L’autopercezione dei candidati: andare oltre le apparenze

    Ci bastano dieci secondi per formulare un primo giudizio su una persona mai vista prima: è quanto dimostrano gli studi

    Il potere della prima impressione è prorompente e ha effetti a cascata su tutti gli aspetti della nostra vita, anche su quelli professionali. 

    E’ qui che entra in gioco l’“autopercezione”, ossia la percezione che abbiamo di noi stessi: quando un candidato presenta uno scollamento tra l’autopercezione e le proprie reali capacità, può dare un’immagine falsata di sé, anche in buona fede.

    È indispensabile quindi che tu HR Manager metta in campo la tua peculiare empatia per capire quando questo succede al candidato che ti siede di fronte. Come farlo? Ecco un approfondimento.

    1. L’autopercezione e la definizione di talento.
    2. Come scalfire la superficie? Parola all’Head Hunter.
    3. Oltre l’apparenza: il potere esclusivo dell’HR.

     

    1. L’autopercezione e la definizione di talento

    La percezione che abbiamo di noi stessi, altrimenti nota come "autoconsapevolezza" o “autopercezione”, è l’immagine che abbiamo dei nostri punti di forza e delle nostre debolezze, nonché il modo in cui giudichiamo queste nostre caratteristiche. 

    Ma, come anticipato, spesso questa autopercezione si discosta dalle proprie effettive qualità, dando all’esterno un’immagine non veritiera di sé. Nel caso dei candidati in fase di selezione, lasciarsi “ingannare” da un atteggiamento falsato può essere deleterio. 

    Se infatti per gli HR è ormai chiaro che in fase di colloquio non bisogna valutare solo le hard skill ma anche le soft skill, è bene fare un ulteriore passo avanti: bisogna considerare anche che il candidato potrebbe essere sinceramente convinto di possedere qualità diverse rispetto a quelle che ha realmente. 

    Quindi non ci si può fidare solo di ciò che racconta o dimostra di primo acchito chi ci siede davanti in fase di colloquio. 

    Questo è il motivo per cui il compito dell’HR non è per nulla banale: deve riuscire a scavalcare le impalcature e interpretare correttamente le reali competenze di chi si trova di fronte. In questo modo potrà individuarne le reali potenzialità. 

    Scendiamo più nello specifico.

    1.1 Autopercezione maschile e femminile 

    In uno studio discusso sulla Harvard Business Review e condotto sugli studenti di un MBA, con un'età media di 30 anni e con circa sei anni e mezzo di esperienza lavorativa, si è indagato il modo in cui uomini e donne hanno reagito al feedback sulla loro capacità di leadership.  

    Il feedback è infatti quello strumento che ci porta a confrontare le valutazioni degli altri con le nostre autopercezioni, ridimensionandole. 

    Quello che ne è emerso è che le donne hanno allineato più rapidamente la percezione di sé al feedback dei loro colleghi. Gli uomini invece erano partiti con un’alta valutazione delle proprie qualità di leader e hanno continuato a mantenerla anche dopo aver ricevuto il feedback. 

    In pratica le donne vengono maggiormente influenzate dagli altri, dimostrando una maggiore sensibilità al contesto sociale e una maggiore capacità di mettersi in discussione; gli uomini invece tendono a sopravvalutarsi rispetto al giudizio altrui, preservando in modo efficace la fiducia in sé stessi. 

    Quello che deriva dallo studio è quindi un insieme di pro e contro per entrambi i profili: 

    • le donne sono più portate a mettere in dubbio le proprie competenze e quindi possono essere scoraggiate nell’accettare nuove sfide. Di contro però sono molto propense all’apprendimento e al lavoro in team e motivate a imparare per accrescere continuamente le proprie competenze, ottenendo risultati sempre migliori. La capacità di apprendere le porta a ottenere risultati sempre crescenti sul lungo periodo. 
    • Gli uomini, al contrario, preservando la fiducia nelle proprie capacità, sono molto più entusiasti di lanciarsi in nuove sfide e di sfruttare nuove opportunità. Tuttavia, dimostrandosi meno propensi a mettersi in discussione per conservare il loro senso di sicurezza, sono portati ad avere successo nell’immediato, ma a frenarsi sul lungo termine. 

    Portando il discorso su un piano diverso da quello di genere, possiamo in generale considerare che le persone più inclini ad ascoltare il giudizio altrui potranno risultare più insicure, ma saranno anche quelle più portate a migliorarsi costantemente e a lavorare in squadra. 

