Industry Pharma: l'evoluzione del lavoro nel settore farmaceutico

    Grazie ai suoi 25 anni di esperienza nel mondo farmaceutico, Ferdinando Scala non è solo un professionista affermato, ma anche estremamente consapevole, tanto dello stato dell’arte del suo mercato, quanto, più in generale, di come il mondo del lavoro e l’industria tutta stia evolvendo verso una situazione affascinante e particolarmente sfidante.

    Scala lavora dal 2010 in Healthware Group, una delle maggiori aziende di consulenza in ambito Healthcare, dove attualmente occupa il ruolo di Strategy Director. 

    Insegna, inoltre, Marketing e Management Farmaceutico presso la Alma Laboris Business School di Roma e recentemente si è qualificato come giornalista tecnico-scientifico.

    Dott. Scala iniziamo da una panoramica su come sta evolvendo il mondo del lavoro nel settore farmaceutico.

    Per capire la situazione attuale, è necessario ripercorrere brevemente le varie fasi che il settore ha attraversato.

    La prima - che personalmente ho vissuto marginalmente – è stata quella della cosiddetta “industria farmaceutica ricca”. Per ragioni legate soprattutto alle condizioni politico-economiche del tempo, c’era infatti l’idea di garantire sanità illimitata a tutti. Questo si è tradotto nel rimborso senza limiti dei farmaci e nell’erogazione gratuita di qualsiasi tipo di prestazione.
    A lungo andare, questo approccio ha messo in difficoltà lo Stato: i cittadini, deresponsabilizzati nei confronti della spesa sostenuta, si sono trovati nella condizione di abusare di quanto era stato messo loro a disposizione. 

    I nodi in Italia hanno cominciato a venire al pettine intorno al 2001, quando ci fu un primo tentativo di stretta con l’introduzione dei farmaci generici e della legge sulla sostituibilità in farmacia, per tentare di risparmiare sulla spesa sanitaria nazionale.
    In conseguenza di ciò, e del progressivo esaurimento delle pipeline globali dei farmaci tradizionali, si è verificato uno spostamento delle aziende farmaceutiche verso il biotech e le patologie specialistiche, che in termini occupazionali ha significato una forte riduzione del numero degli informatori sul campo.

    Altro momento importante per il nostro settore, è stato l’introduzione dei nutraceutici che da un certo punto di vista hanno soppiantato i farmaci di medicina generale non tanto per quanto riguarda la terapia, ma per il recupero di un rapporto privilegiato tra il medico e il paziente e tra il medico e l’industria. 

    Se infatti la diffusione dei farmaci generici ha sottratto al medico la facoltà decisionale sul brand - che è passata al farmacista - e conseguentemente ha contribuito a ridisegnare il suo ruolo, l’arrivo dei nutraceutici ha aiutato (e ancora lo sta facendo) il recupero del rapporto medico-paziente. I medici di medicina generale sono tornati a prendere decisioni effettive sulla gestione dello stato di salute dei pazienti, non più intervenendo solo in fase acuta, ma andando invece a lavorare sulla prevenzione a garanzia di un continuativo stato di benessere. 

    L’ultima fase di evoluzione del settore Healthcare – che la nostra azienda sta già portando avanti da una decina d’anni – è quella della cosiddetta Digital Health, ovvero tutto l’insieme di applicazioni e strumenti digitali che vanno a integrare e a volte sostituire l’approccio terapeutico basato sui farmaci. Questo è un trend in enorme crescita che costituisce già oggi la base per lo sviluppo della medicina del futuro.

     

    Come pensa che impatterà la Digital Health sul settore farmaceutico?

    In primo luogo, va sottolineato che la diffusione della Digital Health costringerà a un ripensamento dei curricula universitari in medicina o in scienze della vita
    Facciamo un paragone per rendere più chiaro cosa intendo: prima che fossero introdotte le analisi strumentali per la diagnostica, l’esame di semeiotica medica era estremamente importante per insegnare al medico a riconoscere l’esistenza di una possibile condizione sulla base dei segni e sintomi che il paziente manifestava. 

    Con l’avvento delle analisi strumentali tutto questo si è fortissimamente evoluto: per la diagnosi, i medici di oggi si fanno supportare moltissimo dagli apparati diagnostici, dalle analisi chimico-biologiche e da piccoli strumenti tecnologici. 

    Ecco, questo tipo di fenomeno sarà ancora più radicale nel prossimo futuro: la Digital Health avrà un impatto disruptive su tutte le fasi del Patient Journey. Ad esempio, la diffusione di sensori passivi ingeribili e impiantabili per un monitoraggio dei parametri continuo e costante consentirà di conoscere per tempo e prevenire eventi acuti a carico dei pazienti. Saremo in grado infatti di elaborare ed utilizzare dei cosiddetti digital biomarker che fungeranno da soglie di riferimento e di allarme.

