I buoni propositi dell'HR Manager per il nuovo anno

    L'entusiasmo per l'Intelligenza Artificiale ha contagiato ogni livello aziendale. I CEO ne tessono le lodi nelle earnings call, i CFO ne calcolano ossessivamente il ritorno sull'investimento, i CTO moltiplicano i proof of concept. Eppure, in questa corsa verso l'automazione, c'è una domanda che troppo spesso rimane sospesa: chi sta davvero valutando l'impatto etico dell’AI?

    Dato che la questione dell'etica e AI è diventata centrale, la risposta dovrebbe essere scontata: l'HR. Ma la realtà che osserviamo racconta una storia diversa. Troppo spesso, l'implementazione dell'AI non vede coinvolti attivamente gli HR, nei processi People avviene in modo top-down, la funzione Risorse Umane rimane relegata al ruolo di spettatrice o, peggio, di mera esecutrice di decisioni prese altrove.

    Non è solo una questione di governance interna. Con l'AI Act europeo ormai in vigore e sanzioni che possono arrivare fino al 7% del fatturato globale, ignorare la dimensione etica dell'AI non è più un'opzione. È un rischio aziendale di primissimo piano.

    Questo articolo esplora perché l'HR deve assumere un ruolo di leadership nell'implementazione dell'AI aziendale in modo etico, quali sono i rischi concreti di un approccio tecnologicamente entusiasta ma eticamente miope, e come costruire un framework che bilanci innovazione e responsabilità. 

    Quest'anno giuro che risponderò a tutti i candidati entro 48 ore. Quest'anno implementerò davvero quel sistema di performance management. Quest'anno... non aprirò LinkedIn durante le vacanze.

    Mancano poche settimane alla fine dell'anno e già inizia quella sensazione familiare: il mix tra bilanci da tirare e buoni propositi da formulare. E se in palestra gennaio è il mese degli abbonamenti più venduti (e meno usati), nell'ufficio HR è il momento in cui fioriscono Excel pieni di progetti ambiziosi, dashboard di KPI idealizzate e piani formativi che farebbero invidia alla Harvard Business School.

    Eppure, lo sappiamo tutti: molti di questi propositi non supereranno la prova di febbraio. Non per mancanza di buona volontà, ma perché il mestiere dell'HR Manager è probabilmente uno dei più esposti all'imprevisto, all'urgenza dell'ultimo minuto, al collega che si dimette proprio nel momento sbagliato.

    E allora, invece di fingere che non sia così, perché non fare pace con l'idea che fallire alcuni propositi fa parte del gioco? Dopotutto, gestire le risorse umane significa proprio questo: lavorare con l'imprevedibilità dell'elemento umano, a partire da noi stessi.

    Un articolo leggero per esplorare i buoni propositi più comuni degli HR Manager, capire perché è così difficile mantenerli e trovare un modo più realistico (e sano) di affrontare il nuovo anno.

     

    Indice

    1. I classici intramontabili
    2. I propositi wellness (che durano quanto un caffè)
    3. Gli evergreen tecnologici
    4. Perché fallire fa parte del mestiere

     

    1. I classici intramontabili

     

    1.1. "Risponderò a tutti i candidati entro 48 ore"

    Questo è il Santo Graal dei buoni propositi HR. Ogni anno lo giuriamo solennemente, magari dopo aver letto l'ennesimo post su LinkedIn che ci ricorda quanto sia importante la candidate experience. E ogni anno, verso marzo, ci ritroviamo con 147 email non lette nella cartella "Recruiting" e un senso di colpa che potrebbe alimentare una piccola centrale elettrica.

    Il problema? Questo proposito parte da un presupposto sbagliato: che il nostro lavoro sia prevedibile e controllabile. Quando in realtà, proprio mentre stai per rispondere a quel candidato promettente, il CFO entra nel tuo ufficio con un'espressione che non promette nulla di buono, seguito a ruota dal CEO che ha "un'ideona" per la riorganizzazione.

    La soluzione realistica: "Risponderò entro una settimana a tutti i candidati che hanno superato il primo screening, e imposterò risposte automatiche personalizzate per gli altri, segmentandole per tipologia di posizione". Meno eroico? Forse. Ma sicuramente più sostenibile che sentirsi in colpa per undici mesi. E puoi iniziare già a dicembre preparando tre template di risposte automatiche decenti.

