Il 13 ottobre 2025 l'Accademia Reale Svedese delle Scienze ha assegnato il Premio Nobel per l'Economia a Joel Mokyr, Philippe Aghion e Peter Howitt "per aver spiegato la crescita economica guidata dall'innovazione". Un riconoscimento che mette al centro un concetto tanto affascinante quanto inquietante per chi si occupa di gestione delle risorse umane: la distruzione creativa.
Ma cosa c'entra un premio Nobel per l'Economia con il lavoro quotidiano di un HR Manager? Più di quanto si possa immaginare. La teoria premiata dall'Accademia svedese non è un'astratta riflessione accademica: descrive precisamente il meccanismo che sta trasformando il mercato del lavoro sotto i nostri occhi, quello stesso meccanismo che ci costringe a ripensare strategie di Talent Acquisition, piani di formazione e persino il modo in cui concepiamo le carriere professionali.
Come Head Hunter che operano quotidianamente sul campo, in Reverse osserviamo gli effetti tangibili di questa dinamica: aziende consolidate che faticano a trovare competenze per tecnologie emergenti, professionisti con decenni di esperienza che scoprono l'obsolescenza delle proprie skill, settori interi che si trasformano nel giro di pochi anni. La distruzione creativa non è più teoria economica: è la realtà con cui fare i conti ogni giorno.
Indice
- La teoria della distruzione creativa: cos'è e perché vale un Nobel
- Distruzione creativa e mercato del lavoro: l'altra faccia dell'innovazione
- Le implicazioni strategiche per l'HR Manager
- Consigli pratici per gestire la distruzione creativa in azienda
1. La teoria della distruzione creativa: cos'è e perché vale un Nobel
Cominciamo con un po’ di teoria.
La distruzione creativa non è un'invenzione recente. Il concetto nasce all'inizio del Novecento con l'economista austriaco Joseph Schumpeter, che la definì come "il processo di mutazione industriale che rivoluziona incessantemente la struttura economica dall'interno, distruggendo quella vecchia e creandone una nuova". Un processo che Schumpeter considerava l'essenza stessa del capitalismo.
Ma cosa hanno aggiunto Mokyr, Aghion e Howitt per meritare il Nobel? In particolare, Philippe Aghion e Peter Howitt nel 1992 hanno costruito un modello matematico rigoroso che formalizza questo processo: quando un prodotto nuovo e migliore entra sul mercato, le aziende che vendono prodotti obsoleti perdono terreno. L'innovazione è "creativa" perché introduce novità, ma è anche "distruttiva" perché rende obsolete le tecnologie precedenti e, con esse, le competenze necessarie a produrle.
Joel Mokyr, dal canto suo, ha utilizzato fonti storiche per identificare i prerequisiti necessari affinché l'innovazione diventi un processo autosostenuto di crescita. Ha dimostrato che prima della Rivoluzione Industriale le innovazioni erano sporadiche e non generavano crescita duratura. Solo quando si sono create le condizioni culturali, istituzionali e scientifiche adeguate, l'innovazione è diventata sistemica e la crescita economica sostenuta.
1.1 Il modello matematico che ha conquistato l'Accademia svedese
Il modello Aghion-Howitt del 1992 ha rivoluzionato la teoria della crescita economica proprio perché ha dato forma matematica a un'intuizione fondamentale: la crescita non deriva dall'accumulo di capitale o dall'aumento della forza lavoro, ma dall'innovazione continua che sostituisce tecnologie obsolete con altre più efficienti.
Il modello descrive un meccanismo elegante e spietato: le imprese investono in ricerca e sviluppo per creare innovazioni che le rendono temporaneamente dominanti sul mercato. Questa posizione di vantaggio genera profitti che incentivano altre imprese a investire in ulteriori innovazioni per superare le prime. È una corsa senza fine, dove chi rallenta viene travolto.
Cruciale è la scoperta che questo processo genera conflitti che devono essere gestiti in modo costruttivo. Come sottolineato dall'Accademia svedese, "l'innovazione sarà bloccata da aziende consolidate e gruppi di interesse che rischiano di essere svantaggiati" se non si creano le condizioni per gestire questi conflitti.
