Onboarding: l'ultima fase del recruiting e la prima della retention

    Trattenere le persone, sin da subito. Anzi, ancor prima che inizino a lavorare effettivamente in azienda. È questo il grande dilemma di oggi. 

    Parliamo sempre di come trattenere i talenti sul lungo periodo, ma se il problema stesse all’origine? Se, invece, avessimo bisogno che i candidati, anzi i neo-assunti, non ci sfuggano già dai primissimi tempi del loro inserimento nell’organizzazione? 

    È qui che entra in gioco l’onboarding: un processo che non può essere lasciato al caso, che ha bisogno di un piano strutturato per coinvolgere la persona appena assunta, sin da quando ci dice “sì” e firma la lettera d’impegno. 

    Da quel momento inizia un viaggio che necessita della collaborazione tra diversi team e degli strumenti presi in prestito da altri dipartimenti. 

    Un percorso che andremo ad affrontare tappa per tappa in modo pratico.  

    Cominciamo. 

     

    1. Onboarding: saper fare e saper essere
    2. E se l’onboarding iniziasse già in fase di recruiting? 
    3. Onboarding: timeline e step pratici
    4. People Design: come arricchire il processo di onboarding con l’aiuto della UX, già in fase di recruiting 
    5. Conclusioni

     

    1. Onboarding: saper fare e saper essere

    Partiamo da una definizione che forse può sembrare insolita. 

    Quella di “rito di passaggio”. L’Enciclopedia Treccani ci dice che i riti di passaggio sono “tutte quelle cerimonie pubbliche che celebrano un cambiamento di status, ovvero un mutamento nella posizione che un individuo occupa nella società, una variazione dei compiti che egli svolge.”

    Notate qualche somiglianza? L’onboarding in azienda è esattamente questo: il momento in cui il neo-assunto passa dall’essere una persona che ha appena firmato un contratto, all’essere un soggetto attivo all’interno dell’organizzazione. 

    È, per la precisione, proprio un cambio di status. 

    Questo “rito di passaggio” coinvolge due sfere della persona e dell’azienda di cui entra a far parte:

    • la prima è la sfera del “saper fare”, in cui il neo-assunto apprende poco a poco l’operatività del suo specifico ruolo. Impara a svolgere i compiti operativi e a gestire concretamente i progetti di cui dovrà occuparsi all’interno dell’impresa, da solo e/o in team. 
    • la seconda, è quella invece del “saper essere”all’interno dell’organizzazione. È la sfera che riguarda i valori, quella cultura aziendale in cui la persona si è già rispecchiata nelle prime fasi di recruiting (i valori sono una delle discriminanti fondamentali quando i candidati scelgono un’azienda) e che ora inizia a vivere quotidianamente.

    È evidente che un processo di tale portata non può avvenire in un giorno, e nemmeno in una settimana. 

    Quello che serve è una pianificazione solida e strutturata, pensata nel minimo dettaglio(se vuoi andare direttamente agli step pratici da mettere in campo, li trovi al paragrafo 3). 

    Ma per “portare a bordo” senza perdere i talenti per strada, abbiamo bisogno di un onboarding memorabile, che accompagni il passeggero sulla nave nel modo più coinvolgente possibile, facendolo sentire accolto fin dai primi passi sulla banchina del porto e poi sul ponticello dell’imbarcazione. 

    Non basta quindi accogliere la persona il primo giorno in ufficio, bisogna partire prima, quando sta ancora aspettando sulla banchina con i biglietti in mano. 

    Stiamo parlando dell’ultima fase del recruiting. 

     

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    2. E se l’onboarding iniziasse già in fase di recruiting? 

    Un nostro recente articolo cominciava così: “Aspettare il primo giorno di lavoro del neo-assunto per coinvolgerlo significa essere già indietro sulla tabella di marcia.” 

    Provocatorio? Sì forse, ma molto vero. 

