Vogliamo cominciare così: dall’immagine di una platea piena. Un flusso di persone continuo, accorso da ogni parte d’Italia per partecipare al Festival della Filosofia e riflettere sulla "psiche", sull’anima. Oggi, nel 2024.
Ebbene sì, si parla ancora di filosofia, si discute ancora di cosa siano coscienza e anima. Anzi, forse oggi più che mai si sente la necessità di affrontare questi temi.
Ecco quindi che anche noi ci siamo confusi tra quella folla e abbiamo assistito al Festival.
Tantissimi i giovani, tantissime le scuole e gli studenti universitari presenti.
Il futuro passa anche da qui.
E per un HR è un’informazione preziosa: nel mondo del digitale e delle intelligenze artificiali, l’uomo ha una centralità più forte che mai.
Sono 3 i temi principali emersi di interesse per l’HR Manager odierno:
- la necessità di accompagnare le persone nella realizzazione del proprio Io;
- il bisogno di riscoprire il valore dell’Io in opposizione all’Intelligenza Artificiale;
- l'importanza di conciliare lo smart working con le interazioni umane.
Temi di cui abbiamo parlato spesso in queste pagine, ma oggi li affronteremo in una nuova veste, quella filosofica.
Un piccolo spoiler: tra gli ospiti del Festival anche Andrea Colamedici di Tlon, con cui avevamo già avuto il piacere di conversare durante HR Paradox by Reverse (nel terzo paragrafo trovi il video).
Ma non dilunghiamoci oltre e partiamo con il nostro viaggio.
1. La società della salute mentale: accompagnare le persone nella realizzazione del proprio Io
Iniziamo subito da un tema centrale al Festival, che ha creato lunghe file per entrare nell'aula della conferenza e ha dato vita a una platea attentissima e pienissima di giovani: "la società della salute mentale" raccontata dallo studioso Alain Ehrenberg.
In pratica il presupposto da cui si parte è che oggi viviamo tutti nella cosiddetta società della salute mentale. Si tratta di una società in cui non ci si limita più a usare l'espressione "salute mentale" solo in riferimento a chi soffre di disturbi specifici, ma piuttosto la si trasforma in un linguaggio universale, che ci permette di interpretare e affrontare le tensioni emotive che permeano la nostra quotidianità.
Quella di oggi è una società prettamente “individualista”, come ci ricorda Ehrenberg, diffusasi a partire dagli anni ‘70.
Indipendenza e autonomia sono diventate centrali per tutti. Siamo passati dall'idea di dover chiedere "cosa mi è permesso fare?" a quella di dover rispondere alla domanda "cosa sono in grado di fare?".
È un cambiamento radicale: oggi non ci si aspetta solo che una persona faccia il suo dovere, ma che riesca a costruire il proprio percorso e a raggiungere i propri obiettivi professionali e personali nel miglior modo possibile.
Insomma, si sente una nuova pressione: quella di doversi realizzare ad ogni costo, soprattutto sul lavoro.
La conseguenza? Ci troviamo a navigare attraverso insicurezze, stress e quella sensazione di non essere mai abbastanza, che è diventata una costante per molti.
Per potersi realizzare, le persone hanno bisogno degli strumenti giusti.
Ed ecco qui che entra in gioco l’HR Manager: il tuo compito, in questo contesto, diventa cruciale. Sì, perché candidati e collaboratori sentono la pressione della società e ti richiedono gli strumenti adeguati per la loro formazione e crescita professionale.
I nuovi candidati della Gen Z chiedono alle imprese che investano sulla loro formazione e sulla loro crescita; i Millennial richiedono progetti sfidanti e di alto livello che li aiutino a fare un salto decisivo di carriera; i manager e i professionisti più senior desiderano un continuo up-skilling e aggiornamenti costanti che mantengano attuali le loro competenze e che offrano loro sempre nuovi stimoli.
