Energy/Oil&Gas: caratteristiche da ricercare nei manager e nei talenti

    Enrico Sciuto ha una grande passione per il suo lavoro. Si capisce da come parla dell’azienda di cui è co-fondatore, la Archimede srl che si occupa della distribuzione e della rappresentanza di pompe e compressori per l’Oil&Gas e l’industria in generale, ma anche per come ci racconta lo stato dell’arte del settore, spiegandoci quali sono le caratteristiche e le competenze necessarie per potersi muovere al suo interno nel modo più agevole possibile.

    Per Reverse collabora da lungo tempo come scout sulle ricerche di profili tecnici commerciali, responsabili di produzione, responsabili magazzino e direttori commerciali.

    La nostra chiacchierata con lui parte da qui:

    Enrico, riesce a raccontarci lo stato dell’arte del settore Oil&Gas?

    La prima evidenza è che il settore è in pieno fermento a causa della crisi del gas russo. Fino allo scorso anno era data per assodata l’idea di abbandonare i combustibili fossili per concentrarsi sul green fuel (quindi, in generale, sulle energie rinnovabili e sull’idrogeno). E in alcuni Paesi d’Europa (Italia esclusa) questa fase era già molto avanzata: la certezza che ci si sarebbe mossi in quella direzione non soffriva di alcun dubbio.

    Ora con la crisi che stiamo vivendo, legata in larga parte alla difficoltà di approvvigionamento della materia prima, l’idea di muoversi verso fonti rinnovabili e green c’è sempre, ma la convinzione di abbandonare definitivamente il combustibile fossile viene un po’ meno. Basti pensare che per sopperire alla mancanza di gas si è addirittura pensato di riaprire e di riattivare le centrali a carbone!

    Oltre a ciò, pensare di poter abbandonare il petrolio in modo assoluto è davvero ancora un’utopia visto che non viene utilizzato unicamente come semplice combustibile, ma che è alla base dalla produzione di plastica, imballaggi e praticamente della maggior parte degli oggetti di uso quotidiano.

    La soluzione? Forse bisognerebbe avanzare in parallelo: da una parte cercare di renderci quanto più autonomi possibili trovando fonti alternative di energia per la combustione e dall’altra ripensare alla produzione industriale affinché il petrolio possa essere utilizzato in maniera diversa, prestando attenzione alla questione delle emissioni.

     

    Alla luce di tutto questo, qual è lo stato del settore in riferimento al mondo del lavoro? Ci sono stati cambiamenti negli ultimi anni?

    Circa una decina di anni fa abbiamo assistito a un ricambio generazionale. Immaginiamoci vedere andare in pensione una schiera di ingegneri che per decenni sono stati impiegati all’interno di impianti petrolchimici, vivendo immersi (anche) nel tecnicismo della loro professione. 

    Con chi li ha rimpiazzati, complice anche la poca esperienza e un mancato traghettamento nella praticità del lavoro da parte di figure più senior, gli attori della filiera dell’Oil&Gas hanno dovuto impostare da zero un rapporto che, in linea generale, è basato perlopiù sulla competenza e conoscenza tecnica. Possiamo dire che il settore si è trovato a dover educare le nuove leve.

    Nuove leve che, al netto della difficoltà iniziale di entrare in meccanismi già rodati, sono mediamente più preparate che nel passato. 

    Il mondo dell’Università è cambiato e tanto la frequenza di corsi interamente in inglese (la lingua ufficiale dell’Oil&Gas è questa e la sua conoscenza è prerequisito fondamentale per poterci lavorare), quanto la necessità di svolgere tirocini prima della laurea, rende i nuovi talenti più reattivi nell’accesso a un settore che richiede prontezza e flessibilità.

     

    Quali sono quindi le caratteristiche che deve avere un talento che entra in questo settore per poterne superare le eventuali difficoltà?

    Dovrebbe innanzitutto possedere un buon mix di competenze: un’infarinatura di meccanica (è infatti necessario capire come funzionano le macchine rotanti, le pompe e i compressori e come fare loro manutenzione), una buona conoscenza della chimica (i processi di produzione di plastiche, cere, carburanti, asfalti comportano reazioni chimiche che si devono non solo capire, ma sapere “già”), qualcosa di fisica, elettronica ed elettrotecnica, senza dimenticare un pizzico di know-how manageriale/economico, dal come fare i budget a come impostare relazioni virtuose con clienti e fornitori.

