Introduzione di un salario minimo in Italia: sì o no? E’ questa la domanda che tutti si stanno ponendo ormai da qualche tempo, da quando è stata avanzata una proposta di legge in merito.
Questo settembre 2023 è un momento decisivo per tirare le fila del discorso: ai vertici del governo si sta iniziando a discutere dell’introduzione del salario minimo come di una concreta possibilità.
Tra i 27 paesi dell’Unione Europea, 21 hanno già una soglia salariale minima, ciascuno in misura coerente con il costo della vita e con l’andamento dell’economia del Paese.
In particolare, 6 (Lussemburgo, Olanda, Francia, Irlanda, Belgio e Germania) hanno un salario minimo sopra i 9 euro l'ora. Gli altri 15 Paesi europei hanno invece salari minimi inferiori ai 7 euro orari (fonte: WSI, Minimum Wage Report 2022).
Solo Italia, Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia non hanno un salario minimo.
Ma perché in Italia non è ancora stato introdotto? Cosa comporta introdurre un minimo salariale nel nostro Paese, cosa cambierebbe nel concreto e quali sono gli ostacoli fino ad ora incontrati?
Fotografiamo la situazione attuale e facciamo il punto analizzandola attraverso le parole di Alessandro raguseo, CEO di Reverse.
- Cosa significa concretamente prevedere un minimo salariale?
- In Italia, cosa cambierebbe se venisse introdotto il salario minimo?
- Implicazioni per le aziende: l’altra faccia della medaglia
- Ma quindi, siamo pronti ad adottare il salario minimo in Italia? La parola ad Alessandro Raguseo, CEO e Co-Founder Reverse
1. Cosa significa concretamente prevedere un minimo salariale?
Partiamo con una breve introduzione facendo chiarezza sul tema.
Prevedere un “minimo salariale” significa in pratica stabilire una retribuzione minima che il datore di lavoro è tenuto a corrispondere ai propri collaboratori per il lavoro svolto in una determinata quantità di tempo. Si tratta di una soglia retributiva che non può essere fissata a un livello inferiore rispetto a quella stabilita dai contratti collettivi o dagli accordi individuali.
L’obiettivo è quello di evitare retribuzioni eccessivamente basse per i lavoratori e garantire loro un salario minimo di sussistenza, equo e proporzionale al lavoro svolto.
In tale prospettiva lo Stato interviene nella contrattazione collettiva, limitando la libera determinazione dei salari operata dal mercato al fine di incrementare le retribuzioni di coloro che sono in fondo alla scala salariale.
E’ importante precisare che lo scopo del salario minimo è diverso da quello della contrattazione collettiva: il primo stabilisce la soglia minima di retribuzione, la seconda, invece, consente di fissare i salari oltre tale soglia.
A stabilire il salario minimo possono essere la legge, un’autorità competente, un comitato o un consiglio salariale, un tribunale del lavoro oppure si può stabilire dando validità di legge alle disposizioni dei contratti collettivi.
In ogni caso, quando si stabilisce un minimo salariale, è importante indicare non solo le componenti del salario rientranti nel calcolo della retribuzione minima, ma anche altri eventuali elementi del pacchetto retributivo (benefit come trasporti aziendali, buoni pasto, vitto e alloggio…) e la base di calcolo oraria o mensile del salario.
2. In Italia, cosa cambierebbe se venisse introdotto il salario minimo?
Passiamo ora alla situazione italiana: il 4 luglio 2023 è stata avanzata una proposta di legge che propone l’inserimento in Italia del minimo salariale e che avrebbe un impatto significativo sul sistema retributivo e sulle dinamiche del mercato del lavoro.
Ad oggi, infatti, nell'ordinamento italiano non esiste un livello minimo di retribuzione fissato per legge, anche se l'articolo 36 della Costituzione garantisce al lavoratore un compenso adeguato alla sua prestazione e capace di garantire una vita libera e dignitosa per sé e per la propria famiglia.
La proposta di legge del 4 luglio si propone proprio di modificare la situazione attuale: verrebbero tutelati i settori più fragili e meno stipendiati, per i quali il potere di contrattazione da parte dei sindacati risulta più debole.