La vera sfida diventa quindi aiutare le persone a integrare il loro progetto di vita personale con quello professionale. L’obiettivo non è più solo quello di raggiungere i risultati aziendali, ma anche di accompagnare l’individuo nella propria realizzazione, nel trovare un equilibrio tra carriera e identità.
È un approccio che permette di creare non solo un ambiente lavorativo sano, ma anche una cultura aziendale che valorizza le persone come individui completi.
E non dimentichiamo le sfide che emergono da questo nuovo scenario.
Non è un caso che oggi, sempre più spesso, si parli di sofferenza sul lavoro e burnout.
Sono termini che riflettono le pressioni che l'individualismo e l'aspirazione all'autorealizzazione possono generare.
Essere HR Manager in questa società, significa saper riconoscere queste pressioni, prevenire il disagio e offrire il giusto supporto. Capire nel profondo questi concetti, è la chiave per interpretare driver motivazionali, desideri e paure delle persone che compongono le nostre aziende. È lo strumento per capire come prendersi cura del benessere dei collaboratori durante tutto l'Employee Journey, aiutandoli a vivere in un ambiente che supporti la crescita dell'individuo, fuori e all'interno del team.
Formazione personalizzata, coaching aziendale e cultural fit non sono quindi semplici termini che riempiono le aule HR: diventano vere e proprie armi in mano alle aziende per favorire concretamente la crescita e la soddisfazione delle proprie persone, facendole sentire individui realizzati, ma non per questo soli. Anzi, parte di un gruppo che condivide i loro stessi valori.
2. Intelligenza Artificiale e riscoperta dell'Io
Altra protagonista indiscussa del Festival è stata lei: l'Intelligenza Artificiale e la sua intersezione con la psiche umana.
Ma partiamo dal principio, dalla definizione di "psiche", appunto, emersa dall'intervento di Giulio Guidorizzi, professore di Letteratura Greca presso l’Università di Torino.
Richiamandosi a Socrate, Guidorizzi ha delineato la psiche come il centro della nostra coscienza, il luogo in cui si svolge il “dramma dell'esistenza". È lì che si accendono passioni, emozioni, rabbia e amore, ed è sempre lì che si manifesta l'unicità di ogni essere umano.
La psiche è il teatro della vita, il punto in cui ogni individuo sperimenta la propria esistenza in modo diverso, unico e irripetibile.
Irripetibilità: ecco ciò che distingue la psiche umana da qualsiasi forma di Intelligenza Artificiale. Prendiamo il sogno, ad esempio. Esiste un sogno identico a un altro? No. Ogni sogno è il prodotto di un “Io” unico, e la psiche, in questo senso, è il motore che alimenta l’infinità dell’anima umana, rendendoci unici.
Ma si può dire lo stesso dell'Intelligenza Artificiale?
Oggi si parla spesso di come, nei prossimi vent’anni, l’AI potrebbe sostituire l’intelligenza umana in molti ambiti. Ma qualcuno si è mai chiesto se l'AI possa replicare la complessità della psiche? Può un’Intelligenza Artificiale sognare, innamorarsi? La risposta è ovviamente negativa: l’AI elabora dati in modo sublime, compie scelte razionali, ma non può accedere all’infinita varietà delle esperienze umane.
Ecco quindi che questo discorso avvalora ciò che spesso ripetiamo anche noi: tutti i sistemi di AI sono strumenti incredibilmente utili, che possono apportare un grande vantaggio alle nostre professioni quotidiane, tra cui il ruolo dell’HR, automatizzando e velocizzando processi che ci rubano tempo prezioso.
Noi stessi abbiamo testato il valore aggiunto che ChatGPT può portare al processo di recruiting e quanto possa essere utile l'AI per semplificare la vita quotidiana dell'HR.
Però dobbiamo sempre ricordarci che, appunto, si tratta solo di strumenti: perché il loro utilizzo sia benefico è necessario che a guidarli sia sempre la mente umana. E non viceversa.
