Ghost Writer

    Prima che Agassi decidesse di pubblicare la sua autobiografia, della figura del ghost writer si era sentito parlare ben poco. 

    C’è voluta la storia di un tennista per fare luce sul segreto di Pulcinella di una buona fetta di storia della letteratura e della scrittura in generale: non sempre chi firma una storia né è l’autore.

    Lo sa bene Valentina Ballardini, di mestiere redattrice, traduttrice, scrittrice e ghost writer, appunto. Quando le abbiamo chiesto come si sarebbe sentita nei panni di J.R. Moehringer, ossia colui che ha raccolto le memorie di Agassi e le ha trasformate in un libro da milioni di copie vendute in tutto il mondo, ha abbassato le difese e ci ha confessato che “forse, a non vedermi riconosciuto il merito di quelle pagine, un po’ ci sarei rimasta male”.

    Ma iniziamo da principio e capiamo insieme come si fa questo lavoro e perché, soprattutto oggi, quella del ghost writer è una professionalità sempre più richiesta, soprattutto dalle aziende.


    Valentina, ci spieghi meglio cosa significa fare la ghost writer?

    Fare la ghost writer significa scrivere per nome e per conto d’altri. Vuol dire metterci del tuo laddove però tu, alla fine, non dovrai nemmeno essere percepita. 

    Trovare l’equilibrio che garantisce l’invisibilità dell’io di chi scrive senza rinunciare alle proprie capacità di scrittura è probabilmente la sfida più grande, ma anche la più bella di questo lavoro.

    Non si scrivono solo romanzi, ma anche saggi, testi di approfondimento di qualsivoglia natura, biografie, autobiografie (come il buon Agassi ci insegna), testi per i siti web, e-book aziendali, discorsi di manager, di politici o di personaggi di spicco in generale.

    La maggior parte delle volte il cliente che ti commissiona un progetto mette sul tavolo solo un’idea di massima in relazione alla quale è complicato sapere sin da principio cosa ci si potrà aspettare. 

    Quello della scrittura è infatti sempre un lavoro che si comprende “in progress”: è scrivendo e cercando di condividere la visione del tuo cliente che si scoprono varie strade potenzialmente percorribili così come gli ostacoli da superare o le opportunità da cogliere. Tutte cose che a monte spesso si ignorano.

    Come tutti i lavori editoriali, poi, può essere approcciato in modalità completamente differenti. Molto dipende dal progetto e dalla sua definizione iniziale (è un’idea vaga o già precisa? Quale tipo di obiettivo ha? I margini di manovra in senso creativo quanto ampi sono? ecc.) e altrettanto dagli interlocutori.

    L’approccio a mio avviso più sicuro per procedere è costruirsi una visione complessiva di quello che il cliente vuole comunicare e iniziare a fare una prima proposta.

    Per esempio, di un eventuale libro si scrive solo il primo capitolo e su quello si aggiusta il tiro per ciò che verrà successivamente. Serve in termini di scelte lessicali, fraseggio, struttura dello scritto, livello di fluidità e così via.

    Chi commissiona un’attività a un ghost writer deve quindi mettere in conto di essere continuamente coinvolto nel processo di scrittura: perché il lavoro non perda di efficacia è necessario uno scambio continuo tra cliente e fornitore.

     

    Nella costruzione del rapporto di fiducia tra cliente e ghost writer quali criticità si possono incontrare e come le si può superare?

    Scrivere è sorprendersi e, soprattutto, essere in grado di accogliere la sorpresa. Chi ti commissiona un lavoro di ghost writing è però spesso totalmente avulso da questo tipo di meccanismo ed è quindi doveroso non solo condividere dubbi, perplessità e opportunità sin da principio, ma anche (e soprattutto!) in progress.

    Forse però il nodo più grosso da sciogliere è la definizione del tono di voce. 

    Penso soprattutto ai progetti aziendali: il mood di comunicazione è spesso ancora più importante del contenuto stesso. Come si scrive qualcosa determinerà la percezione che le persone avranno di un’azienda, di un prodotto, di un servizio. 