    Chi invece ha una forte autostima e quindi si lascia meno influenzare dalle opinioni altrui, sarà più capace di farsi strada e accettare progetti sfidanti credendo nelle proprie potenzialità, ma si dimostrerà più individualista e meno portato all’apprendimento. 

    Capire questi meccanismi può essere la chiave di volta quando ci si trova davanti un candidato.

    1.2 Il talento

    C’è poi un altro discorso da fare quando parliamo di autoconsapevolezza: ed è la percezione del proprio talento. 

    Noi tutti oggi cerchiamo “il talento”, ma la parola ha in realtà diverse declinazioni a seconda di come viene interpretata. 

    Per come spesso viene inteso nell’ambito delle Risorse Umane, il talento viene considerato una capacità, un “saper fare”. Però non è propriamente così, come fa notare questo articolo.  Il talento, da definizione del vocabolario, è piuttosto una propensione, una predisposizione naturale. Quello che si sa fare è perciò una conseguenza del proprio talento, non coincide con esso. 

    Quindi attenzione, HR Manager in ascolto: quando dici che stai ricercando un “talento”, intendendolo come una persona che sa fare molto bene qualcosa, potresti trovarti davanti un candidato che intende la parola “talento” come da dizionario, ossia come una sua inclinazione naturale, probabilmente grezza e ancora da formare. 

    Anche questo deve fare riflettere: la persona che si ha davanti possiede il vero talento?

    Ha cioè le carte e la passione per essere formata una volta inserita in azienda? 

    Chi è appassionato può risultare poco fiducioso nelle proprie capacità, ma molto motivato ad apprendere. 

    Chi ha “talento” solo nel senso di “saper fare” può essere molto sicuro delle sue competenze ed essere spendibile nell’immediato, ma poco entusiasta di imparare sul lungo termine. 

    Porsi queste domande e capirne la risposta sarà un ottimo indicatore per le scelte future di un HR Manager consapevole. 

     

    2. Come scalfire la superficie? Parola all’Head Hunter.

    A premesse fatte, scendiamo ora nel pratico. 

    Abbiamo voluto chiedere a chi incontra candidati tutti i giorni quali strategie concrete mette in pratica per sbirciare dietro l’apparenza e capire cosa nasconde una certa attitudine.

    Lasciamo quindi la parola alla nostra Head Hunter Francesca Podda. 

    Francesca Podda (3) (1)

    “Riscontrare casi di scollamento tra l’autopercezione del candidato e le sue reali competenze è all’ordine del giorno nel nostro lavoro. Scalfire la superficie e vedere cosa si nasconde sotto è una delle grandi sfide e uno dei grandi valori aggiunti di chi lavora nelle HR. 

    Come qualificare in modo oggettivo i candidati che si svalutano e quelli che, al contrario, si incensano? 

    Ci sono due strategie che possono essere messe in pratica in due fasi diverse del processo di selezione. 

    Innanzitutto c’è una fase preliminare, quella del cosiddetto “colloquio conoscitivo” che precede il colloquio con l’azienda e con il Line Manager.

    In questo stadio capita spesso di trovare candidati timidi e insicuri, che non si sentono all’altezza e non hanno percezione oggettiva delle proprie competenze. Quello che è bene fare in questi casi è riportare la persona sui numeri: riferirsi a dati oggettivi che possano essere un indice concreto del suo operato. E attraverso questa analisi spesso si scopre che il candidato aveva addirittura superato i suoi obiettivi, e che la percezione del proprio valore era del tutto sfalsata rispetto ai risultati reali. 

    Lo stesso discorso si può fare per i candidati che si sopravvalutano rispetto alle loro reali capacità, autodefinendosi alti professionisti.  Anche in questo caso bisognerà riportare chi si ha di fronte con i piedi per terra, al dato reale, “In tale anno, in relazione all’obiettivo che avevi, quali sono stati i dati effettivi riscontrati?”. Se il candidato è realmente competente o confida eccessivamente nelle sue capacità, saranno i numeri a dimostrarloVeniamo poi alla fase post, quella che in cui si passa ad uno stadio più avanzato del processo di selezione. 

    In questo momento mettere le persone in relazione con il contesto in cui dovranno lavorare e farle incontrare direttamente con la squadra di cui dovranno far parte può essere estremamente rivelatorio.

    Mettiamo il caso di uno sviluppatore che provenga da un piccolo team di una piccolo-media impresa e che debba passare nel team IT di una realtà piuttosto strutturata. È chiaro che se nel team precedente aveva l’autopercezione di avere una notevolissima competenza tecnica, messo a confronto con la nuova squadra le sue impressioni si ridimensioneranno. 