A supporto di questa visione, l'intervento di Thomas Fuchs, professore dell’Università di Heidelberg, ha messo a confronto Intelligenza Artificiale e intelligenza umana.
In particolare ha evidenziato come l’intelligenza dell’uomo non risieda solo nel cervello ma emerga dall’interazione tra corpo e ambiente.
Un principio che tuttavia lo sviluppo dell'AI sembra mettere in dubbio. Sistemi come ChatGPT, infatti, suggeriscono l’esistenza di una forma di intelligenza al di fuori di un corpo fisico, che sembra poter interagire e comunicare con noi in modo quasi umano. Eppure questi sistemi di AI in realtà non hanno percezioni, non sentono né pensano.
Siamo noi a proiettare la vita nelle macchine, creando un'illusione che ci porta a trattarle come esseri viventi.
Per fare un esempio, hai presente il film “Her” di Spike Jonze, in cui il protagonista finisce per innamorarsi di un'Intelligenza Artificiale? La perfetta imitazione dell’essere umano lo induce a credere che ci sia vita nel sistema di AI con cui interagisce, mentre in realtà sta solo giocando con una finzione.
Già nel 2013 il film anticipava una dinamica che oggi si riflette nella quotidianità. Pensiamo alla crescente diffusione di chatbot terapeutici, utilizzati ad esempio per supportare persone affette da depressione. Indagini hanno dimostrato che molti utenti arrivano a credere che il chatbot sia effettivamente interessato a loro e che ci sia un rapporto di rispetto reciproco. E se da un lato queste terapie sono utilissime, dall’altro bisogna evitare di cadere in un’illusione pericolosa, sostituendo il rapporto con le macchine alle relazioni umane reali.
Studiosi e filosofi confermano quindi una grande verità: il binomio tra uomo e tecnologia funziona solo quando è l'uomo a guidare le macchine.
Essere HR in un mondo che non può più fare a meno di accogliere le nuove tecnologie significa anche formarsi per comprenderle, per governarle e per sapere come introdurle nelle proprie aziende in modo consapevole. Per supportare e non sostituire l'intelligenza umana.
3. La digitalizzazione e la riscoperta delle relazioni fisiche. Amazon ha ragione?
Lo stesso discorso vale, ci avverte Fuchs, anche per quanto riguarda il fenomeno della digitalizzazione: il digitale mette in connessione le persone anche dall'altra parte del globo, ma allo stesso tempo separa l’essere umano dalle relazioni concrete e corporee.
Siamo continuamente connessi tramite internet ma questo tipo di connessione avviene al di fuori del nostro corpo, creando una vicinanza virtuale, non fisica.
Certo, il digitale ci offre possibilità incredibili. Ci permette di collaborare a distanza, di sentire quel collega o quell'amico che vive dall’altra parte del mondo, di lavorare per una società che ha sede in un altro Paese o, viceversa, di assumere un candidato che vive in un altro continente.
Però, esattamente come succede per l’AI, anche il digitale non può sostituirsi all’umano.
Se vogliamo davvero fare esperienza della realtà, abbiamo bisogno di riconnetterci alla presenza corporea e tangibile dell’altro.
Ed ecco che qui viene spontaneo il rimando a un fatto di attualità. È recente la notizia che Amazon abbia richiamato i suoi dipendenti a lavorare in presenza, riservando lo smart working solo a casi eccezionali. La motivazione? I maggiori vantaggi riscontrati quando i lavoratori sono presenti in azienda.
Una decisione che sembrerebbe confermare quanto detto fino ad ora.
Però, c’è un però.
Come abbiamo sottolineato anche in un nostro articolo, i candidati chiedono a gran voce lo smart working e spesso non accettano offerte di lavoro se questo benefit non è incluso.
Un disallineamento, dunque, tra la domanda dei lavoratori e l’offerta di alcune aziende, tra cui ora le big tech.
