Ad anno nuovo ingranato, le previsioni fatte alla fine del 2022 sono ora ufficialmente tendenze e, quindi, con la dovuta cognizione di causa possiamo analizzarle per capire se – e come – possono fare al caso nostro.
Non fa eccezione il mondo delle HR che, più di altri, assorbe e interpreta le ricorrenze e le evoluzioni sociali, facendole proprie e restituendo quindi soluzioni e nuovi modelli di approccio.
Nei paragrafi che seguono vediamo insieme quali sono i 5 trend HR che, volente e nolente, ti troverai a dover fronteggiare nel corso dei prossimi mesi.
1. I 5 trend HR che dominano quest’anno
Rispetto agli ultimi due anni, il 2023 è iniziato con l’esaurirsi di quasi tutte le disposizioni emergenziali, andando però a cementare quel new normal di cui si era iniziato a parlare tra il 2021 e il 2022.
Chi si occupa di HR deve ora trovare o comunque selezionare le (rinnovate) modalità di lavoro in grado di incontrare le nuove esigenze dei lavoratori, efficientando, ovviamente, le performance aziendali.
Ecco quindi i 5 trend che stanno dominando questa prima parte del 2023.
1. Lavoro ibrido
Nonostante rispetto al 2021 i lavoratori in smartworking in Italia siano scesi di circa 500.000 unità, il tema di come organizzare il lavoro tra ufficio e modalità in remoto rimarrà in auge ancora per tutto l’anno.
Il lavoro ibrido è ormai una realtà consolidata per molte aziende (ne parlavamo già in questa indagine condotta su 1000 lavoratori e grandi realtà aziendali) che l’hanno ufficializzato anche all’interno dei contratti di collaborazione. Per altre, invece, si tratta di un work in progress che viene influenzato tanto dalla cultura aziendale, quanto dall’adozione delle tecnologie più adatte per affrontarlo al meglio.
È ormai inoltre assodato che la conoscenza e la scelta degli strumenti non debba più essere di solo appannaggio del team IT, ma riguardi proattivamente anche il comparto HR, ormai sempre più coinvolto nella gestione di nuovi modelli organizzativi associati, appunto, alla tecnologia.
In ogni caso i consigli per una buona gestione del lavoro ibrido – indipendentemente dal livello di consapevolezza già raggiunto all’interno dell’organizzazione – ruotano intorno a 3 pillar fondamentali:
- la trasparenza, ovvero la definizione di una strategia di gestione che sia chiara sin da principio a tutte le persone dell’azienda che diventano, in qualche modo, parte attiva e proattiva della stessa;
- la facilitazione delle relazioni in azienda: avendo dovuto rinunciare alla “convivenza” full time all’interno degli stessi uffici, alle persone devono comunque essere date opportunità per sentirsi parte della stessa community, sviluppando quindi un senso di appartenenza e di vicinanza.
È l’HR che più di altri ha questo compito, impegnandosi a creare dei momenti di condivisione “on top” rispetto a quelli prettamente professionali. Il caro vecchio team building – o qualsiasi attività alternativa sia già stata sperimentata o si abbia voglia di provare – gioca sicuramente a favore; - vanno a braccetto con quanto sopra i momenti di formazione che hanno l’obiettivo di supportare in una migliore gestione del lavoro da remoto e del lavoro ibrido.
Sebbene queste due modalità siano entrate nel vocabolario quotidiano della maggior parte dei lavoratori, sono ancora due approcci al lavoro molto giovani che necessitano di essere sostenuti e accompagnati da consapevolezza e informazioni adeguate.
2. HR Analytics
I dati nelle HR sono oggi un must have, lo sappiamo. Basarsi sulla raccolta e l'interpretazione, e non su opinioni soggettive, è ciò che permette all’HR di:
- capire su cosa puntare e investire per migliorare i processi aziendali, il benessere e la produttività delle proprie risorse
- spiegare tutto questo ai vertici e agli altri reparti aziendali. Basare le proprie motivazioni su numeri oggettivi consente di parlare ai tavoli decisionali con lo stesso linguaggio degli altri, dimostrando la validità delle proprie proposte di investimento.
