Un piano di Business Continuity per combattere il post Covid-19

    La pandemia che ha colpito il mondo nel 2020 ha portato le aziende non solo a ripensare il proprio modo di lavorare ma anche a ragionare su due temi affatto banali, in cui l’HR ricopre un ruolo strategico:

    • quando un qualsiasi agente esterno impatta sul sistema produttivo e obbliga all’interruzione forzata dei servizi erogati molte aziende risultano impreparate ad affrontare in modo strategico la crisi che ne deriva;
    • esistono oggi reali strumenti in grado di prevenire con efficacia eventi negativi, così da affrontare momenti di crisi in maniera strategica, senza compromettere in maniera irreversibile i business.
    A questo tipo di ragionamenti sono legati i concetti di Business Continuity e Disaster Recovery. Vediamoli nel dettaglio.

     

    1. Business Continuity Plan  

    Il Business Continuity Plan è, secondo definizione, un processo atto a individuare le potenziali minacce alle quali è esposta una data organizzazione e a definire gli step necessari per assicurare la resilienza della struttura a seguito del verificarsi delle condizioni avverse, per porre al sicuro le persone, l’operatività, la capacità produttiva, gli interessi e l’immagine dell’azienda.  

    Un piano di business continuity delinea quindi le procedure e le istruzioni che un'organizzazione deve seguire per far fronte a disastri accidentali. Esso, se ben strutturato, comprende tutti i processi aziendali, i beni, le risorse umane, i partner commerciali e altro ancora. 

    Ti sei mai domandato, ad esempio, se nella tua impresa esiste un modo per far sì che le risorse umane possano essere operative e serene anche subito dopo un disastro? Se l'edificio che ospita il customer care venisse dichiarato inagibile domani mattina, avreste già pronta una procedura ben collaudata per mettere i collaboratori in grado di  gestire serenamente le chiamate dei clienti?

    Un buon piano di continuità operativa non fa altro che affrontare questo tipo di problemi.

    Nel dare vita a un buon piano, si renderà inizialmente necessario valutare ogni processo aziendale, determinando quali aree sono vulnerabili e quali sarebbero le perdite se lo stop forzato si verificasse per un giorno, alcuni giorni, una settimana, o più. 

    Questo documento ha come principali obiettivi:

    • identificare le aree chiave di business;
    • identificare, secondo un ordine di importanza, le funzioni critiche;
    • identificare nel dettaglio le dipendenze tra le varie aree e funzioni aziendali;
    • determinare tempi di inattività accettabili per ogni funzione critica; 
    • creare un piano alternativo per mantenere le operazioni chiave e garantire il business, secondo l’ordine di priorità sancito sopra.

    A questo punto, la seconda componente fondamentale sarà creare un team di continuità, che coinvolga ogni area aziendale. Questo team elaborerà un piano strategico per gestire l'interruzione che dovrà essere condiviso e testato. Oltre a testare il team di continuità, un’azienda vincente trova il modo anche di testare il BCP stesso. Dovrebbe essere sperimentato e collaudato più volte per garantire che possa essere applicato a molti diversi scenari di rischio. Ciò aiuterà ad identificare eventuali punti deboli del piano che potranno poi essere corretti.

    Il successo nella progettazione ed implementazione di un Business Continuity Plan dipende da un insieme di fattori tra loro collegati come:

    • il tempo di sviluppo; 
    • la valutazione continua del rapporto costo/complessità della soluzione;
    • i costi complessivi; 
    • l’impatto sulle funzioni coinvolte. 

    Una soluzione di Business Continuity è inutile se non è aggiornata ed è sufficiente una variazione ad una qualunque componente del processo alla base per introdurre un elemento di debolezza, che può essere determinante.

    Un piano di Continuità Operativa è infine efficiente se si focalizza sui principi di:

    • massimizzazione della reattività ad una possibile condizione di emergenza;
    • minimizzazione del danno economico e di immagine;
    • minimizzazione del “time to recover” per i processi più critici;
    • comunicazione efficace tra tutte le persone dell’azienda coinvolte;
    • procedure che consentono di raggiungere in emergenza il 75% del livello di servizio sulle aree più critiche.

    2. Disaster Recovery Plan

    Si rischia di confondere un piano di disaster recovery (DR)  con un piano di business continuity. Il piano di disaster recovery si concentra principalmente sul ripristino di un’infrastruttura, come ad esempio può essere quella IT,  e delle operazioni sottostanti dopo una crisi. In realtà è un sottoinsieme di un piano di business continuity.


    Approfondisci il tema del rapporto tra HR e IT in questo articolo: 

    COLLABORAZIONE TRA HR E IT: C’È UN PROBLEMA DI COMUNICAZIONE.


    In principio, il Disaster Recovery fu la risposta di tante organizzazioni all’avvento della tecnologia e la conseguente automazione dei processi, per garantire il corretto ripristino delle attività in caso di interruzioni. Negli ultimi anni, tuttavia, ci si è sempre più resi conto che – nonostante la forte dipendenza dei processi aziendali dalla componente ICT– il solo disaster recovery non basta, per un’impresa che voglia dirsi realmente resiliente. Bisogna quindi tenere in forte considerazione gli impatti di un’eventuale interruzione anche su tutti gli aspetti che esulano dalla tecnologia in senso stretto: risorse umane, organizzazione, logistica e commerciale, per citarne solo alcuni.

     

    3. La sfida del futuro: estendere il concetto di sostenibilità

    Delineando quindi un buon piano di continuità operativa saremo in grado di sopravvivere agli eventi critici a cui la nostra azienda potrà andare incontro nei prossimi 10 anni?

    Parlare con finitezza e senso compiuto delle crisi che affronteremo nei prossimi anni è sicuramente difficile. C’è però un’importante aspetto da considerare: un’organizzazione che abbia investito tempo e risorse nella creazione di questo tipo di piano sarà sicuramente più pronta ad affrontare crisi o eventi imprevisti di un’azienda completamente disinteressata al tema. 

    Sul lato pratico questo si traduce nel considerare ciò che ci circonda, partendo dal fatto incontrovertibile che ogni crisi porta degli insegnamenti. Cosa ci ha insegnato a livello di business il virus Covid-19

    Sicuramente, che la tematica della sostenibilità d’impresa, in tutti i suoi aspetti e declinazioni oltre a quello ambientale, non è più trascurabile. Non c’è infatti solo un aspetto ecologico da considerare, ma anche uno finanziario e uno sociale, in cui l?HR può fare la differenza, che riguarda come i dipendenti vivono oggi il mondo del lavoro e quanto saranno pronti a sostenere l’impresa in caso di crisi, con flessibilità e apertura mentale.

    Pensando per esempio al tanto dibattuto smart working, per alcune aziende è stato relativamente facile inserirlo seppur in emergenza, grazie all’apertura reciproca tra le parti coinvolte: i collaboratori hanno messo a disposizione i propri pc personali e le proprie case, e le aziende sono andate loro incontro in ogni modo possibile. Nelle realtà in cui questa flessibilità è venuta meno, il blocco lavorativo ha comportato danni molto maggiori.

     


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    Alessandro Raguseo, CEO