L’impegno ecologico come leva per l’employer branding

    I motivi per cui essere ecosostenibili non solo è eticamente corretto, ma ha anche un valore strategico.

    Attento, consapevole, sostenibile, anche a costo di spendere di più o abbandonare il brand tanto amato, se poco trasparente e green: sono queste le caratteristiche del consumatore di oggi, che porta con sé anche quando veste il ruolo di candidato. 

    Gli interrogativi e le sfide poste dalla green economy non sono più solo semplici concetti, ma un vero modello economico da adottare e da cui trarre enormi benefici in termini di business per tutta l’azienda e soprattutto per gli aspetti HR.

    I dati che vediamo nel prossimo paragrafo confermano che le nuove generazioni di consumatori, cresciute nell’era dei cambiamenti climatici e della crescente attenzione allo sfruttamento sostenibile delle risorse, stanno mostrando un comportamento che si discosta grandemente da quello delle generazioni precedenti.

    Le persone analizzano senza sconti l’aderenza di un’azienda ai valori che promuove come propri: non vale fare il cosiddetto brandwashing (ossia accostarsi a un tema etico solo per guadagnare punti agli occhi dei potenziali clienti), ma è necessario dimostrare di credere davvero in quello che si comunica, con costanza e continuità.

    Ecco perché l’impegno ecologico di un’impresa non solo è eticamente corretto, ma assume anche un valore strategico per il business.

     

    1. Le statistiche

    Queste tendenze sono ormai sostenute da diverse ricerche, a partire dal Global Survey of Corporate Social Responsibility and Sustainability realizzato da Nielsen su un campione di 30.000 individui di 60 Paesi. Già nel 2015 il documento metteva ben in evidenza come il 52% dei consumatori italiani fosse disposto a spendere di più per prodotti ecosostenibili, dato in crescita del 7% rispetto al 2014 e maggiore rispetto al 51% della media europea.     

    Alle stesse conclusioni è giunta anche una ricerca più recente condotta da IBM insieme alla National Retail Federation (Nrf), confermando che ben più di un terzo del campione preso in esame tenesse conto, nel processo di acquisto, di alcune priorità come la sostenibilità, la trasparenza e la coerenza con la propria scala di valori. L’aumento di brand e prodotti a disposizione degli acquirenti fa sì che, per molte persone, i valori aziendali contino più del costo e della convenienza. Analizzando nel dettaglio il report si scopre che in media il 70% degli acquirenti è disposto a pagare il 35% in più per prodotti sostenibili, come quelli ricavati da materiali riciclati, per esempio. E anche che il 57% degli intervistati è disposto a cambiare le proprie abitudini di acquisto per contribuire a ridurre l’impatto ambientale negativo. 

    La situazione non cambia quando a essere interpellati sono i CEO di alcune delle più famose multinazionali: secondo una ricerca realizzata da Fortune nel 2020 solo il 7% dei 500 manager intervistati pensa che l’unico obiettivo aziendale debba essere il profitto a discapito di una strategia che includa propositi (anche) sociali. Perché come sostiene anche il whitepaper di McKinsey “Purpose: shifting from why to how”, ora come ora per un’azienda è necessario mostrare alle persone che la vera ragione per esserci e operare sul mercato non è solo quella di esistere, ma al contrario quella di avere un impatto positivo e virtuoso su molteplici aspetti sociali e ambientali.



    2. L’importanza dell’ecosostenibilità in ambito HR

    Ogni azienda oggi ha la necessità di valorizzare la propria immagine in modo da risultare interessante agli occhi delle persone che vi lavorano e dei potenziali candidati. I fattori che concorrono al raggiungimento di questo obiettivo sono molteplici e sono ciò che compone la strategia di Employer Branding di un’impresa. In questo contesto, il ruolo che svolge l’impegno ecologico dell’azienda è sempre più decisivo.

    Infatti i consumatori che prediligono così nettamente prodotti ecosostenibili e prendono in considerazione alcune priorità come la trasparenza e la coerenza con la propria scala di valori possono essere anche attuali o futuri collaboratori, i manager e i professionisti che faranno crescere le nostre aziende. E non ci si deve stupire se oggi sempre più persone vedono il tema ambientale come una vera e propria variabile di scelta del datore di lavoro, di fidelizzazione e fattore di soddisfazione per essere più produttivi e motivati.