     

    Diceva quindi della necessità di un ripensamento dei curricula universitari. È evidente che ci sia però una sorta di gap temporale visto che il futuro è già nel presente, ma i corsi di studio si trovano ancora nel passato. Come pensa si possa risolvere questa situazione?

    Credo che l’unico modo possibile sia attraverso i programmi di master, possibilmente tenuti da professionisti che lavorano attivamente nel settore e che sono quindi in grado non solo di condividere nozioni, ma soprattutto di trasferire competenze e know-how “del momento”. 

     

    E quali sono ora – e quali saranno nel prossimo futuro – le figure professionali più ricercate nel settore?

    Gli informatori scientifici continueranno sicuramente a essere richiesti, soprattutto per quel che concerne i nutraceutici. Ci sarà sempre e comunque bisogno anche degli informatori specialistici, perché il medico – nonostante la comodità del digitale - vuole e ha necessità di confrontarsi con un essere umano per riuscire anche a dirimere ogni suo eventuale dubbio. A essi verrà sicuramente richiesto di comprendere e utilizzare gli strumenti digitali – e in un prossimo futuro quelli di intelligenza artificiale – per ottimizzare il proprio lavoro.

    Non mancheranno le ricerche di figure manageriali di tutti i livelli, dal marketing alla medica, dalla farmacovigilanza al market access. 
    Credo a questo proposito che i market access manager abbiano un futuro roseo dal momento che le normative vanno sempre di più nella direzione di non aver bisogno del cosiddetto market access solo nel momento in cui si registra il farmaco, ma, invece, in termini continuativi. 
    Periodicamente vengono infatti effettuate delle revisioni di valore di farmaci già registrati e chi si occupa di market access deve dimostrare, sulla base di studi di farmacoeconomia, che il farmaco ha ancora un rapporto costo-benefici tale da giustificare la rimborsabilità. 

    Ci sarà poi assolutamente necessità di figure che si occupano dello sviluppo di tutto quel che concerne la Digital Health. In questo senso le figure manageriali non cambieranno – marketing, medica, regolatorio – ma dovranno anch’esse rivedere le proprie competenze
    Ancora di più, rispetto a quanto già detto per le vendite, la conoscenza e l’approfondimento di tutto quello che ha a che fare con le applicazioni di intelligenza artificiale saranno irrinunciabili. Molti lavori saranno rivoluzionati dall’AI ed è opportuno che i nuovi talenti siano preparati a gestire rinnovate modalità di approccio al settore e alla propria stessa professione.

     

    Parlando quindi dei giovani talenti che si affacciano in questo settore, quale ritiene che dovrebbero essere il loro approccio e le loro caratteristiche? 

    Immancabile deve essere il cosiddetto “never stop learning”, proprio a causa di un’industria in continua evoluzione, soprattutto grazie alla digital transformation.

    Non è secondaria poi la capacità di agire e imparare all’interno di team dispersi: il lavoro da remoto è ormai una condizione strutturale per tutti i lavori che richiedono gestione di risorse e conoscenza. Se l’informatore continuerà sempre ad andare sul campo, il manager andrà verosimilmente in azienda non regolarmente, ma quando ci siano necessità specifiche. 

     

    Parlando quindi di figure apicali, quali pensa che siano le caratteristiche del manager perfetto?

    Credo che il manager perfetto non esista. Esistono manager più o meno adatti a seconda di quelle che sono le condizioni generali del settore, quelle specifiche di funzione, e la composizione dei team in termini di tipi comportamentali. 

    Quello di cui sono invece convinto è che il management direttivo sia ormai desueto. 
    Si afferma invece – e deve essere valorizzato nelle aziende basate sul knowledge management – il cosiddetto coaching, perché come detto viene sempre più richiesta la capacità di una gestione decentrata di team sempre più interfunzionali e multiculturali.

    Questo per due motivi: il primo legato all’attualità del lavoro da remoto o comunque del lavoro ibrido. Non si sta più tutti insieme nello stesso posto e il micromanagement delle proprie risorse e dei team è ormai anacronistico, se non impossibile. 
    Il secondo motivo è legato al salto di cultura generazionale: diverse delle ultime ricerche sociali mostrano che i giovani sono più flessibili rispetto a quanto non lo siano stati gli appartenenti alla mia generazione. Le nuove leve di oggi hanno sempre bisogno di sentirsi parte dell’azienda per cui lavorano, vogliono imparare e vogliono crescere, ma ricercano nello stesso momento una buona qualità di vita, che sia in equilibrio tra lavoro e necessità personali. 

    Per tutte queste ragioni mi sento di dire che il manager controllore, così come lo si è conosciuto per anni, è in via di rapida estinzione. Al suo posto si sta affermando invece una figura che incarna insieme le capacità di un coach, di uno psicologo a distanza, di un motivatore: insomma, un vero leader nel senso più virtuoso del termine.

     


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    Alessandro Raguseo, CEO