    Così come ci sono interlocutori che non solo hanno ben chiaro il tone of voice, ma che soprattutto hanno “scelto” quello corretto per arrivare al punto, ce ne sono molti altri che hanno necessità di essere affiancati per comprendere cosa davvero andrebbe meglio per loro.

    Come ghost writer quindi, non si scrive e basta, ma si sceglie – con competenza – come farlo e si chiede al committente di fidarsi di questa scelta.

     

    Quali sono le principali soddisfazioni che raccogli da questo lavoro?

    Per me il lavoro di chi scrive è per sua definizione un lavoro fatto di soddisfazione: le parole sono le tue così come la scelta dei dettagli. Anche quando lo fai con il nome di qualcun altro o in completo anonimato, ciò che scrivi è parte di te. 

    Non è quindi necessario vedere il proprio nome alla fine di un testo per essere felici di averci lavorato: la soddisfazione, per me, è insita nello scrivere stesso.

    In termini di relazione con il cliente, invece, la gratificazione arriva là dove si riesce a fare propri i desideri, i pensieri e le emozioni delle persone o delle aziende per le quali si sta scrivendo. Capire di aver colto nel segno è rassicurante.

     

    Oltre a saper scrivere, cosa ci vuole per fare questo lavoro?

    Prima di arrivare a scrivere qualcosa è innanzitutto necessario entrare in sintonia con il committente. 

    Che non vuol dire avere un rapporto di confidenza personale, quanto invece di intimità professionale. Significa conoscersi e prendersi del tempo per ascoltare: quello che ti dice, quello che “mette tra le righe” e anche quello che, più o meno consapevolmente, omette.

    Empatia è una parola spesso abusata, ma che qui calza bene. Se devo essere in grado di trasmettere, scrivendo, le emozioni di qualcun altro, devo darmi la possibilità (ed essere messa nelle condizioni) di conoscere queste emozioni, capirle e tradurle in un messaggio che renda me invisibile – pur avendole scritte – e che nello stesso tempo faccia emergere la persona o l’azienda per la quale sto lavorando.

    Gli incontri e le chiacchierate preliminari con i clienti sono quindi fondamentali per poter riuscire a lavorare bene: si tratta di un investimento di tempo per entrambe le parti che è però solo apparentemente non produttivo.

     

    Quali pensi che sia il futuro di questa professione?

    Viviamo in un periodo storico in cui c’è bisogno di contenuti: i luoghi dove fruirne sono raddoppiati e le aziende si affidano sempre di più al content marketing. Chi diceva che “content is king” non si sbagliava.

    Molte aziende però non sono internamente abituate e attrezzate a produrre i contenuti di cui tanto necessitano e per questo motivo si rivolgono a professionisti esterni, tra cui, appunto, noi ghost writer che, oltre alla scrittura tout court, siamo in grado di supportarle anche nella valutazione del contenuto stesso e all’uso che se ne dovrà poi fare.

    Ritengo inoltre che la tendenza al riconoscimento dei professionisti che lavorano dietro le quinte vissuta attualmente nell’editoria (penso al sindacato traduttori che, tra le altre cose, da tempo si sta battendo – in alcuni casi già riuscendoci – affinché il nome del traduttore di un libro sia ben visibile già dalla copertina) investirà anche il mondo del ghost writing. 

    La valorizzazione di persone e competenze non è più solo un escamotage per lo storytelling d’azienda, ma assume anche un aspetto etico che non è più possibile sottovalutare.




    6 professioniste che “lavorano dietro le quinte”, mettendo competenze e know how a disposizione di aziende e persone senza avere visibilità pubblica. 

    Leggi le loro storie:

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    Reverse è una realtà in continua evoluzione: come un gruppo di scienziati e ricercatori che giorno dopo giorno creano qualcosa di nuovo per migliorare e semplificare il mondo dell’Head Hunting e l’attività di chi si occupa di HR.
    Alessandro Raguseo, CEO