    L’importanza di questi temi è certificata anche dalla nascita di specifici ruoli all’interno delle aziende per persone che fanno della sostenibilità la propria professione. La funzione del Sustainability Manager garantisce una coerenza di approccio e di priorità a livello aziendale e si declina nella promozione del rispetto dell’ambiente all’interno dell’impresa e nell’implementazione di progetti di sostenibilità. 

    Tra questi, un ruolo decisivo è svolto dalle iniziative di volontariato d’impresa, che offrono ai lavoratori la possibilità di contribuire in prima persona ad attività di tutela dell’ambiente. Promuovere questi progetti fa sì che i valori aziendali vengano compresi e vissuti pienamente dai colleghi, che possono così farli propri e sentirli parte della propria identità. Questa opportunità rappresenta un vantaggio non solo in termini di talent acquisition, ma anche di employee retention, dal momento che consente alle persone di sentirsi coinvolte attivamente nello sviluppo della cultura aziendale e nel sostegno al territorio. 


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    3. Cosa cambia con il nuovo Ministero della Transizione Ecologica

    La centralità delle nuove politiche ambientali nel Paese è stata certificata nel giorno dell’insediamento del nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri Mario Draghi, che ha annunciato l’istituzione dell’inedito Ministero della Transizione Ecologica presieduto da Roberto Cingolani. All’orizzonte ci sono gli obiettivi del Green Deal europeo, la riduzione delle emissioni del 55% entro il 2030 e la neutralità carbonica entro il 2050, oltre agli obiettivi dell’agenda Onu per lo Sviluppo Sostenibile. 

    In cosa consiste dunque questo nuovo Ministero? E cosa comporterà per l’agenda politica del Governo italiano?

    Innanzitutto non si tratta di semplice ristrutturazione burocratica ma di una scelta dettata da ragioni profonde. I problemi ambientali non possono essere affrontati con logiche differenti gli uni dagli altri: il tema energetico è evidentemente connesso a quello delle infrastrutture, l’industria è legata al territorio in cui opera, l’agricoltura e l’allevamento sono connessi alla tutela della biodiversità e così via. 

    Di qui la necessità di un unico organo istituzionale che persegua un orizzonte programmatico coerente e omogeneo, da cui dovranno necessariamente conseguire delle scelte economiche che, come si auspica, agevolino appunto la transizione ecologica delle imprese italiane.

    Ecco perchè affrontare questi temi deve essere in cima alla to do list di ogni HR Manager: fino a che ogni azienda non si doterà di un Sustainability Manager, e bisognerà pazientare un po’, è l’HR che ha l’onore e l’onere di portare sul tavolo questi argomenti, sensibilizzare il management, ascoltare le idee e le opinioni dei collaboratori e proporre loro iniziative concrete. In palio c’è l’engagement dei migliori talenti. 

     

    4. Alcuni esempi da imitare

    Quali sono quindi le azioni che un’azienda può mettere in campo per concretizzare il proprio impegno ecologico? Le possibilità sono diverse e presentano diversi campi di applicazione: 

    • misure che impattano direttamente sul business dell’azienda: commercializzazione di prodotti sostenibili, investimenti in energie rinnovabili, destinazione di parte del fatturato a progetti di ecosostenibilità, ecc.;
    • politiche ambientali di sostegno al territorio: piantumazione di alberi e supporto a organizzazioni ambientaliste, per esempio;
    • promozione di comportamenti virtuosi da parte della popolazione aziendale: adesione volontaria a progetti di ecosostenibilità, diminuzione del consumo della plastica, ottimizzazione dell’energia consumata e politiche di gestione sostenibile dei rifiuti.

    Vediamo dunque alcuni casi di aziende particolarmente virtuose in tal senso.

     

    L’ecosostenibilità nel digitale: Google

    Parliamo anche di aziende digitali. Il web ha sicuramente impattato in maniera rivoluzionaria nel diminuire le distanze e quindi risparmiare su trasporti ed emissioni di CO2. Dall’altro lato però, come ben evidenziato dal report di Greenpeace Clicking Clean: A Guide to Building the Green Internet, la domanda di elettricità connessa all’utilizzo dei dispositivi informatici ha raggiunto nel corso del 2020 i 7,6 miliardi di kilowatt. Questo aspetto influisce decisamente anche sulle emissioni di CO2 derivanti dalle fonti con cui questa elettricità viene prodotta. 