Ecco nel dettaglio cosa cambierebbe per i lavoratori secondo la proposta:
- il trattamento economico minimo orario stabilito dal CCNL non deve essere inferiore alla soglia minima di 9 euro lordi.
- in caso di diversi accordi collettivi nazionali, la retribuzione deve essere proporzionata al lavoro svolto e non inferiore a quella stabilita nel contratto collettivo sottoscritto dalle associazioni più rappresentative a livello nazionale nella categoria di produzione coinvolta.
- in assenza di contratti collettivi nazionali nel settore, la retribuzione non può essere inferiore a quella stabilita dal CCNL che regola mansioni simili nello stesso settore.
- in assenza di contratti collettivi specifici nel settore, la retribuzione non può essere inferiore a quella del CCNL di un settore simile che regola mansioni equiparabili.
3. Implicazioni per le aziende: l’altra faccia della medaglia
Quando si parla di novità, è sempre bene analizzare tutte le facce della medaglia per avere il quadro completo della situazione.
Bisogna quindi porsi una domanda precisa: cosa comporterebbe questa proposta di legge per le aziende?
Affinché l’introduzione di un minimo salariale risulti vantaggioso e proficuo sia per i lavoratori che per le imprese, a fronte di un aumento degli stipendi dovrebbe esserci anche un netto aumento della produttività. In questo modo si istituirebbe un circolo virtuoso che coinvolge entrambe le parti.
E se questo non dovesse avvenire? Le aziende dovrebbero aumentare i prezzi di beni e servizi, riducendo i margini di guadagno.
Ciò che davvero è importante, è quindi introdurre in modo estremamente ponderato il salario minimo e stabilire un monitoraggio di applicazione, in modo da intervenire ove necessario aiutando le imprese.
Il rischio altrimenti potrebbe essere quello di inficiare l’attuale flessibilità del mercato del lavoro, irrigidendolo, e di spingere le aziende a spostarsi all’estero per gestire un eventuale aumento dei costi in Italia.
C’è poi un’altra questione: l’introduzione del salario minimo che impatto avrebbe sull’inflazione degli ultimi anni?
Per rispondere, ci si può basare su una recente ricerca condotta dagli economisti Ocse Sandrine Cazes e Andrea Garnero.
“Gli aggiustamenti dei salari minimi nominali hanno contribuito a contenere l'impatto dell'inflazione sul potere d'acquisto dei lavoratori a bassa retribuzione”.
Cazes e Garnero lo mettono subito in chiaro: l’aumento dei salari minimi tra dicembre 2020 e maggio 2023, in quasi tutti i Paesi analizzati, ha permesso di tenere il passo con la loro inflazione. L’aumento dei prezzi è stato del 24,9%, quello dei salari minimi del 29%.
C’è però un ma.
L’efficacia del salario minimo nell’affrontare l’inflazione dipende da vari fattori, tra cui l'entità dell'inflazione stessa, l'ammontare del salario minimo stabilito e come questo viene regolato nel tempo per adattarsi ai cambiamenti economici.
Senza contare che in alcune situazioni, un salario minimo più elevato potrebbe portare all'aumento dei costi per le imprese, che si trasformerebbero in costi aggiuntivi per i consumatori sui prezzi di beni e servizi.
Bisogna tener presente che soprattutto le piccole imprese potrebbero faticare ad adattarsi ai costi aggiuntivi associati a un salario minimo, rischiando di mettere a dura prova la loro stabilità economica. Di conseguenza alcune aziende potrebbero cercare di ammortizzare l'aumento dei costi riducendo le assunzioni e/o il personale, fino ad arrivare alla conseguenza più drastica, ossia la cessazione dell’attività.
Alcuni settori potrebbero essere maggiormente colpiti rispetto ad altri dall'introduzione del salario minimo, portando a distorsioni nel mercato del lavoro e nella competitività.
Questo potrebbe a sua volta contribuire all'inflazione.
Quindi, anche se Cazes e Garnero affermano che “il rischio di alimentare ulteriormente l'inflazione aumentando i salari minimi risulta limitato", tutto va attentamente valutato.