    Succede sempre più spesso che i candidati si dileguino nel tempo che intercorre tra il momento in cui firmano la lettera d’impegno e il primo giorno effettivo in azienda. "Lettera d'impegno" è un nome bellissimo se ci pensiamo: denota l'esistenza di una parola data, che ci si impegna, appunto, a mantenere. 

    Eppure, se sei HR, purtroppo potrebbe esserti capitato di perdere un talento proprio in questo lasso di tempo. 

    Il perché ciò accada è presto detto: il candidato non è ancora realmente ingaggiato all’interno dell’organizzazione e quindi, se si trova ad avere altre offerte tra le mani, non si farà troppi scrupoli ad accettarne una che gli sembra più vantaggiosa. 

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    Mi piace denominare questo lasso di tempo “limbo”: esattamente come il limbo dantesco, anche in questo caso si tratta di un momento di “sospensione”, in cui la persona è già stata assunta, ma al contempo non è ancora soggetto attivo dell’organizzazione. 

    Non ha quindi ancora iniziato ad "agire” e soprattutto ad “essere” in azienda. 

    E quindi, come fare? Bisogna coinvolgerla in modo strutturato.  L'onboarding ha inizio già nell'ultima fase del processo di recruiting. 

    Un concetto questo che non è sempre emerso in passato, ma che oggi è essenziale. 

    Non può esistere strategia di recruiting efficace che abbandoni la spugna proprio in questo ultimo miglio

    Una volta costruite le fondamenta in questo primo step, possiamo definire in modo strutturato tutte le successive fasi di onboarding, che si impegnano a coinvolgere la persona fino al terzo mese in azienda.  Silvia Orlandini, Chief People Officer, Reverse

    Andiamo quindi a esplorare la timeline dell'onboarding tappa per tappa. 

     

    3. Onboarding: timeline e step pratici

    Nell’immagine qui di seguito puoi vedere l’intera timeline del processo di onboarding e quali azioni pratiche mettere in campo per ogni fase: dalla firma si passa al primo giorno in ufficio, per poi arrivare alle prime 4 settimane di inserimento in azienda e terminare con il  secondo e il terzo mese. 

    Per ogni tappa esistono azioni pratiche da mettere in campo, che ora andremo a sviluppare nel dettaglio. 

    Timeline onboarding (3)

    Sarà necessario lavorare su due aspetti, segnalati da due diversi colori: 

    • sull’engagement, le cui iniziative dedicate sono segnate in rosa. Siamo nella sfera del “saper essere”
    • sul feedback, per verificare in modo costruttivo il “saper fare”. È indicato con i riquadri grigi

    1. Partiamo dal primo aspetto, l’engagement (riquadri rosa nella timeline). 

    Questa è la parte su cui dovremo puntare maggiormente dal momento della firma fino alla terza settimana di inserimento del neo-assunto. 

    Per quanto riguarda la fase di “limbo”, abbiamo scritto ancor più nel dettaglio quali iniziative mettere in campo in questo articolo specifico, ma le inseriremo anche qui per completezza, seguendo la timeline. 

    • Dalla firma al primo giorno in ufficio. 

    Ecco, ci siamo, il neo-assunto è fermo sulla banchina del porto con i suoi biglietti in mano, aspettando di imbarcarsi sulla sua nave, la tua azienda. È fondamentale in questo momento evitare che venga attratto da altre mete e altre barche ormeggiate in porto. 

    La prima cosa da mettere in atto sarà quindi quella di farlo sentire già “a casa”, anche a distanza.  

    È il primo principio per non perderlo lungo la via: fargli sentire la vicinanza dell'azienda, dei colleghi, del team con cui lavorerà fin da subito. 