    In quest’ambito un esempio degno di nota è rappresentato da Google, attivo già da alcuni anni nel settore fotovoltaico grazie alla partnership con SolarCity, società del Gruppo Tesla che si occupa di finanziare e installare sistemi di energia solare. La collaborazione tra le due compagnie ha portato alla creazione di un fondo da 750 milioni di dollari che dal 2015 finanzia l’installazione di pannelli fotovoltaici a livello residenziale in tutti gli Stati Uniti. 

     

    L’impegno ecologico di Patagonia

    Sicuramente uno degli esempi più riusciti di azienda green e ambientalista è quello di Patagonia. Il brand si caratterizza fin dagli anni Ottanta per una forte identità, mission e impegno focalizzati alla sostenibilità ambientale. Questo ha portato il marchio a collaborare solo con fabbriche e stabilimenti che condividono gli stessi valori di integrità e sostenibilità ambientale.

    I concetti cari alla green economy sono espressi utilizzando tutti materiali ecosostenibili in produzione, come cotone organico, poliestere riciclato, nylon proveniente da fibre di scarti post-industriali, filati raccolti in aziende tessili e lana ricavata da allevamenti gestiti in modo sostenibile in Patagonia, fino alla canapa e al TENCEL, una fibra innovativa ottenuta dalla polpa degli alberi di eucalipto.

    L’azienda devolve inoltre l’1% dei profitti annui a organizzazioni ambientaliste e realtà impegnate nella ricerca di soluzioni strategiche per far fronte alla crisi ambientale. Principio che ha poi promosso ed esportato in altre imprese di piccole e medie dimensioni, grazie al progetto collaborativo “1% for the Planet”. Dal 2017 è stato lanciato anche il programma di adesione individuale che consente a ogni persona in tutto il mondo di sostenere attivamente il progetto donando l’1% del proprio stipendio annuale o svolgendo attività di volontariato a favore di una delle organizzazioni non profit partner di Patagonia (è possibile partecipare qui).

    Il grande impegno di Patagonia nella tutela dell’ambiente è stato accompagnato negli anni da una costante e rapida ascesa dei profitti, dando vita a un circolo virtuoso che è tale proprio perché gli sforzi ambientali dell’azienda sono reali e significativi, e il brand ha la reputazione necessaria per dimostrare la propria autenticità. 

     

    Unilever Sustainable Living Plan: per un business “di cui il mondo può essere fiero”

    La crescita può avvenire nel rispetto delle persone e del Pianeta: questa è anche la convinzione alla base dell’Unilever Sustainable Living Plan, che per Unilever “non è solo un piano di sostenibilità, ma un piano per un business sostenibile e vincente”.

    Miglioramento del clima, diminuzione dell’impatto ambientale, uguaglianza di genere, miglioramento della salute e della nutrizione di chi vive nelle aree meno sviluppate del Pianeta: in definitiva, un mondo più equo e prospero. Gli obiettivi del progetto lanciato da Unilever nel 2010 sono diversi e tutti ambiziosi, e in questi dieci anni sono stati raggiunti dei traguardi importanti:

    • è stato dimezzato il consumo di acqua nelle attività produttive;
    • è stata raggiunta la parità di genere nel management della Compagnia a livello globale;
    • gli impianti di produzione utilizzano ora il 100% di reti di energia elettrica rinnovabile;
    • 1,8 milioni di piccoli rivenditori in tutto il mondo hanno avuto accesso a iniziative volte a migliorare il proprio reddito;
    • l’impatto dei rifiuti generato dall’utilizzo da parte dei consumatori di prodotti Unilever si è ridotto del 32%, mentre sono stati ridotti del 96% i rifiuti di produzione destinati allo smaltimento;
    • la quantità di materie prime agricole provenienti da fonti sostenibili è aumentata sensibilmente, passando dal 14% al 62%;
    • 1,3 miliardi di persone sono state aiutate a migliorare la propria salute e igiene.

    Ora che l’ULSP volge al termine, Unilever si sta impegnando nel costruire un movimento in cui l’azienda, i fornitori e i consumatori lavorino a un futuro migliore “per contribuire al mondo che tutti desideriamo. Un business di cui il mondo può essere fiero”.