1.2 Perché questo premio arriva proprio ora
Il tempismo dell'Accademia svedese non è casuale. Viviamo in un'epoca di trasformazione tecnologica senza precedenti: intelligenza artificiale, automazione avanzata, transizione energetica. L'AI da sola sta ridefinendo interi settori in tempi che fino a pochi anni fa sarebbero sembrati fantascienza.
Il premio arriva come un monito: la crescita economica non può essere data per scontata. Come ha affermato John Hassler, presidente del Comitato per il Premio, "dobbiamo sostenere i meccanismi che stanno alla base della distruzione creativa, in modo da non ricadere nella stagnazione". Ma sostenere questi meccanismi significa anche prepararsi alle conseguenze umane e sociali del cambiamento.
2. Distruzione creativa e mercato del lavoro: l'altra faccia dell'innovazione
Qui arriviamo al cuore della questione per chi si occupa di Risorse Umane.
La distruzione creativa non colpisce solo le aziende: colpisce le persone. Come evidenziato dagli stessi vincitori del Nobel, l'innovazione crea vincitori e sconfitti non solo a livello aziendale, ma anche tra i lavoratori.
Un esempio concreto? L'occupazione nel settore dei giornali negli Stati Uniti è scesa da 455.700 posti di lavoro nel 1990 a 225.100 nel 2013, mentre nello stesso periodo l'occupazione nell'editoria e trasmissione via internet è cresciuta da 29.400 a 121.200 posti. Numeri che raccontano una storia di competenze rese obsolete e professioni che scompaiono, compensate solo parzialmente da nuove opportunità che richiedono skill completamente diverse.
La teoria della distruzione creativa ci pone di fronte a un paradosso inquietante: l'innovazione può aumentare la produttività complessiva dell'economia creando però disoccupazione settoriale. Non è un fenomeno nuovo (lo abbiamo visto con la meccanizzazione dell'agricoltura e l'automazione industriale) ma oggi avviene a una velocità senza precedenti.
Il punto cruciale, evidenziato da Aghion nei suoi studi, è che l'automazione non è intrinsecamente negativa per l'occupazione. Può creare posti di lavoro rendendo le aziende più produttive e competitive. Ma – e qui sta il "ma" che tiene svegli gli HR Manager – questo accade solo se i lavoratori possono transitare verso i nuovi ruoli che si creano.
Il problema è il divario temporale e di competenze. Tra la scomparsa di un ruolo e la creazione di nuove opportunità può passare molto tempo. E le competenze richieste nei nuovi ruoli sono spesso radicalmente diverse da quelle che diventano obsolete.
Abbiamo approfondito questo aspetto nell’articolo “Dal Luddismo all’AI” che si apre con una storia tanto romanzata quanto verosimile. Grazie al caso studio di Beltrame Group vediamo la concretizzazione di alcune teorie.
3. Le implicazioni strategiche per l'HR Manager
Sicurezza, talent acquisition, formazione e onboarding: questi gli aspetti più colpiti dal nuovo che avanza. Vediamo come ognuno di noi in azienda può affrontarli.
3.1 Dalla job security alla skill security
La principale implicazione per l'HR è un cambio di paradigma fondamentale: non possiamo più garantire la sicurezza del posto di lavoro, ma dobbiamo garantire la sicurezza delle competenze. Come sottolineato dal Nobel, la vera sfida è "proteggere i lavoratori, non i posti di lavoro".
Questo significa ripensare completamente il contratto psicologico tra azienda e dipendente. Non più "ti offriamo un lavoro stabile fino alla pensione", ma "ti offriamo l'opportunità di mantenere le tue competenze rilevanti e trasferibili". Un cambiamento non da poco, che richiede investimenti massicci in formazione e una nuova cultura aziendale.
In Reverse osserviamo che le aziende più lungimiranti hanno già iniziato questo percorso. Non parlano più di "carriere verticali" ma di "percorsi di sviluppo delle competenze". Non valutano i dipendenti solo sulla performance attuale ma sulla loro capacità di apprendere e adattarsi.
3.2 Ripensare la Talent Acquisition nell'era della distruzione creativa
La distruzione creativa cambia profondamente anche le strategie di Talent Acquisition. In un mercato dove le competenze hanno un ciclo di vita sempre più breve, diventa cruciale valutare non solo cosa un candidato sa fare oggi, ma quanto rapidamente può imparare domani.