    Lo si può realizzare in più modi: 

    -inviandogli una lettera di benvenuto con una foto di team, per farlo sentire immediatamente accolto;

    -facendogli già conoscere il team con cui lavorerà, se se ne ha la possibilità. Lo si può fare tramite videocall o addirittura di persona se si presenta l’occasione. Questo creerà una connessione molto importante, difficile da spezzare con una nuova offerta di lavoro da parte di un’altra azienda; 

    -inviandogli materiale scritto o video in cui si presentano per esempio la vita in azienda, i suoi valori, i progetti che il neo-assunto si troverà a gestire… 

    - inviandogli materiali informativi per prepararlo al primo giorno. In Reverse, per esempio, inviamo uno “starter pack” in cui sono inseriti video-pillola tutorial per iniziare a imparare come usare i device interni, oltre a materiale informativo sulla vita in azienda. In questo modo la persona arriverà in ufficio il primo giorno già preparata, senza sentirsi spaesata. 

    - contattandolo per chiedergli l’invio della foto e dei dati personali che poi verranno utilizzati per i device aziendali; 

    Tutte queste iniziative presentano un doppio vantaggio: sono semplici da mettere in atto ma genereranno al contempo un risultato fortissimo. Il legame che si creerà tra il candidato e l'azienda sarà difficile da spezzare con l’arrivo di una nuova offerta di lavoro da parte di un’altra impresa. 

    Senza contare che intraprendere un’azione così coinvolgente fin dalle prime fasi è un modo perfetto per alleviare le ansie e gli imbarazzi tipici di quello che sarà il primo giorno di lavoro. La persona entrerà in un ambiente che sente già di conoscere e questo non è banale, non lo è affatto. 

     

    • Il primo giorno in azienda

    E’ in questo momento, quando il neo-assunto finalmente si “imbarca”, che deve essere confermata quella sensazione di "sentirsi a casa" creata nella fase precedente. 

    Non basteranno quindi una stretta di mano e un sorriso, ma si potrà accompagnare la persona in un tour dell’azienda per farle conoscere locali e colleghi, in tutti i dipartimenti; la si potrà coinvolgere in un pranzo di benvenuto con tutto il suo team e i capi oppure con altre persone con cui lavorerà a stretto contatto. 

    L’obiettivo è uno: proseguire su quella linea di “familiarità” già iniziata nella fase precedente, per far sentire la persona non solo accolta e libera da rigidi imbarazzi, ma già parte integrante di una realtà i cui valori si percepiscono nell’aria. 

     

    • La prima settimana. 

    Ed ecco che nella prima settimana entra in scena una figura fondamentale dell’onboarding: il buddy (di cui ti parliamo diffusamente qui). Il termine “buddy” significa letteralmente “amico”, “compagno”.

    Si tratta di una figura un poco più senior rispetto al neo-assunto e che può ricoprire anche un ruolo diverso. Per la persona appena entrata rappresenta, appunto, un amico, un agevolatore del suo inserimento in azienda.

    Sarà la figura che gli trasmetterà, prima di tutti, i valori aziendali alla persona appena entrata e che risponderà a tutte le sue domande, anche quelle più scomode. Un vero e proprio punto di riferimento per non farla sentire mai sola.

     

    • La seconda e la terza settimana.

    Questo periodo è quello in cui la persona viene integrata davvero nel tessuto aziendale, inizia ad essere un soggetto realmente attivo. È molto importante in questa fase farle percepire il suo valore all’interno dell’organizzazione, oltre a farle conoscere la realtà in cui lavora ancora più nel profondo. 

    Sarà quindi utile organizzare momenti di incontro anche con la dirigenza: con i CEO aziendali per esempio, per far percepire al neo-assunto l’umanità delle persone che si trovano alla sua guida. Così come molto interessante è organizzare incontri con tutto il team HR, che sarà il punto di riferimento dei collaboratori all’interno dell’organizzazione. 

    Questi incontri hanno un duplice obiettivo: da un lato serviranno ad avvicinarsi ancora di più all'azienda, dall’altro faranno capire al neo-assunto che le persone conoscono il suo valore, scommettono su di lui/lei e si interessano della sua storia. 