    Lo stesso vale per l’incontro tra il candidato e il Line Manager: una volta confrontatosi con le esigenze della linea, la persona che si autocelebra potrebbe ridimensionarsi, quella invece che si svaluta potrebbe rendersi conto che ha tutte le carte in regola per portare risultati nella nuova realtà per cui si sta candidando. 

    Sono due passaggi molto importanti: mettere il candidato davanti alla realtà dei fatti, commentando dati reali prima e facendogli affrontare vis a vis il suo futuro team e i suoi futuri manager dopo, è uno dei metodi più efficaci per ridimensionare in modo oggettivo le loro autopercezioni. Oltre a essere, soprattutto, uno strumento per far prendere a noi Headhunter e agli HR decisioni consapevoli, basate su evidenze effettive. 

    Andare oltre l’attitudine di un candidato è ciò che davvero fa la differenza nel permanent placement di un profilo.” 



     

    Una Candidate Experience ottimale aiuta anche te HR a capire meglio il candidato che ti siede di fronte. Come migliorarla? Ecco una guida pratica:

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    3. Oltre l’apparenza: il potere esclusivo dell’HR 

    A conclusione di questa analisi, possiamo definire il tuo potere, HR Manager, del tutto unico in azienda. E ti dimostriamo anche perché. 

    Un sondaggio condotto da Leadership IQ su 1.400 HR ha rivelato che l'atteggiamento di un candidato durante un colloquio è un fondamentale fattore predittivo sulla sua futura performance in azienda e che, contrariamente a quanto si pensa, la mancanza di competenze tecniche non è la ragione principale di assunzioni rivelatesi poi fallimentari.  L'89% dei problemi nella performance delle nuove risorse deriva  da un’attitudine erronea e non conforme ai valori aziendali, non da un deficit di competenze.

    Da quanto emerso, sono cinque i motivi principali che generalmente portano al fallimento di nuovi assunti, in ordine di importanza: 

    • l’incapacità di accettare e mettere in pratica i feedback ricevuti dai superiori, dai colleghi, dai clienti e altri;
    • la mancanza di intelligenza emotiva, cioè di comprendere e gestire le proprie emozioni, valutando accuratamente anche quelle altrui;
    • la carenza di motivazione personale a realizzare concretamente il proprio potenziale e ad eccellere nel proprio lavoro;
    • l’attitudine negativa nel gestire le situazioni lavorative e il rapporto con i colleghi;
    • la mancanza di capacità tecniche richieste dal proprio ruolo.

    Salta subito all’occhio che le competenze tecniche si trovano all’ultimo posto della classifica, superate di gran lunga da una numerosa sequenza di skills attitudinali. 

    E la motivazione è molto semplice: la valutazione dell’autopercezione dei candidati è spesso trascurata nel processo di selezione e porta a inserire in azienda risorse che all’apparenza sembravano giuste, ma che poi non si rivelano tali.

    Sempre secondo l’indagine di  Leadership IQ, l’82% dei manager ha dichiarato che, con il senno di poi, avrebbe potuto riconoscere che il candidato non fosse in linea con le esigenze aziendali da dei campanelli d’allarme durante il colloquio. Perché invece questi segnali sono stati ignorati? Perché, dichiarano, erano troppo concentrati sulla valutazione delle competenze più tecniche. 

    Ecco, questo è un vero peccato.  Per valutare le competenze più tecniche, infatti, ci si può avvalere di supporti tecnici esterni con ottimi risultati, ma  interpretare correttamente l’attitudine dei candidati è un compito in cui l’HR rimane imbattuto.

    Il messaggio che vogliamo lanciarti oggi è quindi questo: è necessaria la tua capacità empatica di HR per sbirciare dietro la corazza del candidato e capire se potrà inserirsi in modo reciprocamente fruttuoso all’interno della tua cultura aziendale. Fare un passo oltre rispetto alla tradizionale valutazione di hard e soft skill e concentrarti sulla valutazione attitudinale può cambiare il paradigma del tuo operato come HR Manager e renderti una figura davvero cardine e insostituibile in azienda.

     


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    Reverse è una realtà in continua evoluzione: come un gruppo di scienziati e ricercatori che giorno dopo giorno creano qualcosa di nuovo per migliorare e semplificare il mondo dell’Head Hunting e l’attività di chi si occupa di HR.
    Alessandro Raguseo, CEO