter raccogliere i frutti del loro lavoro solo dopo diversi mesi.

    D’altro canto si tratta di un mondo affascinante, tale da essere considerato una vera e propria ambizione per i più giovani. In questo settore l’elemento di attraction non è solo il lato economico, ma anche e soprattutto quello sociale - “entrare in questo settore coincide spesso con l’ingresso nel campo del costume” specifica Nicolino. Le soft skills da ricercare quindi sono: concentrazione, rapidità di reazione, velocità di pensiero e lucidità.

    Invece una delle hard skill da specificare nelle job description è la capacità di analisi del mercato, la conoscenza del consumatore e la disponibilità a ribaltare le proprie credenze, anche quando significa rivedere completamente le logiche che hanno mosso il settore fino a quel momento.

    Un esempio calzante riguarda il recente cambiamento nelle scelte d’acquisto, particolarmente legato al tema della sostenibilità ambientale che, nel 2020, ha portato la vendita di prodotti realizzati con tessuti organici ad un +120%.

    Sempre più consumatori ricercano capi eco-sostenibili e riferibili al mondo naturale, a discapito del sintetico. C’è quindi un ritorno a quel tipo di acquisto che il fast fashion sembrava aver quasi del tutto cancellato, ovvero un equilibrio tra qualità, immagine, notorietà del brand e prezzo, in cui quest’ultimo sembra avere un impatto marginale. Il consumo sta quindi lasciando da parte l'impulso per concentrarsi su scelte importanti e ragionate, in cui le persone sono disposte a investire in capi durevoli e costosi.

    Certamente non è sempre facile coniugare materiale eco-sostenibile, costo della produzione italiana e prezzi accessibili, ma è proprio con sfide come queste che i nuovi manager dovranno misurarsi proponendo soluzioni oculate, orientate all’azione e capaci di stimolare anche gli imprenditori più scettici.

     

    4. Conclusioni

    In generale questa è una partita che il fashion deve ancora giocare. Ci sono molte aziende che stanno ancora facendo i conti con gli effetti della pandemia ed erroneamente diversi proprietari industriali stanno mettendo la testa sotto la sabbia rimandando le decisioni ad un momento più adatto. 

    La verità è che il tempo perfetto per assumere le risorse necessarie ad accelerare la ripresa e intercettare questo nuovo mercato è proprio ora. Le aziende che lo faranno saranno quelle che potranno godere di una maggiore spinta e che saranno indubbiamente più abili nella gestione dei cambiamenti futuri.

     


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    Reverse è una realtà in continua evoluzione: come un gruppo di scienziati e ricercatori che giorno dopo giorno creano qualcosa di nuovo per migliorare e semplificare il mondo dell’Head Hunting e l’attività di chi si occupa di HR.
    Alessandro Raguseo, CEO