L’HR Analytics ha quindi lo scopo di raggruppare le evidenze che arrivano dalle risorse umane e metterle a confronto con gli obiettivi aziendali, facendo di conseguenza emergere gli eventuali gap che non consentono alle HR di essere efficaci per il business.
In un articolo di qualche tempo fa, avevamo analizzato in particolare i cosiddetti People Analytics, ovvero quei dati che consentono alle risorse umane di analizzare nel dettaglio l’intero percorso delle persone all’interno dell’azienda, partendo dall’identificazione dei bisogni dei team in termini di competenze, passando per il recruiting, arrivando alle opportunità di crescita e anche alla valutazione di eventuali turnover.
In generale sfruttare i data per l’analisi delle HR significa andare a lavorare su diversi ambiti di consapevolezza:
- analisi del turnover: molto spesso le aziende faticano a comprendere perché il tasso di ricambio del proprio personale sia così alto o da cosa derivi.
In questo contesto utilizzare i dati, dopo aver ovviamente posto le domande giuste ai propri collaboratori per raccogliere le risposte adeguate allo scopo, permette di evidenziare la presenza di tendenze generali e condivise a motivazione dell’abbandono; - supporto al recruiting: cultural fit e soft skills – lo abbiamo scritto più volte – valgono spesso di più delle competenze specifiche. Per questo motivo, analizzare i candidati attraverso dei modelli predittivi che vanno a esaminare caratteristiche invece difficilmente valorizzate e valorizzabili all’interno di un CV, permette di individuare quei talenti in grado di fare la differenza, proprio grazie alle loro skill più “impalpabili”, ma il cui valore è invece estremamente concreto. Sempre di supporto si parla, comunque: la componente umana ed empatica dell’HR per capire le potenzialità più profonde del candidato in fase di colloquio rimane insostituibile;
- controllo delle competenze in azienda: a supporto della valutazione delle skill presenti all’interno dell’azienda, gli HR Analytics possono indicare quali competenze risultano (ancora) scoperte o, più semplicemente, come lavorare per poter ottimizzare quelle già in essere nell’organizzazione;
- gestione del management: esattamente come sopra, avere la possibilità di controllare l’operato e le performance dei manager consente all’azienda di ottimizzare gli investimenti e le attività collegate ai ruoli apicali dell’organizzazione.
Indipendentemente dalla tipologia di supporto che gli HR Analytics offrono, il processo che li coinvolge è sempre un percorso a 4 tappe, ovvero:
- raccolta dei dati che comprende, a monte, anche la scelta dei software giusti per aggregarli, smistarli, gestirli e archiviarli;
- misurazione e monitoraggio dei dati affinché possano essere correttamente messi a confronto con i KPI dell’HR Analytics, ossia gli indicatori chiave che comunicano come le attività prese in considerazione stiano effettivamente performando;
- analisi dei dati, affinché quanto raccolto possa offrire delle evidenze, siano esse predittive, descrittive o prescrittive;
- conversione in azione, vale a dire interpretare l’analisi di cui sopra e farla convergere in una serie di iniziative che riescano a essere migliorative rispetto alla situazione iniziale.
Raccogliere i dati è importante, ma ancora di più lo è saperli interpretare correttamente. Se grazie all’HR Analytics riusciamo ad accedere a una moltitudine di numeri, la vera forza risiede poi nel capire quali selezionare, come incrociarli, come interpretarli e come agire di conseguenza.
3. AI recruiting
Non c’è organo di informazione che in questo inizio di 2023 non si sia occupato di intelligenza artificiale. Il boom dell’AI ha coinvolto praticamente ogni sfera della nostra quotidianità e, come abbiamo già avuto modo di approfondire in un articolo di qualche mese fa, l’HR non è stato risparmiato.
Il compito dell’AI nelle Risorse Umane? Supportare l’umano per potenziarne le capacità.
