Questa volta per la nostra rubrica “La parola all’HR” Lara Torres non ha intervistato un Responsabile Risorse Umane bensì un senior manager di Enel, che ci ha accompagnati in una riflessione sul percorso di crescita di un buon manager, tema molto caro a tutti gli HR manager.
Augusto Raggi, Head of North Western Macro Area di Enel, ha approfondito con noi il tema dello sviluppo di carriera di un manager nell’era della digitalizzazione: quali sono i cambiamenti che i manager stanno affrontando e quali le difficoltà, quali sono le principali skill necessarie oggi, quali le modalità in cui ogni azienda può trattenere e far crescere i propri manager, contrastando demotivazione e calo dell’entusiasmo.
1. Il ruolo del manager oggi: cosa è cambiato rispetto al passato?
Il ruolo del manager è stato identificato, per quasi un secolo, con le funzioni di base teorizzate da Henri Fayol, imprenditore e ingegnere francese di inizio ‘900. All'interno delle sue teorie sul management, identificava le 5 funzioni principali della gestione manageriale:
- pianificazione e previsione
- organizzazione dello staffing
- direzione
- coordinamento
- controllo
A quasi un secolo di distanza possiamo ancora adottare questo modello?
“Il mondo esterno cambia velocemente e questo rappresenta una variabile decisiva nello sviluppo di questa professione. Tantissime dinamiche di business e di vita reale sono oggi mutate e il buon manager deve, con la sua curiosità, interpretare questi cambiamenti e gestirli in azienda nel modo migliore”. Augusto Raggi
Raggi puntualizza su come, a fianco dei cambiamenti rapidissimi che ci impone il mondo del business moderno, certi elementi rimangano sempre validi. Tra questi:
- la capacità di un manager, con il suo modus operandi, di contaminare le persone del suo team e dare l’esempio;
- l’importanza apicale delle soft skill che continuano ad essere un tratto importantissimo da tenere in considerazione.
Secondo Raggi dunque gli elementi distintivi da mettere in campo per essere un buon manager oggi sono quattro:
- Empatia: significa saper tirare fuori da ognuno la parte migliore e le energie migliori che vengono poi messe a disposizione di tutta la squadra. L’empatia si trasmette in maniera dirompente sia internamente che esternamente al team, con clienti e stakeholder. Certamente è qualcosa di innato ma che si può anche imparare e sviluppare con l'esercizio. E’ un elemento potentissimo, che rende possibile il secondo elemento.
- Coinvolgimento: secondo ingrediente per la corretta gestione di un team. Oggi è sempre più importante fare in modo che il lavoro si adatti alle esigenze del singolo dipendente, motivandolo a dare il meglio di sé.
- Determinazione: capire come superare ogni tipo di ostacolo per raggiungere gli obiettivi, ma saper anche capire quando cambiare strada se la situazione è mutata.
- Ambizione: non da vedere con accezione negativa, ma come una sana scintilla che accende la voglia di migliorare e migliorarsi sempre.
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2. Cosa possono fare le aziende per crescere dei buoni manager? Motivazione, employer branding e formazione.
A questo punto la domanda che sorge spontanea è come può oggi un’azienda tenere motivato un manager perchè mantenga sempre un alto livello su tutti questi aspetti?
2.1 Motivazione
Questo è un aspetto in cui un top management illuminato, come quello di Enel che emerge dalle parole di Augusto Raggi, fa la differenza. Nella vita professionale di ognuno ci sono momenti in cui non si è al top, e avere la pazienza e la determinazione necessarie non è mai semplice, ma un buon top management sa riorganizzare competenze ed obiettivi per trovare la giusta opportunità per ogni dipendente.
Ovviamente un'azienda strutturata ha molte attività e molti progetti quindi può più facilmente trovare il giusto posto per ognuno, mentre in una realtà piccola può essere più difficile, ma il focus del manager deve comunque rimanere sulla motivazione del singolo. Infatti trovare la soluzione ad eventuali cali di motivazione è importante sia per la persona sia per l'ambiente di lavoro in generale: l’aria che si respira ogni giorno influenza le performance di tutti. La motivazione è un valore che contamina, anche fuori dall’azienda (aiutando tra l’altro la talent acquisistion).
Il manager moderno, tornando quindi alle funzioni di Henri Fayol, si occupa sicuramente meno rispetto al passato del “come svolgere un lavoro”, concentrando le proprie energie sulla definizione degli obiettivi del proprio team mettendo in condizione i propri dipendenti di esprimere tutte le loro potenzialità.
2.2 Employer branding
Sicuramente, una strategia di employer branding può contribuire oggi a fidelizzare i dipendenti. Secondo una ricerca di Boston Consulting Group può arrivare a ridurre il turnover fino al 28%, con tutti i risparmi in termini di costi di assunzione di nuove risorse che possiamo immaginare. I dipendenti possono inoltre essere ottimi alleati nella promozione del brand aziendale, a patto che si sentano valorizzati dall’azienda per cui lavorano e che ne condividano i valori.
