Smart working: attrarre talenti senza rinunciare alla produttività

    I principi dello smart working sono legati alla fiducia reciproca tra azienda e dipendenti, i quali ripensano il modo di intendere le attività lavorative: il work-life balance e i risultati diventano più importanti dei processi, e ambo le parti si focalizzano sull’obiettivo da raggiungere. Ascolta l'opinione di un datore di lavoro e di un dipendente.

     

    1. Cos'è e cosa non è lo smart working
    2. Innovazione, ma a regola di legge
    3. Flessibilità e responsabilizzazione, con quali mezzi?
    4. Efficace sì, ma perché e quanto?

     

    In un momento storico in cui il tasso di occupazione è in ripresa, le aziende non possono più contare solo sul loro nome o sull’elemento retributivo per attrarre talenti, e soprattutto per trattenerli. I migliori talenti hanno ormai criteri diversi nella scelta del lavoro.

    Il candidato diventa selettivo e ha sempre più a cuore gli elementi che possano assicurargli un buon work-life balance. Il focus non è più solo sulla busta paga e le caratteristiche del ruolo, ma anche e soprattutto su quanto l’organizzazione sia caring nei confronti delle sue risorse.

    È in questo scenario che si inserisce lo smart working. Se qualche anno fa sembrava fantascienza, oggi la pratica del lavorare in remoto, direttamente da casa o nel luogo scelto, è diventata reale, tangibile ed estremamente frequente. Il vantaggio non è solo dei lavoratori, ma anche delle aziende, che guadagnano su più fronti senza rinunciare agli obiettivi organizzativi e ai risultati attesi.

    Cos’è e cosa non è lo smart working

    Il panorama culturale e accademico in materia di lavoro è costellato da definizioni di smart working e tutte hanno in comune la focalizzazione sugli aspetti di flessibilità, autonomia, auto-responsabilizzazione e produttività.

    L’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, da anni punto di riferimento in Italia per lo sviluppo della cultura dell’innovazione dei modelli di lavoro in ottica smart, lo definisce “una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.

    La chiave di volta delle organizzazioni contemporanee si basa sul ripensamento delle fondamenta del business e, come da definizione, su una flessibilità che non vuol dire disorganizzazione, ma un ingresso nelle logiche del pensiero fluido e del senso di auto-responsabilizzazione del lavoratore stesso. I principi su cui deve basarsi questo modello di lavoro sono legati alla fiducia reciproca tra colui che offre una prestazione e l’azienda che la riceve, la quale ripensa il modo di intendere le attività lavorative, non più legate a luoghi e orari prestabiliti. I risultati diventano più importanti dei processi e ambo le parti si focalizzano sull’obiettivo da raggiungere.

    È fondamentale non confondere i presupposti dello smart working e quelli del telelavoro, pratica già nota e assorbita da anni nel panorama del mondo del lavoro. Con lo smart working il lavoratore - una volta accordatosi col datore di lavoro - non ha limiti di luogo e spazio, e ha una libertà nella gestione del tempo, che affiancata allo sforzo del datore di lavoro nell'infondere nel dipendente un senso del dovere che lo induce a massimizzare la prestazione. Il telelavoro, invece, permette al dipendente di lavorare in remoto ma con orari, prestazioni, strumenti tecnologici accordati, riconducendolo alle abitudini aziendali come se fosse sul luogo di lavoro abituale.

     


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    Innovazione, ma a regola di legge

    Mentre in alcuni Paesi Europei e negli Stati Uniti la pratica dello smart working è regolamentata da anni, in Italia è stato inquadrato dalla legge sul lavoro agile solo nel giugno 2017 con la Legge n.81. Il Governo ha ritenuto necessario emanare una legge visto il crescente interesse da parte delle aziende italiane, le quali avevano già iniziato a provare a immettere tale pratica nella quotidianità lavorativa, senza però poter contare su regole e soprattutto tutele per ambo le parti.