L'adaptability diventa la competenza chiave. Come scegliamo tra un candidato esperto in una tecnologia specifica e uno con minore esperienza ma maggiore capacità di apprendimento? La risposta non è scontata e dipende dall'orizzonte temporale: per esigenze immediate serve l'esperto, per costruire un team resiliente serve l'apprenditore veloce.
Inoltre, la velocità della distruzione creativa accorcia drammaticamente la talent pipeline. Non possiamo più permetterci di cercare l’"unicorno" con dieci anni di esperienza in tecnologie che probabilmente esistono da tre anni e comunque l’anno prossimo saranno fortemente evolute se non superate. Dobbiamo essere pronti a formare internamente, a scommettere su competenze adiacenti, a valorizzare il potenziale oltre l'esperienza diretta.
3.3 Formazione continua: da benefit a necessità strategica
Se c'è una lezione che la teoria della distruzione creativa ci insegna con chiarezza cristallina è questa: la formazione non è più un perk aziendale o una voce secondaria nel budget HR. È una questione di sopravvivenza organizzativa.
Le aziende devono passare da una logica di "training occasionale" a una cultura di "continuous learning". Questo significa non solo budget adeguati, ma tempo dedicato, riconoscimento della formazione come parte integrante del lavoro, sistemi di valutazione che premiano l'aggiornamento continuo.
Come evidenziato nell'analisi sui trend HR, l'HR Manager deve diventare un "coach del cambiamento", capace di identificare le competenze emergenti, mappare quelle a rischio obsolescenza, e costruire percorsi di transizione efficaci. Un ruolo strategico che va ben oltre la gestione amministrativa del personale.
3.4 Il ruolo cruciale dell'onboarding in un contesto di cambiamento accelerato
In un ambiente caratterizzato da distruzione creativa accelerata, l'onboarding assume un'importanza ancora maggiore. I nuovi assunti devono essere messi in condizione di contribuire rapidamente, perché l'azienda non può permettersi lunghi periodi di "rodaggio".
Ma c'è un aspetto ancora più critico: l'onboarding deve trasmettere fin da subito la cultura dell'adattamento continuo. In questa fase di passaggio in cui nulla è ovvio, il nuovo collega deve capire che l'apprendimento non finisce con il periodo di inserimento, ma è una costante del suo percorso professionale. Deve interiorizzare che il cambiamento non è un'emergenza occasionale ma la normalità.
4. Consigli pratici per gestire la distruzione creativa in azienda
4.1 Mappare le competenze a rischio obsolescenza
Il primo passo pratico è fare quello che in project management si chiamerebbe una "risk assessment" delle competenze. Quali skill presenti oggi in azienda rischiano di diventare obsolete nei prossimi 2-5 anni? Non è un esercizio di futurologia: è analisi di trend già in atto.
Alcuni indicatori pratici: una competenza è a rischio quando esistono soluzioni software che la automatizzano; quando i nuovi assunti non la possiedono più perché formati su tecnologie diverse; quando le conferenze di settore non ne parlano più; quando le offerte di lavoro che la richiedono diminuiscono costantemente.
Crea una matrice che incrocia competenze presenti in azienda con il loro "rischio di obsolescenza" e il numero di persone che le possiedono. Questo ti darà una mappa chiara delle priorità di riqualificazione. Non aspettare che la tecnologia renda obsoleta una competenza: anticipala.
4.2 Costruire percorsi di riqualificazione efficaci
La riqualificazione efficace non è mandare le persone a un corso e sperare per il meglio. Richiede percorsi strutturati che tengano conto di diversi fattori: il gap di competenze da colmare, le caratteristiche individuali del lavoratore (età, background formativo, stile di apprendimento), la pressione temporale.
Un framework utile prevede tre livelli di intervento:
- Upskilling: aggiornare competenze esistenti (esempio: un programmatore Java che impara le ultime versioni e i framework più recenti). È il livello più semplice e meno traumatico.
- Reskilling laterale: transitare verso competenze adiacenti (esempio: un sistemista che si specializza in cloud infrastructure). Richiede più impegno ma sfrutta competenze di base comuni.
