La Leadership Positiva

    In tutti i contesti professionali in cui si lavora in gruppo o si deve collaborare con altre persone, la capacità di coordinare e guidare un team è un’abilità fondamentale. Sono molti gli psicologi che hanno studiato questo concetto: uno su tutti Daniel Goleman che, oltre a essersi interessato allo studio dell’intelligenza emotiva, ha anche scritto libri e condotto ricerche proprio per decifrare e riconoscere i vari tipi di leadership, come fatto con il suo “Piccolo manuale di intelligenza emotiva per leader che ottengono risultati”.

    Non è una sorpresa che queste ricerche mostrino come le emozioni positive aumentino le performance e la produttività dei lavoratori: di conseguenza la relazione tra leadership e visione positiva diventa di fondamentale interesse anche in un’ottica di business.

    Ma in che modo la visione positiva di un leader può avere un effetto sulla performance del proprio team? È questo uno degli interrogativi che si pone Goleman, secondo cui questo tipo di leadership è una vera e propria competenza che può essere appresa e sviluppata.


    1. Cosa si intende per leadership positiva?  
    2. Leadership positiva e leadership negativa
    3. Il ruolo del Chief Happiness Officer
    4. Happiness at work
    5. Strategie per una leadership positiva

     

    1. Cosa si intende per leadership positiva?

    Anche se non sempre inserita nelle pratiche della concreta quotidianità aziendale, è ormai sdoganata l’idea che le emozioni positive abbiano un impatto sul business. In questo contesto il leader ricopre un ruolo di primaria importanza, avendo la capacità di influenzare il clima del gruppo di lavoro e la cultura organizzativa all’interno dell’azienda.

    Un leader positivo è una persona in grado di guidare la propria squadra verso performance e risultati migliori: sa come motivare i propri collaboratori, come coinvolgerli e valorizzarli per raggiungere insieme un obiettivo comune. Non si tratta quindi di “comandare” o “dare ordini”, quanto invece di guadagnarsi il rispetto dei colleghi e facilitare un ambiente di lavoro sereno e stimolante. Il leader non è solo un capo, ma anche una guida in grado di trascinare con entusiasmo e motivazione le persone, per ottenere da loro il massimo impegno e partecipazione.

    Ma quali sono le caratteristiche che un leader positivo deve certamente possedere? Eccone alcune:

    • passione, ossia credere in ciò che si fa con fermezza e trasmettere entusiasmo agli altri;
    • proattività, intervenendo in anticipo per prevenire situazioni negative che potrebbero influenzare l’ambiente lavorativo;
    • visione, perché conoscendo la meta si può controllare che il proprio team non perda la direzione per raggiungerla;
    • positività, per affrontare le avversità evidenziando gli aspetti sfidanti e cogliendone le opportunità, incoraggiando i collaboratori;
    • consapevolezza, per comprendere il potenziale delle risorse umane in azienda e quindi valorizzarle.

     
    Sono tutte abilità che ognuno di noi può allenare, risorse che si possono coltivare per essere un leader positivo capace di conciliare benessere ed efficienza in azienda.
    Oggi la leadership positiva sta diventando sempre più essenziale, perché permette all’empatia di emergere all’interno dei team e ne migliora le performance. Se si lavora sul coinvolgimento e si ispira positività nei colleghi, è possibile alimentare un circolo virtuoso di benefici che si riflettono all’interno dell’organizzazione:
     

    • nascono relazioni basate sulla fiducia che riducono gli attriti, favoriscono ambienti di lavoro sereni e incrementano la produttività;
    • i dipendenti si concepiscono come parte attiva nel raggiungimento degli obiettivi aziendali, si sentono coinvolti e ottengono risultati migliori;
    • si sviluppa una comunicazione positiva che non lascia spazio alle incomprensioni, migliora il clima aziendale e riduce l’assenteismo;
    • si stimolano la creatività e un approccio costruttivo nell’affrontare imprevisti e difficoltà sul lavoro.

    Tutti questi benefici emergono quando il capo non è più visto come un’entità a sé stante: i grandi leader positivi sanno che devono assumersi la responsabilità del gruppo, gratificarlo nei successi e non demonizzarlo nei fallimenti, mettendolo così nelle condizioni di contribuire alla crescita dell’azienda.