Bisognerà quindi procedere con un’analisi economica: esaminare l'impatto che il salario minimo avrebbe sull'economia nazionale, sia sui settori specifici che sul mercato del lavoro in generale.
Sarà utile raccogliere dati sull'occupazione, sui salari effettivi e sul comportamento delle imprese, e adattare la politica in base alle evidenze raccolte.
È inoltre necessario implementare sistemi di monitoraggio per valutare periodicamente l'effetto dell’introduzione del salario minimo e agire tempestivamente facendo adeguati aggiustamenti.
E poi, non da ultimo, bisognerà offrire programmi di formazione e supporto alle imprese per gestire i cambiamenti necessari nei loro modelli retributivi e operativi.
4. Ma quindi, siamo pronti ad adottare il salario minimo in Italia? La parola ad Alessandro Raguseo, CEO e Co-Founder Reverse
La proposta di legge presentata prevede l’introduzione di un salario minimo superiore a 9 euro all’ora, e già questo potrebbe rappresentare un problema nella sua attuazione. In Italia infatti, salvo rari casi, non è prevista una retribuzione oraria, ma la maggior parte dei contratti è impostata su un valore mensile da moltiplicarsi per il numero delle mensilità.
Un altro tema, da non trascurare, è costituito dalla molteplicità dei contratti collettivi nazionali, ciascuno dei quali presenta una diversa modalità di calcolo della retribuzione oraria.
Per analizzare meglio la situazione abbiamo chiesto l’opinione di Alessandro Raguseo, CEO e Co-Founder di Reverse:
“Sono abbastanza certo che arriveremo anche nel nostro Paese all’introduzione del salario minimo, ma non credo che attualmente ci siano le condizioni perché questo accada nel breve periodo. La questione infatti non è essere d’accordo o meno sull’introduzione di un salario minimo, dubito che si riesca a trovare qualcuno, in linea teorica, contrario. I temi sono altri: la sostenibilità economica, il cambiamento o adeguamento della contrattazione collettiva, il probabile conseguente depauperamento della rappresentanza sindacale, la diminuzione della tassazione sul lavoro.
In Italia abbiamo più di 900 contratti collettivi nazionali e ciascuno di essi presenta un diverso divisore giornaliero, esso stesso figlio di contrattazione - continua Alessandro Raguseo - Inoltre, ogni contratto presenta un numero differente di giorni di ferie, di ore di permessi e anche di mensilità, senza contare il fatto che ci sono aziende che forniscono diverse forme di welfare ai propri dipendenti: come verrebbe conteggiata questa forma di risparmio e quindi di retribuzione aggiuntiva nei confronti di chi non ha lo stesso beneficio? Ritengo che a queste condizioni l’introduzione di un salario minimo su base oraria non sia ancora una strada percorribile. Sicuramente è utile iniziare a parlarne per avviare un processo di sensibilizzazione, ma per renderlo concreto occorrerebbe prima di tutto intervenire sulla macchina burocratica del lavoro, iniziando dalla diminuzione del numero dei CCNL, dalla semplificazione della busta paga e dalla riduzione del costo del lavoro per le imprese e della tassazione per i dipendenti.”
I rischi di un’introduzione prematura del salario minimo, nella situazione attuale, sono chiari: irrigidimento del mercato del lavoro, costi aggiuntivi per le aziende e aumento dell’inflazione.
Ma quindi, qual è la strada che può percorrere oggi l’Italia?
“In conclusione, ritengo che l’introduzione di un salario minimo sia sicuramente tra gli obiettivi da portare sui tavoli decisionali, ma sono altrettanto convinto che bisogna arrivare alla sua introduzione in modo estremamente ponderato con delle basi di contesto solide - conclude Raguseo - Oltre alla semplificazione preventiva della burocrazia di cui accennavo prima, sarà importante stabilire un monitoraggio di applicazione, in modo da intervenire ove necessario aiutando le imprese, tramite anche aiuti da parte dello Stato”.
Cautela nella sua introduzione, con una solida base di contesto e monitoraggio costante: ecco un ottimo punto di partenza. Facile a dirsi, a farsi, si vedrà.