- Reskilling radicale: cambiare completamente dominio (esempio: un operatore di call center che diventa data analyst). È il più impegnativo e richiede forte motivazione individuale.
Non tutti possono fare tutti i tipi di transizione. Sii realistico e personalizza i percorsi. E soprattutto: dai tempo. Una transizione seria richiede mesi, non settimane.
4.3 Comunicare il cambiamento senza alimentare l'ansia
Parliamoci chiaro: la distruzione creativa fa paura. Dire ai dipendenti "le vostre competenze diventeranno obsolete" senza un piano chiaro è la ricetta perfetta per l'ansia collettiva, il calo di produttività, e magari la fuga dei talenti migliori verso aziende percepite come più stabili.
La comunicazione deve essere trasparente ma costruttiva. Sì, alcune competenze diventeranno meno rilevanti. Ma ecco il piano per supportare la transizione. Ecco gli investimenti in formazione. Ecco i percorsi di carriera alternativi. Ecco le testimonianze di colleghi che hanno già fatto il salto con successo.
Crea "ambassador del cambiamento": persone che hanno vissuto transizioni significative e possono raccontare con credibilità che sì, è impegnativo, ma è possibile. E soprattutto: comunica con regolarità. Il silenzio viene sempre riempito dalle peggiori fantasie. Un aggiornamento trimestrale anche solo per dire "siamo a questo punto del percorso" mantiene le persone informate e riduce l'ansia da incertezza.
È vero, tutto facile a dirsi, molto meno a farsi. Non aspettano tempi facili chi si occupa di Risorse Umane, ma anche grandi soddisfazioni ci attendono.
4.4 Attrarre talenti in un mercato in continua trasformazione
Infine, come attrarre talenti quando il messaggio implicito è "le cose cambieranno continuamente"? Sorprendentemente, per molti professionisti questo non è un deterrente ma un fattore di attrazione.
La Generazione Z e i Millennial sono cresciuti in un mondo di cambiamento continuo. Sanno che le competenze hanno scadenza. Quello che cercano non è stabilità immutabile ma un ambiente che li aiuti a rimanere rilevanti. Cercano aziende che investono sul loro sviluppo, non aziende che promettono un lavoro identico per trent'anni.
Nel tuo employer branding, enfatizza gli investimenti in formazione. Mostra i percorsi di crescita non come scale gerarchiche rigide ma come mappe di sviluppo di competenze. Parla della vostra cultura dell'apprendimento continuo. Rendi visibile come supportate le transizioni professionali interne.
Un consiglio finale dalla nostra esperienza: nei colloqui, non nascondere che il ruolo si evolverà. Dì chiaramente che tra tre anni quel ruolo potrebbe essere molto diverso. I candidati migliori apprezzeranno l'onestà e la visione. Gli altri, forse, non erano i candidati giusti per navigare la distruzione creativa.
Conclusioni: il Nobel ci ricorda che il cambiamento è la costante
Il Premio Nobel per l'Economia 2025 a Mokyr, Aghion e Howitt non è solo un riconoscimento accademico: è un promemoria che la distruzione creativa è il meccanismo fondamentale delle economie moderne. E per chi si occupa di Risorse Umane, è anche un invito all'azione.
La buona notizia è che la distruzione creativa, per quanto dirompente, non è un evento improvviso e imprevedibile. Ha dinamiche che possiamo studiare, anticipare, gestire. Le aziende che investono nella formazione continua, che costruiscono culture dell'apprendimento, che proteggono i lavoratori aiutandoli a rimanere rilevanti, non solo navigheranno meglio questo processo: ne usciranno rafforzate.
Il vero rischio non è il cambiamento in sé, ma l'immobilismo di fronte al cambiamento. Come ci insegna la teoria premiata con il Nobel: le società che bloccano l'innovazione per proteggere lo status quo finiscono nella stagnazione. Le società che abbracciano la distruzione creativa gestendone gli impatti umani, prosperano.
Per l'HR Manager del 2025 e oltre, la sfida è chiara: diventare l'architetto della transizione continua, il costruttore di ponti tra le competenze di oggi e quelle di domani, il garante che nessuno resti indietro non perché il cambiamento si ferma, ma perché tutti hanno gli strumenti per continuare a crescere.