    È necessario poi soprattutto avere una mente molto aperta, non voler mai smettere di imparare per rimanere aggiornati nell’ambito di un settore che è davvero sempre in continua evoluzione. Pensiamo per esempio anche solo alle tecnologie per abbassare le emissioni (in termini ambientali): il loro progresso è continuo e conoscerne le innovazioni è doveroso per non risultare anacronistici rispetto al proprio mercato. 

    La flessibilità in termini di gestione degli impegni e del carico di lavoro è poi indispensabile: è infatti richiesto che si viaggi spesso, attività effettivamente molto impegnativa, ma in grado come poche altre di arricchire il bagaglio culturale che, come vedremo, è fondamentale per lavorare “bene” in questo settore.

     

    Di conseguenza qual è la relazione ideale che un’azienda dovrebbe stringere con i giovani lavoratori?

    Così come il talento deve avere quell’apertura mentale che gli consente di mettere sul piatto le sue competenze, pronto però a volerne (e doverne acquisire) di nuove e trasversali, nello stesso modo l’azienda deve essere generosa nel trasmettergli la passione per questo lavoro, condividendo quel know-how utile per lavorare e crescere.

    Le organizzazioni che operano nell’Oil&Gas devono quindi essere pronte ed entusiaste nell’investire tempo e risorse nei candidati: offrire una RAL più alta della media è solitamente un buon incentivo per fidelizzare un talento e ottimizzare così gli investimenti.
    L’equazione in questo caso è elementare: il candidato soddisfatto, perché è valorizzato e perché gli si prospetta un buon piano di crescita, è una persona che avrà voglia di migliorare, continuando a imparare e diventando così un vero valore aggiunto per l’azienda.

     

    Abbiamo parlato dei candidati, passiamo ora alle figure apicali. Quali pensa che siano le caratteristiche del manager perfetto di questo settore?

    Occorre innanzitutto fare una distinzione tra il manager che opera in un’azienda “fornitrice” e il manager impiegato in un’azienda “cliente”.

    • Nel primo caso, quello dei fornitori - ossia realtà che si occupano della costruzione di macchine e apparecchiature per l’Oil&Gas, come pompe, compressori, tubature, ecc. - parliamo tipicamente di sales manager o direttore commerciale. Un profilo del genere è quello di una persona che ha fatto la “gavetta” compiendo, se non tutti, almeno una buona parte degli step del percorso di vendita. In poche parole, conosce i macchinari ed è in grado di argomentarli con il cliente, sia a livello commerciale, sia tecnicamente. È poi una persona capace di parlare il linguaggio della persona con cui ha a che fare: un conto è interfacciarsi con una “tuta blu”, disquisendo quindi degli aspetti di manutenzione e vita della macchina, un altro è confrontarsi con acquisitori o processisti (vale a dire coloro che progettano i processi di trasformazione della materia prima). Adattarsi al contesto e all’interlocutore è quindi una competenza assolutamente necessaria.
    • Nel secondo caso, ovvero quello dei Clienti - le aziende quindi che comprano i macchinari - siamo in presenza di un project manager, ossia colui che coordina il progetto di costruzione dell’impianto (per es. una raffineria) in cui i macchinari per l’Oil&Gas verranno utilizzati. In questo caso è necessario saper coordinare team di lavoro completamente diversi: un alto livello di pianificazione, compresa la capacità di organizzare le tempistiche della commessa che sono spesso molto stringenti, deve riuscire ad andare a braccetto con la gestione delle risorse, appunto, e con una buona costruzione del rapporto con il cliente. È qui necessario fare un appunto: i clienti molto spesso sono persone che provengono da Paesi e culture completamente diverse. In questi casi diplomazia e capacità relazionale non sono sufficienti alla creazione di un rapporto di fiducia. È invece necessaria quella giusta dose di empatia culturale che permette la costruzione di una relazione efficace dal punto di vista del business, ma che sia nello stesso tempo estremamente rispettosa delle caratteristiche culturali, senza alcun pregiudizio.

     


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