     


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    2. Leadership positiva e leadership negativa

    Se i motivi del successo della leadership positiva sono evidenti, vale senz’altro la pena di soffermarsi sul concetto opposto, ossia quello di leadership negativa, che continua a essere una tipologia di gestione diffusa in molte organizzazioni.

    Così come abbiamo identificato le caratteristiche della leadership positiva, altrettanto facilmente possiamo elencare alcuni indicatori che ci fanno capire quando siamo in presenza di una leadership negativa all’interno di un team di lavoro:

    • autoritarismo: i leader negativi non permettono al loro team di prendere l’iniziativa e di sviluppare il lavoro secondo i propri criteri;
    • narcisismo: i leader negativi hanno una visione di sé e delle proprie idee poco aderenti alla realtà. Spesso ignorano le potenzialità e le capacità dei loro collaboratori e non ne considerano realmente idee e proposte;
    • auto-promozione: tendono a prendersi il credito del successo ottenuto da tutto il gruppo e, al contrario, posso risultare assenti quando si presentano problemi complessi da risolvere;
    • supervisione eccessiva: i leader negativi preferiscono non delegare e, quando devono farlo, controllano costantemente il lavoro per verificare che venga svolto secondo le proprie modalità. Il risultato di questo atteggiamento è uno solo: lavoratori insoddisfatti con bassa produttività.

     

    3. Il ruolo del Chief Happiness Officer

    Appare sempre più evidente come la presenza di una leadership positiva all’interno di un’organizzazione assuma un’importanza strategica, perché la promozione di un clima aziendale favorevole non solo è importante per il singolo individuo, ma può avere effetti determinanti anche a livelli più alti. Ecco perché in diverse aziende inizia a essere sempre più presente una figura dedicata proprio a questo tema: il Chief Happiness Officer.

    Il CHO è comunemente un HR Manager (ma può essere anche lo stesso CEO dell’azienda) e si impegna nel promuovere un ambiente di lavoro che stimoli la felicità e la serenità di chi vi opera, con l’obiettivo di ottenere benefici in termini di produttività, employer branding, talent acquisition e diminuzione del turnover.

    Nel concreto, le attività supervisionate dal Chief Happiness Officer sono comunemente quelle che riguardano il processo di selezione e inserimento delle risorse in azienda, la definizione dei piani di carriera, la gestione e il monitoraggio delle performance lavorative e l’engagement dei collaboratori.

    Per svolgere tutti questi compiti, il CHO necessita ovviamente di esercitare un modello di leadership positiva, orientata appunto alla felicità delle persone all’interno dell’organizzazione, cercando di estendere questa pratica anche alle altre figure apicali dell’impresa.

    Chi si occupa di raggiungere questo obiettivo si incarica di definire un piano strategico per portare al maggior livello di soddisfazione possibile influenzando anche la cultura aziendale, che rappresenta quell’insieme di pratiche e comportamenti che distinguono il modo in cui vengono gestiti un’azienda e i suoi lavoratori. L’importante è rendere la vita (professionale e non) delle persone il più semplice possibile

    Parlando di cultura aziendale arriviamo a un altro elemento decisivo: la diversity. Diversity significa avere talenti diversi, sotto ogni punto di vista: età, competenze, percorso formativo e professionale, genere, cultura. Una diversità che deve in ogni caso essere sostenuta da inclusione e senso di appartenenza: lavorare in un’azienda inclusiva vuol dire avere la possibilità di esprimersi per come si è, in ambito relazionale e professionale. E il CHO deve assicurarsi che tutto ciò avvenga.


    4. Happiness at work
     

    La felicità è qualcosa che creiamo, non è qualcosa che dobbiamo raggiungere. È un percorso che scegliamo di percorrere, non una destinazione a cui arrivare”.

    Nel suo libro “Managing for Happiness” lo scrittore olandese Jurgen Appelo definisce il concetto felicità e si interroga su quali siano gli elementi che la compongono, individuando quelli che lui chiama “12 steps to happiness”, le 12 attività utili a vivere felicemente la propria vita personale ma anche quella lavorativa:

