Effetto Pigmalione: cos'è e come implementarlo in azienda

    L’effetto Pigmalione è camaleontico: basta fare una ricerca su Google per capire quanto il mito sia stato saccheggiato praticamente da chiunque. Dagli scrittori passando per i cineasti, senza dimenticare gli educatori e, ovviamente, gli HR, negli anni la profezia che si autoavvera ha affascinato le teorie e i lavori di molti.

    In questo articolo vediamo insieme come questo fenomeno sia coerente con la vita d’azienda e quanto sia importante tenerlo in considerazione per ottimizzare la propria produttività, anziché limitarla.

     

    1. Innanzitutto: cos'è l'effetto Pigmalione
    2. L'effetto Pigmalione nel mondo del lavoro
    3. Quali sono i vantaggi per l'organizzazione
    4. Come implementare l'effetto Pigmalione in azienda 
    5. In conclusione 

     

    1. Innanzitutto: cos'è l'effetto Pigmalione

    Effetto Pigmalione, o anche effetto di Rosenthal (dallo studioso che lo teorizzò per la prima volta): altro non è che “la profezia che si autoavvera”. 

    Si tratta di un un fenomeno psicologico secondo il quale le aspettative di una persona nei confronti di un'altra possono influenzarne le prestazioni e il comportamento.  

    E qui già cominciamo a percepire quale potrebbe essere la similitudine con il mondo HR: come vedremo nel prossimo paragrafo, se si crea in azienda un ambiente carico di aspettative positive per le proprie risorse, secondo l’effetto Pigmalione le risorse performeranno al meglio, realizzando le aspettative. 

    Ma facciamo un passo indietro: da dove nasce tutto questo? 

    Per capirne l’origine, è necessario riavvolgere il nastro, tornare tutti insieme sui banchi di scuola e ripassare (velocemente, promesso) il mito raccontato da Ovidio. 

    Siamo nell’antica Grecia, Pigmalione è il re di Cipro, nonché abile scultore. Plasma una statua di donna e se ne innamora così tanto da recarsi al tempio della dea dell’Amore Afrodite supplicandola di trasformare la sua opera in creatura viva: la dea, benevola, esaudisce la sua preghiera. 

    Il mito rimanda quindi al concetto di un’immagine ideale che - grazie a una profonda convinzione - viene trasformata in immagine reale. 

    È da questo mito che prende il nome il risultato di un esperimento messo in piedi qualche secolo più tardi - e più precisamente negli anni 60 del Novecento - da un team di psicologi americani guidato da Robert Rosenthal e Lenore Jacobson.

    Partendo dalle caratteristiche della cosiddetta profezia che si autorealizza i due studiosi procedettero con un esperimento di psicologia sociale.

    Somministrarono un test di intelligenza a un gruppo di bambini e bambine tra i 6 e i 10 anni. Tra questi, i due psicologi scelsero casualmente i/le bambini/e a cui comunicare - mentendo - che il test aveva dimostrato una loro particolare dote intellettiva, condividendo questa informazione anche con i loro insegnanti.

    Un anno più tardi a questi alunni e a queste alunne fu riproposto un ulteriore test: i risultati, questa volta veritieri, dimostrarono un loro reale miglioramento, avallando l’ipotesi secondo la quale il pregiudizio positivo degli insegnanti nei confronti dei discenti ne condiziona il comportamento e quindi, di conseguenza, anche il rendimento degli stessi alunni.

    In ambito educativo l’effetto Pigmalione è stato discusso in lungo e in largo. È un tema caldo che viene spesso portato all’attenzione degli insegnanti e della scuola stessa. L’obiettivo è che la profezia che si autoavvera possa funzionare solo in positivo e mai in negativo. Perché se è vero che l’aspettativa positiva è l’anticamera del successo, quella negativa può esserla del fallimento (e quindi si parla di effetto Golem), spesso senza alcuna ragione effettivamente realistica, ma solo pregiudiziale.

     

    2. L’effetto Pigmalione nel mondo del lavoro

    Come entra il mito – o forse faremmo meglio a dire “l’effetto Rosenthal” – nel mondo del lavoro è presto detto.

    In termini di pura definizione, l’effetto Pigmalione in ambito professionale altro non è se non quel tipo di comportamento adottato dalla leadership che condiziona – positivamente o negativamente – le performance delle persone dell’azienda e, più in generale, i risultati di business dell’intera organizzazione.

    In un bellissimo articolo del 2003, pubblicato sull’Harvard Business Review, J. Sterling Livingston spiegava nel dettaglio come l’effetto Pigmalione potesse influenzare positivamente o negativamente le attività di management.

    In poche parole, Sterling Livingston teorizzava che nei casi in cui i manager dimostrano di avere aspettative alte, la produttività ne risente positivamente. Il contrario avviene quando invece le aspettative sono discrete, se non nulle.