     

    Stella McCartney: fashion sì, sostenibile anche

    Tra i settori merceologici che negli ultimi anni si sono mossi con decisione verso una svolta ecosostenibile non possiamo non citare quello della moda. Uno dei casi di maggiore successo è rappresentato da Stella McCartney, il brand britannico eco-chic che fa dell’attenzione all’ambiente la propria mission aziendale. Un’attenzione che impatta sulla scelta dei materiali e dei fornitori, sulla formazione aziendale e sugli stakeholder locali con cui il brand sceglie di collaborare. L’impegno ecologico di Stella McCartney può essere sintetizzato efficacemente nella dichiarazione presente sul sito ufficiale della compagnia:

    “Siamo agenti di cambiamento. Sfidiamo e spingiamo i confini per realizzare prodotti di lusso in modo adatto al mondo in cui viviamo oggi e nel futuro: belli e sostenibili. Nessun compromesso”.

     

    Mapei: l’impegno ecologico è misurabile

    L’adesione a principi ecosostenibili diventa un valore quando si concretizza in azioni tangibili che, in quanto tali, hanno un impatto misurabile.

    “Sono circa 20 anni che ci occupiamo di composti organici volatili, i VOC. Il compito è verificare le caratteristiche dei nostri prodotti per quanto concerne la loro salubrità, sottoponendoli successivamente a prove di laboratorio da parte di enti terzi per poter ottenere certificazioni di bassa emissività, come ad esempio l’EMICODE, rilasciato dall’Associazione tedesca GEV per il controllo delle emissioni dei prodotti per edilizia, alla quale Mapei aderisce dal 2005”.

    Con queste parole Mikaela Decio, Responsabile Environmental Sustainability di Mapei, definisce l’impegno del Gruppo nel misurare l’impatto ambientale dei propri prodotti in fase di produzione, confezionamento e utilizzo. Per raggiungere gli obiettivi che Mapei si prefigge in materia di sostenibilità, l’azienda ha scelto di dedicare il 70% della propria attività di ricerca allo sviluppo di prodotti ecosostenibili.

     

    Kerakoll per un’edilizia green

    Un’azienda la cui mission ecosostenibile è ben evidente già da un primo sguardo al logo e al payoff: in Kerakoll tutte le componenti della strategia aziendale concorrono a posizionare il brand come orientato totalmente alla sostenibilità ambientale.

    • Mission e vision: Kerakoll rappresenta il Green Building, la nuova filosofia costruttiva a basso impatto ambientale per la salute e il benessere delle persone che mette al centro la qualità ecosostenibile della casa in rapporto alla salute dei suoi abitanti.
    • Prodotti: all’interno della sezione prodotti viene spiegato il metodo del Green Building Rating (misuratore di performance ambientali dei materiali da costruzione), così come la Eco Philosophy di Kerakoll e la Bio Philosophy.
    • Progetti: Kerakoll investe il 5,4% del fatturato in green technology e di recente ha realizzato il Green Lab, la struttura più avanzata del mondo in materia di ricerca bioedile.

     

    Un mondo sempre più verde con Timberland e Berlucchi

    Restituire al Pianeta ciò che nel tempo gli è stato tolto, per garantire un futuro più verde per tutti. È questo l’approccio che sta alla base dei progetti di riforestazione che sempre più aziende, in Italia e nel mondo, decidono di sostenere.

    L’ha fatto recentemente Timberland che, nell’ambito della sua iniziativa Nature needs heroes, ha dichiarato di voler piantare 50 milioni di alberi entro il 2025. Un obiettivo ambizioso che risponde a un atteggiamento aziendale estremamente etico: dalla produzione di prodotti responsabili fino all’attenzione nei confronti delle comunità che li lavorano per arrivare alla tutela e valorizzazione dell’ambiente, niente in Timberland viene più lasciato al caso. 

    Uno dei partner dell’azienda in questo progetto è l’italianissima Treedom, nata a Firenze nel 2013 sotto il claim “Let’s green the planet”: sono tante le realtà che da quasi 10 anni si affidano alla B-Corp per, letteralmente, far respirare il Pianeta, dando vita alle proprie foreste. Una su tutte Berlucchi, coinvolta nella ripiantumazione di una zona del Camerun: gli alberi diventano una delle leve di comunicazione aziendale e possono essere facilmente adottati dai consumatori. In questo modo l’audience non è più semplice spettatrice dell’impegno altrui, ma diventa parte attiva di un progetto green.

     


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    Reverse è una realtà in continua evoluzione: come un gruppo di scienziati e ricercatori che giorno dopo giorno creano qualcosa di nuovo per migliorare e semplificare il mondo dell’Head Hunting e l’attività di chi si occupa di HR.
    Alessandro Raguseo, CEO