    • thank (ringraziare): essere sempre disposti a ringraziare i nostri colleghi e a riconoscerne il contributo;
    • experience (sperimentare): provare nuove esperienze e permettere ai nostri collaboratori di fare lo stesso;
    • give (donare): donare qualcosa a chi ci sta accanto e compiere gesti altruisti;
    • hike (fare escursioni/esplorare): trovare un contatto con la natura e concedere occasioni di evadere dall’ufficio;
    • help (aiutare): offrire il proprio sostegno a chi ha bisogno di assistenza per una certa attività;
    • meditate (meditare): concedersi uno spazio di raccoglimento per meditare ed esercitare pratiche di mindfulness;
    • eat well (mangiare sano): promuovere il benessere a partire da ciò che mangiamo anche sul luogo di lavoro;
    • socialize (socializzare): relazionarsi con le altre persone e renderlo possibile anche ai colleghi attraverso spazi e momenti dedicati;
    • exercise (allenarsi): mantenersi in salute con l’allenamento, possibilmente anche in spazi appositi sul luogo di lavoro;
    • aim (focalizzarsi): concentrarsi su un obiettivo e aiutare i colleghi a comprendere e realizzare i loro scopi il più facilmente possibile;
    • rest (riposare): garantire il tempo per riposarsi, assicurando anche un ottimo equilibrio tra la vita personale e quella professionale;
    • smile (sorridere): sorridere, apprezzare l’umorismo e, quando possibile, coinvolgere i colleghi in attività divertenti.

    Guardando ai 12 fattori della felicità individuati da Appelo, constatiamo che in ogni realtà si può migliorare la felicità delle persone, lavorando sulla significatività del lavoro e la qualità delle relazioni anche attraverso piccole azioni e cambiamenti.

    Il termine Happiness at Work in Italia viene spesso confuso con alcuni aspetti del welfare aziendale, inteso come servizi in azienda per far stare meglio le persone, ma non è solo questo che rende davvero felici i lavoratori. Due temi fondamentali in quest’ottica sono i risultati e le relazioni: per ogni lavoratore è importante constatare che il lavoro che ha svolto ha significato per l’azienda e che il ruolo che ricopre nel team è coerente con i propri valori. Questo genera senso di orgoglio e appartenenza.

    Insomma, un dipendente felice è un dipendente produttivo, che ottiene risultati migliori. Non solo, perché arrivati a questo punto possiamo dire che si tratta di una vittoria per entrambe le parti: un dipendente felice diventa “ambasciatore” della cultura aziendale, contribuendo anche al processo di employer branding e quindi ad attrarre i migliori talenti.

     

    5. Strategie per una leadership positiva
     

    Abbiamo visto come la leadership positiva si fondi su una cultura che permette alle persone di essere sempre più proattive e rivolte allo sviluppo, consentendo loro una maggiore autonomia, migliori performance e relazioni interpersonali più soddisfacenti.

    Per concretizzare questo approccio, che mette al centro la felicità dei collaboratori per raggiungere gli obiettivi aziendali, il leader positivo costruisce una visione e una strategia chiara, riesce a creare ruoli e mansioni che gratifichino le persone attraverso il riconoscimento e l’allenamento delle loro potenzialità e contribuisce così a valorizzare il patrimonio umano dell’organizzazione. Dal canto suo, il collaboratore riesce a esprimere il proprio potenziale e ad acquisire un maggiore senso di responsabilità verso gli obiettivi da raggiungere.

    In questo contesto, è chiaro che il dialogo e il feedback costante sono gli elementi indispensabili per costruire una relazione di fiducia tra il leader e le persone che lavorano insieme a lui.

    Potremmo dire che anche il cliente abbia un ruolo in questo modello di leadership. In che modo? Intervenendo nel processo di crescita e sviluppo attraverso il suo feedback riguardo ai prodotti o ai servizi acquistati. Compito dei leader è quello di interpretare i bisogni, le esigenze e le aspettative del cliente e del mercato attraverso un ascolto proattivo, fino a integrare il suo punto di vista nello stesso processo organizzativo e dunque indirizzare il lavoro dei colleghi verso il miglioramento costante del prodotto o del servizio offerto.

    In questo senso la competenza più importante di un leader positivo è la capacità di sviluppare la visione e le competenze altrui e formare nuovi leader che a loro volta contribuiranno alla crescita dell’azienda. Si crea così una nuova cultura organizzativa che persegue il successo dell’impresa attraverso il coinvolgimento e l’impegno di tutti nella realizzazione propria e della visione aziendale.


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    Reverse è una realtà in continua evoluzione: come un gruppo di scienziati e ricercatori che giorno dopo giorno creano qualcosa di nuovo per migliorare e semplificare il mondo dell’Head Hunting e l’attività di chi si occupa di HR.
    Alessandro Raguseo, CEO