    Inconsciamente, ma spesso nemmeno così troppo, i manager – o comunque coloro i quali hanno il compito di guidare i team nell’espletamento dei propri compiti professionali – adottano un atteggiamento che riflette fedelmente l’idea e la percezione che questa stessa persona si è fatta di chi lavora con lui/lei.

    Un professionista quindi che crede nel potenziale dei suoi collaboratori farà di tutto affinché questo si manifesti e si realizzi, a beneficio della produttività del suo gruppo di lavoro e dell’azienda tutta. Diversamente, invece, chi non ha fiducia nelle capacità delle persone che guida, andrà incontro alla sua stessa rovina, influenzando negativamente tanto la performance del singolo, quanto quella della “squadra”.

    Ciò che però è opportuno considerare è che, soprattutto nelle situazioni in cui i talenti sono giovani e ancora poco avvezzi alla vita d’azienda, l’effetto Rosenthal dovrebbe essere alla base del loro stesso percorso di educazione al mondo del lavoro, o comunque a quello specifico contesto in cui si stanno immergendo.

    La leadership dovrebbe quindi funzionare come guida, partendo dal presupposto – sì pregiudiziale, ma con le migliori intenzioni possibili – che le persone che le si affidano sono quelle giuste, dalle quali “tirar fuori” il meglio, per ottenere un risultato che soddisfi anche ogni più rosea aspettativa.

     

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    3. Quali sono i vantaggi per l'organizzazione?  

    Per capire quali possono essere i vantaggi dell’effetto Pigmalione in azienda, dobbiamo tirare in ballo anche un altro meccanismo, altrimenti conosciuto come effetto Hawthorne.

    Spiegato per la prima volta nel lontano 1927, questo fenomeno – teorizzato da Elton Mayo e Fritz J. Roethlisberger – dimostra scientificamente la relazione esistente tra elementi di tipo sociale e quelli come la produttività e i risultati.

    Gli esperimenti che vennero condotti a Hawthorne (da cui il nome dell’effetto) in una delle fabbriche della Western Electric dimostrarono che dal momento in cui ai lavoratori era stata data la possibilità di esternare le proprie emozioni nei confronti del loro stesso lavoro, avendo certezza di essere ascoltati e accolti nelle loro necessità, la loro produttività era aumentata. Questa, insomma, non dipendeva solo e soltanto dalle condizioni ambientali alle quali erano sottoposti (spazio di lavoro, illuminazione, ecc.), ma soprattutto da fattori di ordine psicologico più che sociologico.

    Mayo scoprì quindi che i lavoratori erano motivati in primo luogo da bisogni sociali, riconducibili al rapporto con i propri superiori.

    Non è quindi una novità che la motivazione sia alla base della produttività: l’effetto Pigmalione altro non fa se non aggiungere un tassello alla piramide della comprensione del fenomeno, affermando – studi scientifici a sostegno – che il comportamento dei leader influenza la performance dell’individuo, anche se inconsciamente.

    In particolare:

    • ciò che i manager si aspettano dai membri del loro team e il trattamento che a loro riservano determinano tanto le loro stesse performance quanto eventuali avanzamenti di carriera;
    • il manager “illuminato” è chi è in grado non solo di creare aspettative elevate, ma anche di far in modo che il proprio team riesca a soddisfarle, esprimendo a pieno (e talvolta addirittura superando) il proprio potenziale;
    • i manager non saranno quindi sono leader, ma veri e propri coach con il compito di guidare il proprio team, credendo nelle potenzialità delle proprie persone e guidandole verso la massima espressione delle loro capacità; la produttività risulterà tanto più scarsa quanto più i manager risulteranno poco “efficaci” in questo ruolo di guida;
    • le persone, anche sul lavoro, si comportano così come pensano che ci si aspetti da loro. Alte aspettative, quindi, conducono a un atteggiamento produttivo, così come l’esatto contrario.

     

    4. Come implementare l'effetto Pigmalione in azienda 

    Nonostante sembri semplice, innescare un meccanismo virtuoso di “profezie che si autoavverano” - soprattutto sul luogo di lavoro dove spesso scadenze, responsabilità e gerarchia tendono a prendere il sopravvento su tutto il resto – non è un gioco da ragazzi.

    Ciò che sicuramente occorre è un piano di battaglia, un percorso strategico da seguire, che aiuti nel definire quali sono le attività e gli accorgimenti che è necessario introdurre affinché l’effetto Rosenthal (o Pigmalione) sia effettivamente un vantaggio per l’azienda e non, invece, un ostacolo.

    Ecco quindi 4 suggerimenti di cui l’HR Manager potrà tenere conto nello stabilire il suo piano per ottenere un proficuo “Effetto Pigmalione” tra le sue risorse:

     

    1) Favorire l’instaurarsi di una proficua relazione tra il leader e il suo team

    Il rapporto tra il manager e i membri del suo team, così come la relazione tra tutte le persone che lavorano insieme, deve basarsi su fiducia, rispetto e scambio reciproco.