Come fare?
Rinunciare completamente allo smart working oggi può rivelarsi anacronistico.
La possibilità di lavorare da casa offre infatti vantaggi spesso irrinunciabili non solo ai candidati, ma anche alle aziende: permette di estendere l’area di ricerca durante la fase di selezione; di attrarre candidati che non prendono in considerazione offerte senza lo smart working; di assumere talenti perfetti per le nostre specifiche esigenze, anche se non si trovano nella nostra stessa città (o addirittura nel nostro stesso Paese).
Per trarre reale vantaggio dallo smart working nelle nostre realtà, però, abbiamo bisogno di conciliarlo con l’organizzazione di alcuni incontri in presenza.
Il lavoro esclusivamente da remoto, se prendiamo in esame quanto detto da Fuchs, rischia alla lunga di alienare le persone, di allontanarle dalla cultura aziendale.
L’incontro in presenza non solo con il proprio team, ma anche con il resto dei colleghi dell’azienda, è imprescindibile se si vogliono creare relazioni reali, forti, durature nel tempo.
Per quanto possibile, il contatto umano dovrebbe affiancarsi a quello digitale fin dai colloqui: incontriamo di persona i nostri candidati e poi facciamoli conoscere al nostro team in fase di pre-onboarding, per rinsaldare la relazione ancor prima del primo giorno in azienda. E poi manteniamo vivo il contatto durante tutto l’Employee Journey, organizzando incontri in presenza periodici.
Sono concetti di cui da tempo si discute nelle aule HR. Ma quando c’è la base scientifica di uno studioso della psichiatria come Fuchs a confermarlo, non possiamo che rifletterci ulteriormente.
Del resto, uno dei più grandi paradossi della nostra società è questo: siamo iperconnessi, eppure ci sentiamo sempre più soli. E’ stato lo stesso Fuchs a dirlo durante il suo speech e noi stessi ne discutevamo già qualche tempo fa in “The Empathy Paradox”, il settimo episodio del nostro format HR Paradox by Reverse. Ospite dell’episodio è Andrea Colamedici, filosofo ed editore intervenuto anche quest’anno al Festival e autore di un libro che ti suggeriamo nel paragrafo conclusivo di questo articolo.
Ti lasciamo qui il suo intervento durante l'episodio:
4. E per concludere… qualche consiglio di lettura
Non possiamo che concludere questo nostro cammino filosofico con qualche consiglio di lettura. Ti proponiamo tre libri che pensiamo possano essere fonte di ispirazione per te e i tuoi colleghi HR, oltre ad approfondire quanto scritto nell'articolo.
Il primo ci invita a riflettere sulla società odierna, basata su social media e big data, attraverso un confronto con il passato. Perché la storia anche quando non sembra, è ciclica.
Il secondo e il terzo volume racchiudono invece gli studi di Ehrenberg: te li proponiamo nel caso tu sia interessato ad approfondire ulteriormente quanto detto nel primo paragrafo.
Speriamo di ingolosirti con qualche titolo, buona lettura!
“ L’alba dei nuovi dei - Da Platone ai Big Data”
di Andrea Colamedici, Maura Gancitano.
Trama - Nei momenti di crisi e trasformazione come quello che stiamo vivendo, la filosofia può aiutarci a rispondere alle domande più urgenti. Dobbiamo solo interrogarla. È ciò che fanno i filosofi e scrittori Andrea Colamedici e Maura Gancitano: mettendo in comunicazione il nostro presente con l’Atene del V secolo a.C., interrogano i pensatori dell’età classica, ma non solo, sui temi del dibattito contemporaneo. E si chiedono, per esempio, che cosa direbbero i sofisti delle echo chambers, la cui dinamica identitaria ed escludente ricorda tanto quella delle poleis greche, Atene in particolare, dove donne, schiavi e stranieri non avevano «diritto di cittadinanza». O quale parallelismo sia possibile rintracciare tra l’introduzione degli hypomnemata, i taccuini che sconvolsero la vita dei Greci al tempo di Platone, e l’avvento dello smartphone.