Ci spieghiamo meglio. Utile soprattutto nei processi di recruiting, l’intelligenza artificiale è un valido alleato per tutte quelle attività delle risorse umane che hanno necessità di guadagnare in termini di tempistiche ed efficienza. Le procedure lente e ripetitive che riguardano il recruiting sono in questo senso un esempio lampante di come l’AI può sostenere il team HR di qualsiasi azienda, svolgendo un ruolo significativo:
- nella la fase di sourcing;
- per lo screening dei CV;
- nell’organizzazione dei colloqui fisici;
- per la creazione di un ordine di preferenza i curriculum ricevuti;
- e per l’invio di comunicazioni automatiche in base allo status delle persone candidate tramite l’utilizzo di mail, SMS e chatbot.
Ne è un esempio la sperimentazione con ChatGPT che abbiamo fatto nei nostri laboratori e di cui parliamo in questo articolo come campione sperimentale dell’uso dell’Intelligenza Artificiale nel recruiting. Sempre in quest’ambito si possono citare le nostre sperimentazioni per creare situazioni di onboarding e di colloquio all’interno del Metaverso: le abbiamo raccontate qui.
L’entrata a gamba tesa di una tecnologia intelligente all’interno di alcuni meccanismi aziendali è dovuta a un innesto sempre più importante – lo abbiamo visto sopra – dei dati per la comprensione del contesto nel quale ci si trova a operare e quindi per un suo potenziale miglioramento.
Questo non significa però - come detto- che l’AI voglia sostituirsi alla persona, anzi: il compito dell’HR, in questo senso, è anche quello di capire in primis come ottimizzare il rapporto tra professionisti e tecnologia e, successivamente, come sfruttare questa relazione affinché efficienti le performance di business.
Nel caso dell’AI recruiting, oltre a tutto quanto elencato sopra, è evidente che il suo utilizzo sia fondamentale anche per la riduzione dei tempi e delle risorse che l’HR debba impiegare per raggiungere l’obiettivo, ossia trovare il talento “giusto” da far entrare in azienda.
In questo contesto è opportuno ricordare che la diffusione sempre più massiccia dei sistemi ATS (Applicant Tracking System) permette – come anche riportato da Glassdoor – di rendere il recruiting molto simile al marketing e, in particolare, di far conoscere ai candidati anche da remoto il sistema valoriale e culturale dell’azienda, allineandoli in questo modo sin da principio al “mood” dell’organizzazione.
4. Automazione dei processi HR
Concentrarsi solo sulle attività ad alto valore aggiunto e lasciare che sia la tecnologia a gestire, automatizzandoli, quei compiti indispensabili, ma decisamente ripetitivi ed eccessivamente time-spending.
Ecco, è così che riassumeremmo i vantaggi dell’automazione dei processi HR, ossia utilizzare la tecnologia più avanzata per risparmiare tempo e risorse.
In un’epoca in cui è fondamentale dare spazio e importanza all’ascolto delle persone, alla ricerca di nuove modalità di motivazione e, ovviamente, a tutto quel che è possibile fare per aumentare la produttività senza che ciò vada a scapito del benessere dei lavoratori, sapere che alcuni processi HR possono essere oggetto di automazione fa quasi tirare un sospiro di sollievo.
Vediamo quindi insieme cosa, in questo 2023, potrai far gestire alla tecnologia senza il timore di “perderti” dei pezzi:
- recruiting: come abbiamo ampiamente spiegato nel paragrafo precedente, la tecnologia, e in questo caso specifico l’intelligenza artificiale, può essere un validissimo supporto nella gestione delle varie fasi del reclutamento di professionisti e giovani talenti da inserire in azienda;
- onboarding: le procedure di inserimento di nuove persone in azienda sono tanto importanti, quanto lunghe e spesso complesse.
A supporto della fase iniziale della vita di un lavoratore all’interno dell’organizzazione, l’automazione di una parte della stessa rende più veloce la condivisione di quelle informazioni di valore, ma empaticamente poco rilevanti; - gestione organizzativa per lo smartworking: in alcuni casi, il lavoro ibrido ha aggiunto un tassello di complessità, soprattutto in termini di tempo, alla gestione dei permessi.