2.3 Formazione
Abbiamo visto quindi come il manager assuma nelle organizzazioni moderne un ruolo nuovo, più in linea con le esigenze del mercato del lavoro attuale. Partendo da queste considerazioni, quali sono i “sentieri” da privilegiare nella formazione delle nuove carriere manageriali? Per Augusto Raggi ci sono in particolare due tipi di formazione da perseguire, più un terzo aspetto:
- la formazione tecnica, di base, comune a tutti;
- una formazione “tailor made”, personalizzata sulle esigenze, ambizioni e aspettative della persona.
Inoltre, Il manager non deve mai dimenticare che “le persone ti guardano, ogni giorno ti rubano con gli occhi quello che dai e come ti comporti sia in azienda che fuori”. E questa formazione è la più reale che un manager può dare.
“E’ un po' come giocare a pallone: corsa e giri di campo sono uguali per tutti. Gli esercizi per battere le punizioni e i rigori, così come i vari movimenti tattici, sono personalizzati per ogni giocatore. Confezionare ad arte una tipologia di formazione per un determinato ruolo e una determinata persona è molto importante, perché permette di raggiungere l’eccellenza”.
3. A che punto siamo con la digitalizzazione?
La digitalizzazione è ormai inevitabile sia a livello aziendale che personale. E’ necessario che l’azienda segua quello che succede nella vita reale: se fuori usiamo le app e abbiamo un certo mindset non è possibile tornare indietro e riadattarci a vecchi standard quando entriamo in azienda.
E’ necessario inoltre riuscire a parlare tutti la stessa lingua, senza divari dovuti a diversi livelli di digitalizzazione. L’attitudine alla tecnologia è un aspetto che dobbiamo rubare alle nuove generazioni: “i ragazzi che entrano in Enel ci portano questa ventata di velocità che ci piace integrare.”
“I nostri ragazzi sotto questo punto di vista sono i nostri primi insegnanti: hanno mostrato e continuano a mostrare anno dopo anno caratteristiche di velocità e problem solving, grazie all’apporto decisivo delle nuove tecnologie, davvero utili per lo sviluppo aziendale. D’altronde in Enel abbiamo affrontato ogni possibile investimento in campo tecnologico per renderli in grado di raggiungere questi risultati ”.
4. Mediazione del manager
Ogni giorno un manager media: ogni sua decisione deriva da quelle del top management e influenza il lavoro del team operativo. Quindi servono unità d'intenti e fiducia. Un altro aspetto fondamentale è l’ascolto: il team operativo, se ben motivato e coinvolto, dà sempre indicazioni preziose al manager. Quindi se tu manager non riesci a cogliere quotidianamente questi spunti con ascolto attivo, perdi moltissimo. Si deve lavorare come un'unica squadra e questo trust tra manager e team è un valore preziosissimo che fa la differenza nel raggiungimento degli obiettivi.
Guarda l'intervista integrale ad Augusto Raggi:
5. Parola ai dati
Concludiamo con alcuni dati relativi al nostro Paese:
In Italia abbiamo pochi manager, ma soprattutto pochi manager giovani rispetto ai principali paesi avanzati. I dati che purtroppo certificano questo ritardo del nostro paese sono stati rivelati e certificati a più riprese da Eurostat, dalle indagini di Manageritalia e da un vero e proprio osservatorio, 4.manager, che Confindustria e Federmanager hanno deciso di costituire per rispondere ai fabbisogni emergenti dei territori e per spingere la crescita di questo tipo di figure professionali.
Analizzando i dati provenienti da queste ricerche, emerge come i manager pubblici e privati siano in Italia l’1,3% dei lavoratori dipendenti, contro una presenza media europea del 4,9% e del 2,5% in Spagna, del 3,7% in Germania, del 6,7% in Francia e del 10,3% in Uk. Se poi guardiamo la situazione “giovani talenti”, le cose non migliorano: se l’età media dei manager europei è di 45,2 anni, quella italiana è di 50,2. I motivi di questo semplice dato di fatto sono facilmente rintracciabili:
- le aziende a guida familiare in Italia sono molte più che all’estero, e la maggior parte è di piccole e medie dimensioni;
- confrontando aziende della stessa grandezza e rilievo, il tessuto imprenditoriale italiano ha manager esterni solo nel 33% dei casi, mentre in Spagna il 64%, in Germania il 72%, in Francia il 74,2%;
- abbiamo meno aziende nei settori innovativi ad elevata tecnologia, quelli in cui inserire manager giovani in posizioni di comando è d’obbligo per stare sul mercato.
Non tutto è perduto però: sono molte in Italia le realtà come Enel che oggi comprendono quale sia il nuovo ruolo dei manager, e implementano politiche attive per colmare il gap rispetto agli altri Paesi.
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