     

    1.2. "Quest'anno implemento il nuovo sistema di valutazione"

    Ah, il sistema di performance management. Quello che dovrebbe rivoluzionare il modo in cui gestiamo i talenti, allineare gli obiettivi, creare una cultura del feedback continuo e, possibilmente, portare anche la pace nel mondo.

    La realtà? A febbraio sei ancora nelle riunioni preparatorie con i vari stakeholder (ognuno dei quali ha un'idea completamente diversa su cosa significhi "valutare le performance"). A maggio stai ancora cercando di convincere i manager che no, non possono dare a tutti un punteggio di 5/5 "perché tanto vanno tutti bene". Ad agosto sei in ferie e cerchi di dimenticare l'esistenza delle valutazioni. A dicembre ti rendi conto che hai fatto esattamente lo stesso processo dell'anno scorso, solo con un template diverso.

    Il punto non è che non serva migliorare i processi di valutazione. Il punto è che cambiare davvero un sistema richiede tempo, risorse, coinvolgimento e, soprattutto, che non succeda nient'altro di urgente nel frattempo. Cosa statisticamente impossibile in un'azienda viva.

    La soluzione realistica: "Nel primo trimestre 2026 rivedo le domande della valutazione annuale con tre manager chiave e raccolgo feedback. Nel secondo trimestre testo le nuove domande su un team pilota. Nel terzo trimestre valuto i risultati e aggiusto il tiro". Trasformi una grande rivoluzione in un percorso a tappe, con punti di verifica. E se a giugno ti accorgi che non funziona, hai ancora tempo per correggere senza aver imposto a tutta l'azienda un sistema che non va.

     

    1.3. "Basta improvvisazione: farò tutto secondo processo"

    Questo proposito nasce solitamente dopo una settimana particolarmente caotica, quando hai gestito tre emergenze contemporaneamente usando solo post-it, WhatsApp e l'istinto. E ti dici: mai più. D'ora in poi tutto sarà strutturato, processato, proceduralizzato.

    Peccato che le Risorse Umane siano, appunto, umane. E gli esseri umani hanno la sgradevole abitudine di non comportarsi secondo le procedure. Il dipendente che ha un'emergenza familiare proprio mentre state finalizzando il budget. Il manager che decide di licenziarsi via email un venerdì sera. Il candidato perfetto che ha altre tre offerte e vuole una risposta entro lunedì.

    La verità è che un buon HR Manager deve saper improvvisare. Non al posto della struttura, ma insieme ad essa. È un equilibrismo continuo, non una scelta binaria.

    La soluzione realistica: "Identifico i tre processi che creano più caos ricorrente (onboarding? Offboarding? Approvazione ferie?) e ne strutturo uno al trimestre". A fine anno hai tre processi che funzionano davvero, invece di dodici che esistono solo sulla carta. E mantieni la flessibilità di improvvisare quando serve, sapendo che almeno in quelle tre aree hai una rete di sicurezza.

     

     

    2. I propositi wellness (che durano quanto un caffè)

     

    2.1. "Non controllerò le email dopo le 19"

    Questo proposito ha una durata media di 4,7 giorni. Al quinto giorno c'è sempre quella mail urgentissima che arriva alle 18:52 e che "richiede solo una risposta veloce". Che poi ti porta a controllarne altre tre. Che poi, visto che ci sei, apri anche Slack. E boom: sono le 22 e stai ancora rispondendo a domande sulla policy delle ferie.

    Il problema non è la mancanza di volontà. È che il ruolo HR è per definizione trasversale e spesso fuori orario. Le dimissioni vengono comunicate quando la gente ha tempo di pensarci (cioè la sera). I dipendenti ti scrivono per emergenze quando capita (spesso fuori orario). I recruiter internazionali lavorano in fusi orari diversi.

    La soluzione realistica: "Definisco due serate a settimana (es. martedì e giovedì) in cui sono totalmente offline dopo le 18. Negli altri giorni posso controllare, ma solo fino alle 20.30 massimo. Comunico queste fasce orarie chiaramente al team". Parti da due sere, non da sette. E proteggile come se fossero appuntamenti dal dentista: non si spostano. Dopo tre mesi valuti se puoi aggiungerne una terza.

     

    2.2. "Dedicherò almeno un'ora al giorno alla formazione"

    Un'ora al giorno di formazione? Fantastico. Vorrebbe dire 5 ore a settimana, 20 ore al mese. In un anno saresti praticamente un esperto di tutto: employment law, data analytics, coaching, neuroscienza, intelligenza artificiale applicata alle HR...