Oltre ai congedi tradizionali, dai ROL alle ferie, in alcune aziende vengono sistematizzate anche le presenze in ufficio e di conseguenza le apparenti assenze legate allo smartworking. Dotarsi di un gestionale a doppio ingresso – manager e dipendenti – che tenga traccia e gestisca dinamicamente questo genere di richieste toglie un ingombrante grattacapo all’HR; - valutazione delle prestazioni e conseguente pianificazione della formazione: non è detto che la prima vada per forza a braccetto con la seconda, ma ci piace pensare che, prima o poi, sarà così in tutte le realtà aziendali.
Se da una parte, infatti, i tool tecnologici possono offrire un valido aiuto nella valutazione delle performance tanto individuali, quanto di team, dall’altra i dati che restituiscono possono funzionare come base di partenza per una corretta pianificazione di tutte le attività di formazione e di coaching necessarie al miglioramento delle competenze e quindi della produttività.
5. Belonging: un passo oltre Diversity & Inclusion
Il senso di appartenenza, il cosiddetto Belonging, oggi non può prescindere – tra le altre cose – da Diversity & Inclusion.
L’equazione che ci ha tenuto compagnia negli ultimi due anni e che comprendeva la presenza di due fattori, la diversity e l’inclusion, appunto, si arricchisce ora di un nuovo elemento che è appunto quello dell’appartenenza.
Sviluppare il senso di appartenenza a un’azienda significa non solo avere la libertà di potersi esprimere per quello che si è, senza timore di mostrarsi (ovvero far parte di un ambiente inclusivo perché, tra le altre cose, accoglie e valorizza la diversità), ma vuol dire soprattutto avere la possibilità di stimolare la propria motivazione intrinseca proprio grazie alle caratteristiche inclusive dell’organizzazione in cui si è immersi.
Vediamo quindi ora insieme come rafforzare Diversity, Inclusion e Belonging all’interno della tua organizzazione:
- partiamo da principio: un ambiente che non promuove diversità, equità e inclusione difficilmente potrà stimolare il senso di appartenenza. E il primo passo per promuovere questi aspetti è essere consapevoli di come si muove il mondo intorno a noi, essere in grado di gestire in azienda situazioni spesso non semplici. In questo caso la sinergia tra HR ed Head Hunter può fare una reale differenza, come spiegavamo in questo articolo;
- è indispensabile focalizzarsi sul purpose: mai come in questo periodo storico, le persone cercano un allineamento con aziende con le quali condividono gli stessi valori e, più in generale, una stessa visione;
- una company culture ben definita e strutturata è quella che permette di avere la giusta consapevolezza per cui un’azienda non possa andare bene per chiunque (e viceversa).
In questo senso, il cultural fit è importantissimo e questo significa che a parità di competenze specifiche non tutti i talenti saranno adatti all’ingresso in azienda, avendo caratteristiche soft e valoriali differenti tra loro; - il senso di appartenenza, ahinoi, non è innato. Lo si deve stimolare, gestire e monitorare a ogni livello gerarchico dell’azienda.
Se da una parte è quindi indispensabile che i manager siano allineatissimi sul tema, dall’altra è altrettanto importante che i lavoratori sappiano di poter esprimere le proprie necessità con la sicurezza di essere ascoltati proattivamente.
2. In conclusione
Se a prima vista le tendenze HR che abbiamo elencato qui sopra possono sembrare “le solite cose”, a una visione più approfondita risulta chiaro che quel che è necessaria è una nuova prospettiva dalla quale affrontarle, con un rinnovato approccio che sappia tenere conto tanto del bagaglio che ci portiamo dietro, tanto del futuro che dovremo affrontare.
Compito dell’HR in questo senso è quello di tenere i piatti della bilancia in equilibrio costante, con uno sguardo sempre rivolto a quello che “sta per arrivare”, nuovi fattori da includere in un’equazione la cui soluzione è sempre un coinvolgente work in progress.