    L’Osservatorio del Politecnico di Milano specifica che almeno il 48% delle aziende italiane dichiara di aver provato questo approccio, con un crescente interesse anche da parte delle PMI e della PA.

    Il Decreto Legge “promuove il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa, allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.
    La prestazione lavorativa viene eseguita in parte all’interno di locali aziendali senza una postazione fissa, e in parte all’esterno entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”.

    Alcuni aspetti fondamentali toccati dal decreto riguardano la necessità di utilizzare tecnologie adeguate e di rispettare un accordo scritto tra azienda e lavoratore, che deve comprendere anche percorsi di formazione ad hoc sia sui mezzi informatici sia sulle norme di sicurezza.

    Quali sono i mezzi chiave perchè lo smart working funzioni?

    Leggi l'articolo SMART WORKING: GLI ERRORI DA NON FARE PER INSERIRLO IN AZIENDA

    La pratica dello smart working ha bisogno di mezzi specifici per essere messa in pratica. I principali riguardano l'agevolazione di un cambiamento culturale forte nelle organizzazioni, che si vedono costrette a rinunciare al controllo assiduo sul lavoratore in scrivania e ad abbracciare una filosofia basata sulla delega e l’auto-responsabilizzazione.

    • Un primo aspetto necessario per rendere possibile tutto ciò è una formazione strutturata che va dal top management, promotore dell’iniziativa, al middle management, responsabile della prestazione dei dipendenti, fino a quest’ultimi, focalizzati a raggiungere gli obiettivi mantenendo il personale work-life balance.
    • Un secondo punto chiave consiste nel dotarsi di mezzi tecnologici adeguati, che l’azienda deve fornire e che devono essere anche degli strumenti che favoriscano la comunicazione tra il dipendente fuori sede e i colleghi sul luogo di lavoro, in maniera continua e controllata. 

    Efficace sì, ma perché e quanto?

    Un’azienda che offre e promuove il lavoro agile guadagna in employer branding e permette ai candidati e al lavoratore interno di guardare all’organizzazione in ottica positiva.

    Mariano Corso, direttore scientifico dell’Osservatorio, dichiara che in Italia si registra un incremento di produttività del 15% per lavoratore, di una riduzione nell’ordine del 20% del tasso di assenteismo, di risparmi del 30% sui costi di gestione degli spazi fisici e addirittura di un miglioramento del work-life balance registrato per l’80% degli addetti.

    Inoltre, se pensiamo ai benefici per i lavoratori, anche una sola giornata a settimana di remote working può far risparmiare in media 40 ore all’anno di spostamenti e per l’ambiente, invece, determina una riduzione di emissioni pari a 135 kg di CO2 all’anno, considerando che in media le persone percorrono circa 40 chilometri per recarsi al lavoro e ipotizzando che facciano un giorno a casa di lavoro da remoto.

     

     

    Un’indagine internazionale di PowWonNow del 2017 dimostra come più della metà dei lavoratori dichiari che lavorare fuori dell’ufficio incrementa il livello di motivazione; così come emerge da una ricerca della Cardiff University del 2017 che più di un terzo delle persone che lavorano da casa è propenso a lavorare ore extra, rispetto a chi ha la possibilità di lavorare solo dall’ufficio.

    È per per tutto l’insieme di questi fattori che il lavoro smart deve diventare un elemento strategico allineato con gli obiettivi di business delle organizzazioni, che pur rinunciando alla presenza fisica del lavoratore guadagnano in produttività e aumentano la probabilità di attrarre quei talenti che fanno la differenza.

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    Reverse è una realtà in continua evoluzione: come un gruppo di scienziati e ricercatori che giorno dopo giorno creano qualcosa di nuovo per migliorare e semplificare il mondo dell’Head Hunting e l’attività di chi si occupa di HR.
    Alessandro Raguseo, CEO