    Poi arriva la realtà. Le tue giornate sono fatte di riunioni back-to-back, chiamate urgenti, problemi da risolvere subito, email che non possono aspettare. Quell'ora di formazione che avevi bloccato in agenda viene puntualmente sacrificata sull'altare del "è urgente".

    La soluzione realistica: "Ogni lunedì mattina dedico 30 minuti alla formazione, e proteggo questo slot come se fosse una riunione con il CEO. Se salta per emergenza vera, lo recupero il venerdì pomeriggio". Blocca lo slot in agenda con titolo "Riunione strategica HR" se necessario. In capo all’anno sono comunque parecchie ore. E puoi alternarle: una settimana un podcast durante il tragitto casa-ufficio, una settimana un articolo, una settimana un webinar.

     

    2.3. "Farò una vera pausa pranzo"

    Questo proposito è particolarmente divertente perché presuppone che tu abbia controllo sul tuo tempo. Come se fosse possibile dire al dipendente in crisi "scusa, sono in pausa panino" o al CEO che vuole parlare urgentemente "ci sentiamo dopo il mio salmone".

    La pausa pranzo dell'HR Manager è quel momento mistico in cui mangi un tramezzino davanti al computer mentre rispondi alle email e, se sei fortunato, mastichi almeno il 60% dei bocconi prima di ingoiarli.

    Certo, fa male alla salute e al benessere. Ma fa parte della natura del lavoro.

    La soluzione realistica: "Il martedì e il giovedì faccio una pausa pranzo vera di almeno 60 minuti, anche solo per uscire a prendere aria." Due pause vere a settimana sono già molte di più di quelle che probabilmente hai fatto quest'anno. E puoi accordarti con un collega per farle insieme: vi “proteggete” a vicenda e diventa più difficile saltarle.

     


     

    3. Gli evergreen tecnologici

     

    3.1. "Quest'anno digitalizzo tutto"

    L'HR tech è meraviglioso sulla carta. Piattaforme che automatizzano tutto, dashboard che ti dicono esattamente cosa sta succedendo nella tua organizzazione, chatbot che rispondono alle domande dei dipendenti mentre tu dormi.

    La realtà? Per digitalizzare davvero servono budget, tempo per la formazione, resistenza al cambiamento da gestire, dati da migrare, processi da ripensare. E tutto questo mentre continui a fare il tuo lavoro normale.

    Risultato: a dicembre hai magari implementato una o due cose, mentre il resto del progetto di digitalizzazione giace in una cartella chiamata "Da fare 2026" (che a sua volta contiene una cartella "Da fare 2025", che contiene "Da fare 2024"...).

    La soluzione realistica: "Scelgo un solo processo da digitalizzare nel 2026, quello che mi fa perdere più tempo in attività ripetitive. Se è l'onboarding, mi concentro solo su quello. Se è la gestione delle ferie, solo quello". Nel nostro lavoro di Headhunting vediamo spesso aziende paralizzate dal voler implementare suite HR complete. Quelle che hanno più successo? Quelle che partono da un punto dolente specifico, lo risolvono bene, poi passano al successivo. Un processo digitalizzato che funziona vale più di dieci processi digitali a metà.

     

    3.2. "Userò i dati per ogni decisione"

    People analytics è il mantra del momento. E giustamente: i dati possono davvero aiutarci a prendere decisioni migliori. Il problema è che per usare i dati servono dati. E per avere dati servono sistemi che li raccolgano. E per avere questi sistemi serve tempo per implementarli.

    Nel frattempo, continui a prendere decisioni basate su una combinazione di esperienza, intuito e quel foglio Excel che hai ereditato dalla persona che aveva il tuo ruolo prima di te e che nessuno sa più come funziona.

    La soluzione realistica: "Identifico tre metriche chiave che voglio tracciare nel prossimo anno (es. time-to-hire, tasso di retention primi 12 mesi, costo per assunzione) e creo un sistema semplice per raccoglierle mensilmente". Non serve una piattaforma da centomila euro. Può bastare un Excel ben fatto che aggiorni il primo lunedì di ogni mese. Tre metriche tracciate con costanza per 12 mesi ti daranno più insights di venti metriche sofisticate raccolte male. E quando avrai padronanza di quelle tre, ne aggiungerai altre.