    Favorire in azienda l’instaurarsi di questo rapporto consente, naturalmente, di creare un ambiente di lavoro accogliente, all’interno del quale chiunque possa sentirsi libero di esprimere le proprie opinioni, certo di essere ascoltato, e dove, nello stesso tempo, è possibile mettere a fattore comune le proprie competenze e le proprie idee in ottica di produttività condivisa.

    Per fare questo si può promuovere in azienda, come scrivevamo poco sopra, la concezione di un manager che non sia solo un leader, ma che diventi un vero e proprio coach: una guida che sappia ascoltare le sue persone, comprenderne le reali potenzialità e portarle verso la loro piena realizzazione. Proporre una formazione specifica per i leader che punti proprio in questa direzione può davvero rappresentare una chiave di svolta in questo senso. 

     

    2) Istituire la cultura del feedback

    Per stabilire una relazione di reciproca produttività c’è un altro elemento di cui tenere conto: il feedback

    I manager più propensi a confrontarsi con le proprie persone, dando loro feedback continuativi e volendone ricevere altrettanti, sono quelli che avranno più possibilità di assicurarsi team motivati e produttivi.

    Ecco perchè è importante che l’HR promuova lo sviluppo di una forte cultura del feedback, stabilendo, in accordo con la dirigenza, frequenti momenti istituzionali in cui manager e team possano confrontarsi in modo costruttivo. 

    Retrospettive e feedback costanti sono un elemento indispensabile non solo per crescere le proprie risorse, ma anche per dare loro il giusto valore: il confronto abituale dimostra interesse e partecipazione da parte del manager nella crescita (sia personale che professionale) delle sue persone e rende entrambe le parti - il leader e la persona che gli si affida - parti attive nei processi di business. 

    La cultura del feedback è quindi uno strumento di grande rilevanza nello sviluppo delle competenze positive delle proprie risorse e per crescere professionisti di valore credendo in loro. 

     

    3) Promuovere la definizione di obiettivi chiari ed effettivamente raggiungibili

    Un altro, essenziale, step è quello di invitare i manager della propria azienda a fissare degli obiettivi personalizzati, concreti e raggiungibili per ciascun membro del proprio team.

    Come scrivevamo poco sopra, infatti, il leader con aspettative alte avrà un team in grado di poterle soddisfare, ma questo si verifica a patto che gli obiettivi fissati siano:

    • specifici: le persone devono capire esattamente qual è la meta a cui è necessario arrivare. Un obiettivo poco chiaro  e generico è una scommessa persa in partenza;
    • sfidanti: far uscire dalla zona di comfort non significa mettere in difficoltà, ma vuol dire stimolare competenze e capacità che permettono di raggiungere risultati davvero significativi, in grado quindi di colmare il gap tra aspettativa e realtà;
    • ambiziosi, ma realistici: è necessario che l’obiettivo finale sia in linea con le competenze a disposizione per poterlo raggiungere. Diversamente si creerà un sentimento di frustrazione che agirà come effetto Golem (ossia l’effetto Pigmalione in negativo).

    4) Mettere a disposizione opportunità di formazione

    E infine, ultima ma assolutamente non per importanza: la formazione. 

    Dare la possibilità alle proprie persone di migliorare e ottimizzare le proprie competenze, significa credere nella loro capacità di crescere.

    Sapere che l’azienda investe sulla crescita delle proprie persone non è così scontato, ma quando ciò accade l’effetto è quello di infondere fiducia, coraggio e motivazione tanto nelle fasi operative della vita in azienda, quanto in quelle di pre-ingresso: come spesso abbiamo avuto modo di scrivere, la formazione funziona da leva per la  talent attraction e retention creando un rapporto virtuoso tra leader e team.

    Un’azienda che sappia valorizzare le proprie risorse tramite valide opportunità di crescita, dovute sia ai piani di formazione che a una leadership positiva e propositiva, è un'azienda che risulta attrattiva anche agli occhi di potenziali candidati.

    Investire sulle proprie persone significa investire su se stessi. 

     

    5. In conclusione

    Se il compito dell’HR Manager è scoprire il talento che si cela dietro alle risorse in fase di pre-inserimento in azienda, sarà poi sempre suo il compito di fare in modo che queste potenzialità possano esplicitarsi in un contesto aziendale favorevole, con una leadership positiva e propositiva che crede nelle sue persone. 

    Compito arduo? Forse, ma appassionante e soprattutto di altissimo valore per l’organizzazione di cui si fa parte. 

    Prendersi cura della propria azienda significa prendersi cura delle proprie risorse. E prendersi cura delle proprie risorse vuol dire anche prendersi cura della loro crescita, partendo proprio dalla formazione di leader positivi. 

    Chiunque svolga un ruolo di leadership è necessario che tenga a mente quanto il suo comportamento possa essere specchio di quello altrui. Puntare sugli altri, innalzare la loro autostima, alzando l’asticella dell’aspettativa, senza correre però il rischio di essere irrealistici, è il motore della produttività, la base della motivazione, l’anticamera del successo. 

    Individuale, di team e dell’azienda tutta.

     

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    Alessandro Raguseo, CEO