     

    2. Passiamo ora al secondo aspetto, quello che appartiene alla sfera del “saper fare” ( riquadri grigi nella timeline).

    In questa fase è fondamentale l’uso del feedback costruttivo, che rappresenta l'ago della bussola per far orientare il neo-assunto in un nuovo mondo di attività. È utile suddividere questo processo in diverse fasi, distribuite lungo la nostra timeline: 

    • all’inizio, ipoteticamente già durante la prima settimana di inserimento, sarà necessario definire come prima cosa quali sono gli obiettivi e come arrivarci. È il momento di fare un meeting tra il nuovo entrato e il suo manager per mettere insieme le carte in tavola e capire cosa si andrà a fare nel concreto.

    • Nelle settimane successive sarà importante istituire frequenti momenti di feedback strutturato con il manager (in Reverse ne abbiamo 3: nei giorni 21, 45, 75) per tenere costantemente monitorati progressi ed eventuali difficoltà e aggiustare il tiro in tempo reale. 
      È un momento in cui sia il neo-assunto sia il suo manager potranno confrontarsi ed esprimere il proprio parere su come stia procedendo il processo di onboarding. 

    Lo scopo è che alla fine dei 3 mesi di inserimento la persona possa stabilire con chiarezza ed entusiasmo se è pronta per rimanere, e il neo-assunto e l'organizzazione possano scegliersi reciprocamente.

    È ancora più evidente quindi quanto detto all’inizio del nostro articolo, cioè la necessità che tutto il processo sia strutturato e che nulla sia lasciato al caso. 

    L’onboarding coinvolge non solo il team HR, ma anche i team leader, i manager e gli altri dipartimenti. 

    E per fare comunicare tutti in maniera  fluida, facendo in modo che ciascuno sia sempre esattamente informato sulle singole tappe del processo, possiamo avvalerci di un enorme aiuto: gli strumenti della User Experience (UX) e i professionisti della materia.

     

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    4. People Design: come arricchire il processo di onboarding con l’aiuto della UX, già in fase di recruiting 

    Facciamo un ulteriore passo avanti nel nostro viaggio: il perfezionamento del processo grazie agli strumenti della User Experience, a partire dall’ultima fase del recruiting.

    In effetti se ci pensiamo il focus della User Experience è la creazione di prodotti e servizi destinati a elevare l'esperienza del consumatore, partendo dai bisogni degli utenti finali con l'intento di migliorare la vita quotidiana della persona.

    Ed esiste forse un obiettivo che si avvicina di più a quello delle Risorse Umane?

    Si cambia quindi il paradigma: si parte dalle esigenze dei collaboratori, prima ancora che da quelle dell’azienda. E da lì si capisce come procedere per ottimizzare i processi in ottica dipendente-centrica. 

    Lo abbiamo sperimentato direttamente all'interno di Reverse: per ottimizzare il processo di onboarding abbiamo creato un team cross-funzionale in cui, oltre al dipartimento HR, sono stati coinvolti il nostro team interno di User Experience, manager, dirigenza e altri team aziendali. 

    Grazie agli strumenti della UX abbiamo quindi intervistato i nostri collaboratori per integrare il loro punto di vista a quello aziendale. Poi abbiamo analizzato e ottimizzato in modo scientifico tutte le attività che erano già state messe in piedi dal dipartimento HR.

    Ce ne parla Federica Villata, Head of Design nel team UX di Reverse: 

    Progetto senza titolo (92)

    “E' stato stimolante utilizzare strumenti e principi di design per favorire  la creazione di una coscienza condivisa tra tutti i team coinvolti nel processo di onboarding, rendendo più semplice la loro collaborazione per ottimizzarlo. Questo ha permesso di identificare le aree da migliorare e le relative soluzioni con maggiore efficacia.

    Nello specifico:  

    -abbiamo utilizzato una "journey map", la timeline dell'onboarding, descrivendo tutte le fasi dal momento della firma alla fine del periodo di prova. Questo ha assicurato una comprensione condivisa e facilmente accessibile di tutte le diverse componenti operative del processo all'interno del team.

    - Abbiamo raccolto insights e spunti di miglioramento attraverso attività di ricerca, intervistando i nostri utenti finali, ovvero i nuovi Reverser che avevano recentemente completato l'onboarding.