     

     

    4. Perché fallire fa parte del mestiere

     

    4.1. L'arte del proposito realistico: piccoli passi nell'era digitale

    Ecco il segreto che nessuno dice ad alta voce: i buoni propositi funzionano meglio quando sono piccoli, specifici e realistici. E questo è ancora più vero nell'era digitale, dove la tentazione di fare tutto subito è amplificata dalla velocità della tecnologia.

    Vediamo ovunque storie di trasformazioni digitali fulminee, di aziende che "in sei mesi hanno rivoluzionato tutto", di software che promettono di risolvere ogni problema HR. Il risultato? Ci sentiamo in colpa perché noi invece procediamo a piccoli passi, perché implementiamo una cosa alla volta, perché preferiamo testare prima di imporre.

    Ma la verità è che andare per step non è un limite, è una strategia. Soprattutto nelle Risorse Umane, dove ogni cambiamento impatta direttamente sulle persone. Un processo digitalizzato male crea più danni di un processo manuale che funziona. Un sistema di valutazione implementato troppo in fretta genera resistenze che durano anni.

    Nel mondo HR c'è una tendenza pericolosa: pensare che tutto debba essere perfetto e immediato. Il processo perfetto, la comunicazione perfetta, la candidate experience perfetta, e tutto da subito. Risultato? Paralisi. Perché quando tutto deve essere perfetto e veloce, spesso non si fa nulla.

    A volte "abbastanza buono" è davvero abbastanza buono. E a volte "lento ma costante" è la velocità giusta. Una risposta ai candidati che arriva dopo una settimana invece che dopo 48 ore è comunque infinitamente meglio del silenzio. Un sistema di valutazione che funziona al 70% ma è stato testato e affinato è meglio di un sistema perfetto sulla carta che nessuno usa davvero.

    Come Head Hunter, vediamo costantemente aziende che si bloccano nella ricerca della perfezione immediata nei processi di selezione, perdendo nel frattempo candidati eccellenti. Le aziende che hanno più successo nel trattenere i talenti? Quelle che migliorano qualcosa ogni trimestre, che testano, aggiustano, imparano. L'eccellenza è un percorso fatto di piccoli passi, non un punto di partenza o un traguardo da raggiungere in un sprint.

    Quindi sì, fai propositi piccoli. Scegli un'area su cui lavorare per trimestre invece che dieci aree contemporaneamente. Implementa un tool alla volta invece di rivoluzionare tutto il tuo stack tecnologico. Migliora una metrica invece che provare a tracciarne venti. Non perché tu sia limitato, ma perché sei intelligente.

     

    4.2. Celebrare i piccoli successi

    Ecco il vero proposito che dovresti fare per il prossimo anno: riconoscere e celebrare quello che riesci a fare, invece di fustigarti per quello che non riesci a fare.

    Hai risposto al 60% dei candidati invece che al 100%? Bene, è il 60% in più di zero. Hai fatto due mezze giornate di formazione invece di un'ora al giorno? Fantastico, sono due mezze giornate che l'anno scorso non avevi fatto. Hai implementato una sola nuova procedura invece di rivoluzionare tutto? Perfetto, è una procedura che funziona davvero invece di dieci che esistono solo sulla carta.

    Il lavoro HR è un mestiere di pazienza, resilienza e piccoli progressi continui. Non è fatto di rivoluzioni improvvise e trasformazioni epiche. È fatto di conversazioni quotidiane, problemi risolti uno alla volta, relazioni costruite con costanza.

    Un suggerimento pratico? Ogni venerdì pomeriggio dedica 15 minuti a scrivere una cosa che hai fatto bene quella settimana. Non deve essere qualcosa di epico. Può essere "ho gestito bene quella conversazione difficile con Marco" oppure "ho finalmente sistemato quel template che non funzionava". A fine anno avrai 52 settimane di piccole vittorie da celebrare. E ti accorgerai che, sommate, non sono affatto piccole.

    In fondo, se c'è una cosa che noi Head Hunter impariamo presto è questa: i migliori professionisti non sono quelli che non sbagliano mai. Sono quelli che sbagliano, imparano, si adattano e continuano ad andare avanti. Proprio come te.


    Reverse è una realtà in continua evoluzione: come un gruppo di scienziati e ricercatori che giorno dopo giorno creano qualcosa di nuovo per migliorare e semplificare il mondo dell’Head Hunting e l’attività di chi si occupa di HR.
    Alessandro Raguseo, CEO