Secondo gli autori, come Socrate e Platone hanno visto la scrittura soppiantare l’oralità e hanno assistito al tramonto del mondo mitico, così noi oggi ci troviamo di fronte all’avanzata del digitale, che sta nuovamente rivoluzionando la comunicazione, il linguaggio e le strutture sociali, sancendo l’alba di nuovi dèi. Dopotutto «i big data possono essere interpretati come grandi divinità in provetta che stiamo (ri)costruendo in laboratorio, capaci di conoscere, prevedere e orientare i nostri desideri, scopi e bisogni più profondi, come sa fare ogni dio che si rispetti». E i social media, lungi dal rappresentare meri luoghi di intrattenimento, incarnano il tentativo dell’essere umano di superare il sé atomistico e creare un nuovo tipo di coscienza collettiva.
Eraclito diceva che non si può scendere due volte nello stesso fiume, essendo tutto in costante mutamento. Eppure alcuni eventi si ripetono nel corso della storia e molto si può apprendere imparando a riconoscere le somiglianze tra di essi. Colamedici e Gancitano ce lo dimostrano, confermando che la filosofia non solo può aiutarci a comprendere meglio il presente, ma anche a reinventarlo.
“La meccanica delle passioni. Cervello, comportamento, società”
di Alain Ehrenberg
Trama - Le neuroscienze cognitive considerano il comportamento umano (pensieri, emozioni e azioni) condizionato dai meccanismi cerebrali e intendono fare dell'esplorazione del cervello la chiave di volta per trattare le patologie mentali, come la depressione o la schizofrenia, e numerose problematiche sociali ed educative, come l'apprendimento e il dominio delle proprie emozioni. Esse stanno diventando lo strumento di controllo del nostro comportamento e delle nostre vite, e prendono il posto un tempo occupato dalla psicoanalisi.
L'uomo «neuronale» sta dunque per sostituire l'uomo «sociale»? Secondo Ehrenberg, l'autorità morale acquisita dalle neuroscienze cognitive deriva non solo dai loro risultati scientifici e medici, ma anche dal loro corrispondere a un grande ideale sociale: quello di un individuo capace di convertire i propri handicap in risorse sfruttando il suo «potenziale nascosto».
Esse sono dunque l'amplificazione meccanica dei nostri ideali di autonomia. Agendo in tal modo, le neuroscienze non fanno però che assecondare le tendenze «riduzionistiche» adeguate alle esigenze della società del consumo, dell'impresa e della competizione nonché quell'individualismo sfrenato che, al lungo e faticoso lavoro etico su di sé, preferisce la prescrittività di un coach o l'efficacia di una sostanza psicotropa.
“La società del disagio. Il mentale e il sociale”
di Alain Ehrenberg
Trama - Adottando i metodi di un’antropologia comparativa, l’autore esamina i due piú importanti modelli di interpretazione della sofferenza mentale, quello americano e quello francese, focalizzandosi sugli usi della ricerca sociale e della psicoanalisi nei due paesi. Ne risultano due grammatiche di rappresentazione ed esperienza del disagio diverse, derivanti da come le rispettive scene sociali e forme nazionali concepiscono la questione dell’identità, dell’autonomia e responsabilità individuale, i suoi fallimenti e catastrofi. Se negli Stati Uniti tutto resta confinato alla sfera dell’esperienza individuale, in Francia ed Europa ciò si traduce nel tema piú generale di un disagio nella società. Ne derivano differenti interpretazioni di concetti come self, personalità, soggetto, patologia narcisistica; modi opposti di correlarli, rispettivamente, alla crisi del liberalismo e dello stato sociale; diverse forme di presa in carico della sofferenza.