    -Abbiamo facilitato diverse sessioni di co-design all'interno del team cross-funzionale creato, collaborando per individuare le modifiche necessarie da effettuare nel processo.

    - Infine, abbiamo supportato la creazione di un sistema di feedback strutturato tramite un sondaggio inviato a tutti i nuovi assunti per monitorare costantemente la qualità e l'efficacia dell'onboarding che abbiamo progettato."

    Grazie a questa collaborazione è nato un progetto di People Design che ha ottimizzato l'onboarding tappa per tappa  partendo dalla fase di "limbo". 

    Integrando i punti di vista dei collaboratori e del team cross-funzionale aziendale, ci si è resi conto di un aspetto molto importante in questa fase: il primo periodo dell'onboarding, che è poi l'ultimo del recruiting come abbiamo detto, è fondamentale perchè si lavora su due piani paralleli. 

    Da un lato c'è il piano di contatto tra l'azienda e il neo-assunto: sono tutte quelle attività che abbiamo visto nel paragrafo precedente, finalizzate a mantenere “calda” la persona.

    Poi c’è un piano parallelo, “sotterraneo” : è quello che riguarda tutta la preparazione necessaria per rendere l’onboarding memorabile.

    È proprio nell'ultima fase di recruiting che l’HR e tutti gli altri dipartimenti coinvolti potranno già attivarsi per organizzare l’intero processo: 

    • si sceglie il buddy e lo si avvisa, preparandolo su quali saranno gli aspetti importanti del suo compito
    • si preparano gli account che serviranno al nuovo collaboratore per lavorare su tutti i device 
    • si organizzano il pranzo di benvenuto e altre attività di accoglienza per il primo giorno
    • si prepara un eventuale kit di benvenuto da consegnare al nuovo entrato
    • si parla con il team leader e con tutto il team in cui la persona si inserirà per fare in modo che il primo giorno l’inserimento avvenga nel migliore dei modi
    • si preparano gli incontri che avverrano nelle prime settimane, tra il neo-assunto e la dirigenza e il team di People&Culture
    • si struttura il lavoro in team e il sistema di feedback che accompagnerà il neo-assunto per tutti i primi 3 mesi. 

    Insomma, questo primo periodo è indispensabile, non solo per mantenere coinvolto il candidato prima ancora che entri in azienda, ma anche per gettare le basi di tutto il suo successivo processo di onboarding, evitando di perderlo anche alla fine dei 3 mesi di inserimento.

     

     

    5. Conclusioni

    Lo abbiamo detto all'inizio di questo articolo: ancor più che attrarre i talenti oggi il problema diventa assumerli e trattenerli.

    Se quindi negli ultimi anni tanto si è parlato di Talent Attraction ed Employer Branding, e di quanto sia utile ottimizzare questi processi grazie alla collaborazione tra dipartimento HR e dipartimento marketing, oggi possiamo fare un passo avanti.

    Possiamo avvalerci degli strumenti della UX per capire non solo come attrarre i talenti, ma poi anche come trattenerli. E per farlo partiamo da loro: da quello che desiderano per sentirsi, davvero, coinvolti. Per poter dire “Sì, ho firmato il contratto per l’azienda adatta!” e poi , “Certo, sono convinto di rimanere all’interno di questa realtà”. 

    Nessun HR può avere la sfera magica, i motivi esogeni per cui una persona può uscire dall’azienda nei primi mesi sono molteplici e imprevedibili. 

    Quelli che possiamo prevedere, invece, sono i motivi endogeni, che arrivano direttamente dall’interno della nostra organizzazione. 

    Una volta individuati, mettersi insieme per prevenirli e risolverli sarà la chiave per non perdere le persone già al porto o sul pontile della nave. 


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    Reverse è una realtà in continua evoluzione: come un gruppo di scienziati e ricercatori che giorno dopo giorno creano qualcosa di nuovo per migliorare e semplificare il mondo dell’Head Hunting e l’attività di chi si occupa di HR.
    Alessandro Raguseo, CEO